Lo studio dei rapporti tra la legge fondamentale di uno Stato e la geopolitica è tornato di attualità tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. In quel periodo (1989 – 1991), coincidente con il collasso del sistema bipolare, gli USA intensificarono il loro ruolo di “costruttori di Nazioni libere”. Proclamatisi “Nation and State Builders”, gli Stati Uniti interferirono nella elaborazione delle Carte fondamentali dei nuovi Stati nazionali, sorti dalla deflagrazione dell’ex blocco sovietico. Tale intromissione non costituì un fatto nuovo nella storia della politica estera statunitense, ma una costante. Una lettura “geopolitica” degli ordinamenti costituzionali ci dimostra che le Carte fondamentali degli Stati non egemoni sono sostanzialmente assimilabili alle Costituzioni ottriate. Nella transizione tra la fase unipolare e il sistema multipolare appare necessaria la formulazione di nuovi paradigmi costituzionali articolati su base continentale.

Costituzioni e scenari geopolitici nell’era dell’occidentalizzazione del mondo

Nel corso dell’ultimo secolo, tre sono stati i principali momenti storici in cui le leggi fondamentali e fondative degli Stati nazionali sono state eterodirette da parte degli attori egemoni, ai fini dell’articolazione delle loro rispettive sfere d’influenza.

Un primo momento è quello circoscrivibile tra la fine della prima guerra mondiale e l’inizio degli anni Venti. In tale periodo, l’ideologia “costituzionalista” e quella dello Stato-Nazione rappresentarono un asse portante di ciò che potremmo definire, con un termine dei nostri tempi, il soft power della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti. Gli Stati nazionali dell’Europa modellata dai Trattati di Trianon e di Versailles si dotarono di costituzioni che, seguendo le direttive delle maggiori Potenze dell’epoca1, di fatto subordinarono la propria sovranità alle alleanze egemoniche dell’epoca.

Un secondo periodo è quello circoscrivibile tra la fine del secondo conflitto mondiale e gli anni sessanta. Gli USA, dopo l’invasione militare dell’Europa occidentale e l’assoggettamento del Giappone, approntarono un complesso processo di democratizzazione volto al consolidamento della loro sfera di influenza. Il processo prevedeva l’allineamento militare, economico, finanziario e normativo ai canoni nordamericani. Per quanto concerne l’allineamento normativo, gli USA interferirono pesantemente nell’elaborazione delle Carte fondamentali dei paesi vinti.

Le Costituzioni dell’Italia, della Germania e del Giappone, infatti, contengono elementi fondamentali che risentono delle limitazioni imposte dai Liberators statunitensi. Nel caso della Costituzione repubblicana della Italia post-fascista, ad esempio, gli articoli 11 e 35, relativi alla sovranità e alla regolamentazione del lavoro, sono, come afferma Aldo Braccio, «evidentemente […] norme costituzionali destinate a favorire l’imminente (alla fine degli anni Quaranta) processo di internazionalizzazione a guida nordamericana e a regolare, ossia a limitare, i diritti del lavoro»2. Più significativo il caso della Germania, la cui legge fondamentale non a torto è stata definita come una «forma organizzativa di una modalità della dominazione straniera»3. Nel caso del Giappone, infine, oltre alle limitazioni di funzioni tipiche della sovranità di uno Stato, quali la costituzione delle forze armate, la nuova Carta fondamentale, imposta da Washington, entra nel merito anche dell’identità spirituale della nazione nipponica: allo Stato – ora non più scintoista – viene infatti impedito di esercitare la benché minima influenza religiosa nel sistema educativo e formativo della popolazione4. Il processo di democratizzazione (neocolonizzazione) nordamericano, attuato mediante le riforme costituzionali delle nuove Nazioni inglobate nel sistema occidentale, riguardò anche alcuni Paesi del Sud Est asiatico, come la Corea e il Vietnam del Sud.

Anche l’URSS influenzò l’elaborazione delle leggi fondamentali delle neonate democrazie popolari, che costituiranno il cosiddetto blocco sovietico fino alla sua dissoluzione. Dal punto di vista geopolitico, tuttavia, tale “ingerenza” assunse un senso ben diverso da quella neocolonizzatrice messa in campo dalla Potenza talassocratica d’Oltreatlantico. Mosca, infatti, in quegli anni tentava, sulla base della continuità territoriale, di costituire uno spazio geopolitico unitario5 di cui avrebbe assunto la funzione di Stato pivot.

Il terzo momento è quello del cosiddetto istante unipolare. Il ruolo degli Usa come Nation Builder6/7 si fa in questo periodo più incisivo e determinato.

Sulla base delle esperienze maturate nel corso della Guerra Fredda, Washington ispira e modella la Costituzione (spesso definita col sintagma “neutro” di “governance framework”) di vari Paesi, da quelli dell’ex-spazio sovietico europeo e centroasiatico alla Bosnia-Erzegovina, all’Afghanistan, all’Iraq, al Cossovo, veicolandovi, in particolare, la “propria esperienza nazionale”8.

Successivamente, quando inizia a delinearsi l’attuale fase di transizione unimultipolare, il sostegno ai processi di elaborazione di nuove costituzioni nei paesi “fragili” viene portato avanti con l’ausilio di alcune importanti istituzioni mondiali, tra cui, ad esempio, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)9.

La “costituzionalizzazione” dei Paesi inclusi nella sfera d’influenza statunitense legittima, per così dire, la frammentazione di spazi geopolitici unitari in Stati a sovranità nulla.

Gli ordinamenti costituzionali nell’epoca multipolare

Nel quadro dei rapporti geopolitici mondiali, le Costituzioni nazionali degli Stati non egemoni (come più sopra considerato e dimostrato nel particolare caso delle loro relazioni con gli USA) sono di fatto ordinamenti giuridici simili alle carte ottriate dell’Ottocento, delle pure e semplici concessioni.

Tutto ciò evidenzia, ancora una volta, che la dimensione dello Stato nazionale è insufficiente ad assicurare l’indipendenza e la stessa identità culturale della popolazione di cui è espressione politica. Poiché la dimensione geopolitica attualmente in grado di soddisfare le esigenze dei popoli è quella continentale (o gran regionale), appare importante proporre modelli costituzionali che tengano nel dovuto conto tale fatto epocale. E ciò non soltanto per scopi euristici. Questi nuovi paradigmi, infatti – giacché imperniati sulla dimensione continentale dello Stato – costituirebbero le necessarie linee guida per rendere più incisive e coerenti le intese (geostrategiche e geoeconomiche) finora realizzate dai maggiori Paesi dell’Eurasia e dell’America indiolatina, ai fini dell’integrazione dei rispettivi spazi continentali.

*Tiberio Graziani, direttore pro tempore di “Eurasia” e presidente dell’IsAG – Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie


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  1. Ispirati in massima parte dai 14 Punti del presidente statunitense Wilson.
  2. Aldo Braccio, Carte costituzionali: casi di “sovranità limitata” Eurasia, XXIII (2/2011); si veda anche Alberto B. Mariantoni, Chi ci libererà dai “Liberatori” Eurasia, XXIII (2/2011). Oltre ai due articoli summenzionati, è opportuno ricordare anche la XII disposizione transitoria e finale ove si vieta la “riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, una disposizione ripresa, quasi testualmente, nella nuova Carta dello Stato iracheno per dichiarare illegale la ricostituzione del Partito della Rinascita Arabo Socialista (Baa’th).
  3. Carlo Schmid, Che significa propriamente “legge fondamentale”?, Eurasia, XXIII (2/2011).
  4. James Dobbins et al., America’s Role In Nation-Building. From Germany to Iraq, Rand Corporation, Santa Monica, CA 2003, p.44; Aldo Braccio, cit..
  5. Claudio Mutti, L’unità dell’Eurasia, Effepi, Genova 2008, pp. 58-61.
  6. Nathan Hodge, Armed Humanitarians: The rise on the Nation Builders, Bloomsbury USA 2011; James Dobbins et alii, The Beginner’s Guide to Nation-Building, Rand Corporation, Santa Monica, CA 2007.
  7. Mahdi Darius Nazemroaya, Privatizzazione e costruzione dell’impero, Eurasia, XXIII (2/2011).
  8. In his influential work on state-building, for example, Francis Fukuyama points out that nationbuilding in the American understanding reflects their own “national experience” in which the United States’ constitution is seen as the starting point and frame of reference of a national history and common identity”, A. von Bogdandy and R. Wolfrum (eds.), State-Building, Nation-Building, and Constitutional Politics in Post-Conflict Situations: Conceptual Clarifications and an Appraisal of Different Approaches, Max Planck Yearbook of United Nations Law, Volume 9, 2005, p. 593.
  9. The mechanisms through which international intervention supports political processes appear to focus around four key areas: i) support to élite pacts; ii) support to constitution-making processes; iii) support to building conflict-resolution skills and processes at the local levels; and iv) direct mediation in times of mounting crisis or transition.” OECD-DAC Discussion Paper, Concepts and Dilemmas of State Building in Fragile Situations, p.34, Parigi 2008; OECD-DAC Guidelines and Reference Series, Supporting Statebuilding in Situations of Conflict and Fragility. Policy Guidance, Parigi 2011.