Il referendum costituzionale turco – previsto per il prossimo 14 aprile – è l’ennesima occasione di scontro fra Unione Europea e Turchia; questa volta la tensione è particolarmente viva con Germania e Olanda, ove diversi incontri pubblici che prevedevano l’intervento di esponenti del governo di Ankara (o comunque di politici legati al partito di maggioranza relativa AKP) sono stati vietati per questioni di ordine pubblico. Anche in Danimarca e in Austria – oltre che in Svizzera – si segnalano interventi di contrasto a tali manifestazioni, sempre per asseriti motivi di ordine pubblico.

Il voto dei residenti in Europa è piuttosto importante ai fini dell’esito referendario: in Germania risiedono circa 3 milioni di Turchi, di cui la metà gode di diritto di voto in Turchia; in Francia (ove per ora non si ha notizia di divieti, ma tutti e tre i candidati presidenziali li reclamano!) se ne contano 650.000, in Olanda quasi 500.000 – in entrambi i casi la metà gode di diritto di voto nella Madrepatria.

Le reazioni di Erdoğan e del ministro degli Esteri Čavuşoğlu è stata molto accesa; accuse a Tedeschi e Olandesi di “fascismo” e di “nazismo” – termini come sempre usati fuori luogo e a sproposito, in conformità col linguaggio imposto dai “Liberatori” – e di islamofobia – questo aspetto ha in realtà un suo fondamento, anche se non ci sembra sia questa l’occasione di rinvenirlo.

Prese di posizione, quelle turche, in risposta non solo ai divieti in questione – decisi in realtà quasi sempre da autorità locali, non da quelle statali, ma da queste ultime ampiamente condivisi – ma a tutta una serie di attacchi che, quasi quotidianamente, vengono rivolti da ambienti politici, intellettuali e giornalistici europei al “regime” turco. Anche le modifiche costituzionali sottoposte a referendum vengono abitualmente presentate dagli organi di informazione come nient’altro che una svolta autoritaria o dittatoriale.

La situazione, dunque, trova conferma in ciò che già sapevamo: l’Unione Europea e i suoi Paesi da una parte affidano ad Ankara un importante ruolo nella salvaguardia dalla rotta balcanica dell’immigrazione  (che gli estremisti come Soros vorrebbero senz’altro cancellare, per spianare la strada all’immigrazione senza limite), dall’altra mirano a un “cambio di regime” che neutralizzi la dimensione islamica della Turchia sostituendola con quella più occidentale e addomesticata, privilegiata dal rullo globalizzatore.

Nel contesto internazionale, peraltro, Ankara oscilla incertamente: il recente viaggio di Erdoğan in Arabia Saudita e nei Paesi del Golfo è sfociato in pesanti e ripetute dichiarazioni contro l’Iran, che – ha affermato a Monaco Čavuşoğlu – “vuole trasformare l’Iraq e la Siria in Paesi sciiti (…) e alimenta divisioni settarie e religiose”. Erdoğan, in Bahrein, aveva a sua volta accusato il “nazionalismo persiano”, suscitando l’equilibrata ma ferma risposta di un portavoce del ministro degli Esteri di Teheran.

La Turchia, insomma, rischia di acuire tensioni con gli Stati vicini (Iran, Iraq, Siria e in prospettiva magari Russia) allorché l’inimicizia e l’antipatia manifestate dalla UE suggerirebbero a maggior ragione scelte di campo diverse, definitive e coraggiose.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.