Che l’immigrazione clandestina fosse una piaga ben radicata nel suolo statunitense non è una novità e lo stesso Obama aveva annunciato, in campagna elettorale, di voler attuare una riforma che creasse per queste persone un “cammino agevolato” verso l’ottenimento della cittadinanza. L’approvazione, il 23 aprile scorso, della legge anti-immigrazione da parte della senatrice Jan Brewer ha riaperto prepotentemente la questione, evidenziando le lacune legislative del Paese.

La legge

Il 29 luglio prossimo entrerà in vigore questa legge che ha uno scopo dissuasivo nei confronti di tutti quei clandestini (principalmente ispanici), che si apprestano a entrare e risiedere illegalmente nel territorio nordamericano. La nuova norma prevede la possibilità per i poliziotti di fermare, controllare, interrogare e anche arrestare qualsiasi “ragionevole sospetto”; starà al singolo individuo sospettato l’onere della prova in merito alla sua permanenza legale nel Paese. Oltre a ciò, chiunque protegga o dia lavoro a dei clandestini potrà d’ora in poi essere arrestato.

A nulla sembrano essere valse le numerose manifestazioni da parte di difensori dei diritti civili e varie organizzazioni avvenute anche a Phoenix, con l’assedio del Parlamento per ore. Molte proteste sono giunte anche da parte della Commissione nazionale per i diritti umani del Messico, dal Ministro degli Affari Esteri messicano Espinosa nonché dallo stesso presidente Obama. “Un provvedimento irresponsabile” – ha tuonato il primo inquilino della Casa Bianca, che ha chiesto al Dipartimento della Giustizia di “esaminare le implicazioni sul fronte dei diritti civili”. Ciò che si teme maggiormente è l’applicazione della legge secondo un “racial profiling”, ovvero sulla base della semplice appartenenza a una etnia. Questo tipo di approccio è stato più volte condannato come violazione dei diritti costituzionali di coloro che ne sono vittime e le corti hanno riconosciuto colpevoli, in diverse occasioni, i dipartimenti di polizia e le agenzie governative che lo praticavano. A fronte di tutto ciò è in atto uno studio da parte di numerosi esperti affinché la legge dell’Arizona venga dichiarata incostituzionale. Innumerevoli ricorsi sono stati depositati presso la Corte Suprema; molte sollecitazioni sono giunte da Oakland, San Diego, San Francisco e Los Angeles. Ognuna di queste città ha attuato una sua forma di protesta: le prime due hanno sollecitato affinché la norma sia cancellata, San Francisco ha proposto un boicottaggio sportivo (non si disputeranno partite di nessuno sport con squadre dell’Arizona). Los Angeles, guidata dal sindaco ispano-americano Antonio Villaraigosa, ha infine votato una misura per cui sarà vietato fare affari con piccole imprese dell’Arizona ( i cosiddetti “contratti municipali”) fino a quando resterà in vigore questa legge. Questi affari si aggirerebbero intorno all’irrisoria cifra di 8 milioni di $, a fronte di investimenti e contratti  per ben 58 milioni di $ che non potrebbero essere oggetto di boicottaggio.

Dalla parte opposta sembrano schierati molti nordamericani: secondo alcuni sondaggi ben 2/3 della popolazione dell’intero Paese è favorevole alla legge mentre il 70% degli ispano-americani si proclama totalmente contrario. Fatto degno di nota è che, nell’anno in corso, sono stati approvati circa mille bill volti a disciplinare la materia immigrazione, e alcuni Stati hanno espresso la volontà di promulgare leggi similari a quella dell’Arizona. Il perché di questo atteggiamento sembra essere la presenza, sul suolo degli Stati Uniti, di circa 11 milioni di clandestini (circa 500mila solo in Arizona), di cui i 3/4 risultano essere ispanici.

I risvolti politici

Come si può ben comprendere, questa legge non è rilevante solo dal punto di vista di un’ipotetica violazione dei diritti umani, ma anche e soprattutto dal punto di vista politico.

Barack Obama aveva fatto della riforma sull’immigrazione una sua priorità, così da accattivarsi numerosi voti da parte dei latinos; questa rilevanza è venuta meno dopo le elezioni presidenziali così da lasciare un vuoto in materia. L’Arizona ha quindi ritenuto opportuno colmare queste lacune, scatenando però una polemica senza precedenti e mettendo in allarme il presidente, che ha esortato il Parlamento ad approvare una nuova legge sull’immigrazione.

La tematica in oggetto potrebbe rivelarsi un’ arma a doppio taglio sia per i democratici che per i repubblicani, ciò è presto spiegato. A novembre, infatti, si terranno le elezioni di mid-term, nelle quali saranno rinnovati 1/3 dei seggi al Senato, l’intera Camera dei Deputati, e andranno in ballo ben 36 cariche di governatori nei 50 Stati. Non si può dire, quindi, che il tema immigrazione sia esploso nelle mani repubblicane al momento più opportuno. La stessa Jan Brewer, infatti, così come l’ex candidato presidenziale McCain, il 24 agosto dovrà sottoporsi alla sfida delle primarie repubblicane e probabilmente questa legge sarà un suo cavallo di battaglia. Se però la norma venisse dichiarata incostituzionale, ovviamente la governatrice rischierebbe di non essere candidata alle elezioni di novembre, subendo un notevole danno alla sua immagine politica. A conferma dell’ empasse della destra statunitense vi sarebbero sondaggi che riportano un risultato molto interessante: prima che l’Arizona decidesse di trasformare in legge questo decreto, si prevedeva un balzo in avanti dei repubblicani alla Camera con un guadagno intorno ai 35 seggi. Stando ai risultato post-legge, invece, questo avanzamento così cospicuo non sarebbe più confermato.

La palla ora è solo nelle mani di Obama e dei democratici: il presidente dovrà scendere in campo in prima persona, presentando una proposta di legge esaustiva che promuova misure miranti a rafforzare le frontiere, migliorare il sistema federale a sostegno di un’immigrazione legale e disincentivare l’immigrazione clandestina promossa dall’industria, magari creando un percorso agevolato per l’ottenimento della cittadinanza da parte di quei clandestini già presenti nel Paese. Affrontare la questione è difficile, poiché i democratici rischiano di perdere, da una parte, il voto degli ispanici se non risulteranno abbastanza duri nella condanna, dall’altra il voto della maggioranza degli statunitensi che sono favorevoli all’operato dell’Arizona.

Alcuni rappresentanti del Partito Repubblicano faranno grande leva sul fatto che gli immigrati irregolari rappresentano un peso economico notevole: circa un miliardo di dollari ogni anno per spese scolastiche, sanitarie e penitenziarie. L’argomentazione che farà più presa, soprattutto in questo periodo di crisi economica, è che impedire l’immigrazione clandestina farà sì che i contribuenti statunitensi paghino meno tasse e abbiano più servizi a loro disposizione. Ecco perché è fondamentale, dal punto di vista del presidente Obama, riuscire a elaborare una proposta moderata e riuscire a tamponare nel migliore dei modi il problema in questione.

Il voto degli ispano-americani, infatti, è risultato più volte basilare per il successo politico: nella rielezione di George W. Bush del 2004 si è potuto contare su ben il 44% del loro voto; nel 2008, McCain, sebbene non abbia vinto, ne ha ottenuto il 33%. Tutto ciò è spiegabile col fatto che la comunità ispanica, tradizionalmente, ha una matrice conservatrice, di forte ispirazione cattolica e dunque idealmente più vicina a molte posizioni espresse dalla destra repubblicana su tematiche quali il matrimonio solo fra uomo e donne, e la condanna dell’aborto.

Obama, infine, se riuscirà a mettere in atto questa tanto importante riforma potrà assicurarsi almeno parte dei seggi che a novembre saranno in ballo, così da avere un sostegno più forte anche da parte dell’intero Parlamento. Non è una novità che il Senato (soprattutto dopo le ultime elezioni di senatori repubblicani in seggi storicamente democratici) abbia spesso creato problemi al presidente: uno stimolo in più per sopperire a una lacuna normativa che solo nel 2005 Ted Kennedy e John McCain avevano tentato di colmare. L’influenza delle prossime decisioni politiche potrebbe farsi sentire su ben 37 dei seggi del Congresso, nonché per l’elezioni dei governatori in California, Colorado e Texas.

* Eleonora Peruccacci è dottoressa in Relazioni internazionali (Università di Perugia)

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