Recensione a:
Ermanno Visintainer
Ahmed Yassawi. Sciamano, sufi e letterato kazako, Centro Studi “Vox Populi”, Pergine Valsugana 2010

Nato verso il 1100 a Sayrâm (odierno Xinjiang), Ahmed ibn Ibrâhîm ibn ‘Alî è noto con l’appellativo di Yesevî (Yassawi) dal nome della città di Yesî (odierno Kazakistan), dove fece i suoi primi studi. La sua istruzione proseguì a Bukhara, dove fu discepolo di Yûsuf Hamadânî (441/1049-535/1140); tornato a Yesî,  vi morì nel 562/1166-1167. In seguito Yesî fu chiamata Türkistan, donde il titolo di Hadrat-i Turkestân attribuito ad Ahmed. Sulla sua tomba e sulla vicina moschea, lungo la riva del Sîr-Darya, nell’VIII secolo dell’Egira Tamerlano fece erigere un mausoleo a doppia cupola, che, completato nell’801/1398, divenne meta di frequenti pellegrinaggi, specialmente di Uzbechi e Kazaki.

Infatti la Yeseviyye, l’ordine iniziatico fondato da Ahmed Yesevî, attraverso le sue varie diramazioni svolse un ruolo fondamentale nell’islamizzazione delle tribù turche e nell’adattamento dell’Islam all’ambiente delle steppe. Nelle pratiche del sufismo vennero integrati diversi elementi tipici della cultura centroasiatica: la partecipazione promiscua di uomini e donne alle assemblee rituali, il sacrificio di vittime animali e la consumazione del banchetto (shilen) presso i sepolcri dei santi, l’uso del turco nelle recitazioni di testi diversi dall’orazione canonica. Ibn Battuta, il quale visitò l’accampamento invernale di ‘Alâ’ ad-dîn Tarmâshirîn (1326-1334), sultano della Transoxiana, riferisce (III, 36) che dopo l’orazione mattutina quest’ultimo recitava il dhikr in lingua turca.

La Yeseviyye fu una confraternita di nomadi che si diffuse su una vasta porzione dello spazio eurasiatico: dal Turkestan cinese alla regione della Volga, dalle Steppe dei Kirghisi al Khorasan, all’Azerbaigian, all’Anatolia, dove produsse uomini come Yûnus Emre (m. 1320?), il più grande santo e poeta dell’età selgiuchide.

Poeta, oltre che santo, fu d’altronde lo stesso Ahmed Yesevî, sotto il nome del quale ci è pervenuto un Dîvân-i Hikmet (“Canzoniere della Saggezza”). Composto probabilmente in una lingua vicina a quella del Qutadgu Bilik (la prima opera letteraria della cultura musulmana d’epoca qarakhanide, sec. XI), il Canzoniere ci si presenta oggi in una lingua ciagatai alquanto tarda. Undici hikmet di questo Canzoniere (componimenti articolati in quartine di versi in metrica sillabica) sono stati riportati nel testo originale, con traduzione italiana a fronte, nella monografia che Ermanno Visintainer ha intitolata a Ahmed Yassawi. Sciamano, sufi e letterato kazako. Questo saggio del turcologo trentino (preceduto da una Presentazione dell’ambasciatore della Repubblica del Kazakhstan presso la Repubblica Italiana e da una Prefazione dello scrittore Pietrangelo Buttafuoco) inquadra la “vita leggendaria” di Ahmed Yesevî in un contesto culturale, quello centroasiatico, di cui viene messa in luce la caratteristica varietà di forme tradizionali: dal monoteismo uranico precursore di quello islamico al taoismo venuto dalla Cina, dall’arcaico sciamanesimo autoctono allo zoroastrismo irradiatosi dall’Iran, dal buddhismo al cristianesimo nestoriano e manicheo.

Illustrando l’eredità spirituale di Ahmed Yesevî attraverso una rassegna delle pratiche e degli insegnamenti che furono trasmessi alle successive generazioni di discepoli, l’Autore si sofferma in particolare sulla “khalvet, la solitudine ascetica”. In effetti Ahmed Yesevî attribuì grande importanza al ritiro spirituale, sicché è possibile considerare la Khalvetiyye, che si sviluppò nella regione caucasica e si diffuse in Anatolia, come un’appendice occidentale della Yeseviyye. Per quanto concerne filiazioni di questo genere e, in particolare, la questione della derivazione della Naqshbendiyye e della Bektashiyye, le due confraternite più diffuse nel mondo turco e poi irradiatesi in gran parte del continente eurasiatico, l’Autore mantiene un atteggiamento di corretta cautela: sia riguardo al rapporto tra Ahmed Yesevî e Hâjjî Bektâsh, sia riguardo alla nascita della Naqshbendiyye, che, se fosse ricollegabile alla Yeseviyye, rappresenterebbe “l’eredità spirituale del Maestro verso Oriente in senso lato, dal subcontinente indiano all’Indonesia, ma anche ad Occidente, verso il mondo anatolico” (p. 135).


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Ermanno Visintainer, turcologo di formazione, Professore Onorario nel 2012, presso la Kazakh Academy M. Tynyshpayev di Almaty. Dal 1998 al 2006 ha lavorato nella mediazione linguistico-culturale con alunni provenienti da Cina e Pakistan e sulle religioni orientali in scuole della provincia di Trento. Dal 2006 al 2016 intraprende un percorso nell’ambito dell’editoria e della pubblicistica, realizzando numerosi articoli per riviste come “Linea Quotidiano”, “Officina”, “Il Borghese”, quindi "RagusaOggi online". Cofondatore e Presidente del Centro Studi “Vox Populi”, nonché Senior Fellow del centro di studi geopolitici, “Il Nodo di Gordio” fino al 2016. Ha pubblicato svariati libri, l’ultimo dei quali, nel 2014 è: Kazakhstan; un tempo, uno spazio, un destino, i 550 anni del Khanato. Dal 2016 è collaboratore di "Eurasia. Rivista di studi geopolitici".