Intervista a Bogdana Koljević*

 

Il ritratto più recente della Serbia rimasto nella memoria collettiva è quello dipinto con le immagini delle ultime guerre che hanno scosso la regione balcanica e il vecchio continente. Quale è, invece, il reale ritratto della Serbia contemporanea? 

Diciamo innanzitutto che il ritratto recente della Serbia che menzionate come disegnato con le immagini delle ultime guerre è stato soprattutto un ritratto dell’isteria occidentale anti-serba e in quanto tale, in questo senso, è stato soggettivo e, in questo senso, non è stato corretto.

Sotto questo aspetto, vi è un’irriducibile ironia nel fatto che i media occidentali contemporanei sono praticamente in competizione tra loro per affermare che Belgrado nel 2018 è – con il suo spirito vivace – una nuova Berlino.

In realtà, il ritratto della Serbia di oggi rivela uno Stato e un popolo che sono schizofrenicamente combattuti tra due distinte pulsioni. Il primo è la ricerca da parte delle persone di giustizia che deriva proprio dal senso che le guerre erano ingiuste. Il secondo è l’unità e l’obiettivo per una “vita migliore”.

Apparentemente in modo paradossale, nella sua lotta per la giustizia e la libertà la Serbia stava difendendo esattamente i più grandi valori e le grandi tradizioni dell’Europa.

 

La Serbia non è un Paese membro dell’Unione europea ma sta lentamente portando avanti il suo processo di integrazione con le istituzioni comunitarie. Un suo recente articolo pubblicato sulla rivista New Serbian Political Thought è intitolato Il ruolo della Serbia nella creazione di una nuova Europa. A quale ruolo allude?

Qui la parola chiave è lento.

Resta ancora da vedere cosa accadrà con il processo di adesione della Serbia all’UE. Le ragioni di ciò sono molteplici, una serie di motivi si riferisce al presente e al futuro dell’UE in quanto tale, soprattutto perché l’Unione deve affrontare numerose e strutturali difficoltà sul fronte politico, economico, sociale e culturale.

Per citarne solo qualcuna: la questione delle migrazioni politiche, la crescita dell’euroscetticismo sia a sinistra che a destra, le questioni economiche di disuguaglianza, divisioni tra Est e Occidente, così come tra Sud e Nord, non-esistenza di una politica estera unificata. Tutte queste sono sfide rilevanti e di vasta portata che superano la questione dell’ampliamento dell’UE, che ora è realisticamente in pericolo.

La seconda serie di motivi riguarda, invece, il fatto se la Serbia continuerà a percorrere la sua strada di integrazione europea, che è una questione separata e dipenderà in larga misura dallo sviluppo della politica interna.

Per quanto riguarda l’articolo citato, il ruolo dei Serbi nella creazione di una nuova Europa viene analizzato proprio da questa prospettiva di un’Europa emergente nel XXI secolo.

 

Il suo articolo si apre con un paragrafo dedicato all’analisi della differenza – non soltanto in termini linguistici – che intercorre tra Europa e Unione Europea. Nel linguaggio comune i due termini sono spesso intercambiabili, ma – se non sbaglio – la sua analisi ha lo scopo di sottolineare la differenza tra i due significati profondi. Cosa è l’attuale Unione Europea e cosa, invece, dovrebbe essere un’Europa unita?

L’Unione Europea è un costrutto che inizialmente aveva l’obiettivo dell’integrazione economica – non un obiettivo ingiustificato di per sé, ma in questo caso particolare condotto all’interno della struttura neoliberale, che, di conseguentemente e logicamente, ha portato all’aumento delle disuguaglianze economiche tra i singoli Stati e all’interno degli stessi Stati.

In secondo luogo, si sono manifestate ancora più difficoltà con il tentativo dell’UE di affermarsi a livello politico basato su una forma vuota della cosiddetta “identità europea” che doveva essere concepita come una singola unità. Questo è l’aspetto postmoderno dell’Unione che ha fallito in modo grandioso perché era artificiale e imposto fin dall’inizio.

Terzo – e non meno rilevante – aspetto: in futuro i libri di storia parleranno molto probabilmente dell’esistenza dell’Unione europea – almeno fino a quel momento – come il tempo in cui il Vecchio Continente perse la sua sovranità nei confronti del dominio militare, politico ed economico degli Stati Uniti. Questo è l’aspetto in cui, inoltre, non possiamo affrontare in modo critico l’UE senza affrontare allo stesso modo il ruolo della NATO.

Ora, a differenza di tutto ciò, non è solo possibile ma piuttosto plausibile concepire un’Europa di pluralità e molteplicità, cioè un’Europa di popoli liberi che plasmino il proprio destino e cooperino tra loro sulla base del rispetto reciproco proprio perché sono in gioco sia gli interessi nazionali che quelli sociali degli Europei.

Una nuova Europa, quindi, sarebbe quella che appartiene al suo stesso concetto, alle sue tradizioni storiche e che già vive tra una grande quantità di cittadini ordinari; una nuova Europa e un’Europa di soggettività politiche e di vera democrazia, manifesto di patriottismo post-neoliberista.

 

Il cammino europeo intrapreso da Belgrado sembra non ammettere ripensamenti. Come viene vista questa scelta dai Serbi? Condividono la linea dei leader politici nazionali?

Il cammino europeo intrapreso da Belgrado è privo di ripensamenti soprattutto su un piano  puramente logico perché è proclamato come un percorso senza alternative.

Inoltre, questo è privo di riflessione politica perché abbiamo a che fare con un’Europa contemporanea in continuo movimento che sta ancora cercando di trovare la sua strada nel mondo multipolare che sta emergendo di fronte ai nostri occhi.

Rispetto ai suoi attuali leader politici, i cittadini serbi riconoscono ancora il reale panorama politico, motivo per cui meno della metà della popolazione sostiene le integrazioni europee, mentre il 37% è fermamente contrario.

 

Cosa ha da guadagnare la Serbia unendosi all’Unione Europea e cosa, dall’altro lato, ha da perdere?

Ovviamente, il principale vantaggio sarebbe la realizzazione e l’attuazione degli standard europei, ma è ovvio che ciò può essere raggiunto senza una piena adesione all’UE.

D’altra parte, la descrizione di ciò che la Serbia perderebbe aderendo all’Unione è praticamente infinita sia in termini politici, militari, economici, sociali che culturali.

Politicamente, la piena adesione sarebbe una svolta esclusiva innaturale verso l’Occidente, cioè verso quelle stesse strutture che non hanno – per non dire altro – sostenuto l’interesse della Serbia a differenza di altri paesi come la Russia e la Cina che, invece, si sono dimostrati alleati di Belgrado.

A livello militare, la Serbia mantiene ufficialmente una posizione di neutralità militare ed è difficile immaginare che sia in grado di diventare un membro dell’UE senza diventare membro della NATO.

La perdita economica per il paese sarebbe straordinaria prima di tutto perché la Serbia ha un vantaggioso accordo di libero scambio con la Russia che sarebbe immediatamente tagliato; infine, in senso spirituale e culturale, la specificità della Serbia risiede nella sua unica posizione storica e geografica che, ancora una volta, è tutt’altro che unilaterale.

 

Mi lasci introdurre questa domanda, parlando di un episodio di “vita domenicale”. In chiesa, nel momento dell’omelia, riferendosi all’episodio di Abramo e suo figlio Isacco, il sacerdote lo ha presentato come una metafora della società moderna: una società tendente al ricatto, una società che chiede di rinunciare a ciò che hai caro avere. Prendendo questo esempio a un livello diverso e più alto, si può dire che la Serbia è “ricattata” dal futuro “europeo” che Belgrado vuole per se stessa? Perdita del Kosovo e Metohija, dell’identità e dell’autonomia e rapporto privilegiato con Mosca in cambio di finanziamenti e integrazione con Bruxelles?

Precisamente. Coerentemente in diverse occasioni è stato ripetuto da vari funzionari dell’UE o dai capi di stati dei principali paesi dell’UE che ciò che chiamano “risolvere” la questione del Kosovo e Metohija è una condizione preliminare per l’adesione della Serbia all’UE. Questo a volte è esplicitamente articolato mentre per la maggior parte delle volte è avvolto nella frase apparentemente neutra normalizzazione delle relazioni.

La linea di fondo è che ciò che viene chiesto alla Serbia è di rinunciare non solo a un pezzo rilevante del suo territorio, ma anche alla sua Gerusalemme. Una cosa del genere non era mai stata chiesta a nessun paese. Alla Serbia viene chiesto di non essere più la Serbia. La perdita del Kosovo sarebbe una perdita insostituibile della sua identità e quindi un danno irreparabile.

 

Una breve digressione sul Kosovo. Quanto è importante la questione nell’opinione pubblica serba e quanto, invece, nel discorso politico?

Questa è una questione rilevante. Esiste una notevole discrepanza tra come l’opinione pubblica serba – vale a dire i serbi – tengono al Kosovo e come la questione viene trattata all’interno del discorso politico. Oltre l’82% dei cittadini serbi non accetta il riconoscimento del Kosovo in nessuna circostanza, mentre non si può dire lo stesso dell’élite politica. Più precisamente, anche se a volte può sembrare che la gente comune non abbia la questione del Kosovo in prima linea nel suo pensiero politico, questa, invece, è presente silenziosamente e costantemente nelle loro menti e nei loro cuori.

Poi, ogni volta che si verificano incidenti tragici – come recentemente l’omicidio di un importante politico serbo del Kosovo e l’umiliazione subita dalla Serbia con l’arresto di un suo funzionario da parte dei terroristi kosovari – i serbi dimostrano come non si arrenderanno a Gerusalemme, soprattutto a nord del Kosovo dove vive la maggioranza serba.

D’altra parte, però, nel discorso politico tradizionale, da diversi anni il Kosovo è stato presentato praticamente come un peso, una questione che deve essere immediatamente “trattata” affinché la Serbia possa procedere al suo “brillante futuro europeo”.

 

Fiction politica. Arriveremo mai ad una soluzione della questione? Il presidente Aleksandar Vucic ha recentemente aperto al compromesso. Che tipo di compromesso?

Lo spazio della finzione e della virtualità politica prevale al giorno d’oggi. Vedremo quale sarà il compromesso che la Serbia offrirà. Molti serbi temono che questo sarà il modello delle “due Germanie”, che si tradurrà in un cambiamento della Costituzione della Serbia e in un riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo – che non sarà propriamente chiamato così in quanto tale ma che in realtà avrà lo stesso impatto.

Tuttavia, se si guarda all’esperienza storica, diventa chiaro che i serbi hanno sofferto politicamente sia nella prima che nella seconda Jugoslavia e, in questo senso, l’unico vero compromesso, realistico e sostenibile, sarebbe quello che prevede che il nord del Kosovo e la Repubblica di Srpska diventassero una parte della Serbia, con status ex-territoriale per i monasteri serbi nel sud del Kosovo.

Le frontiere nei Balcani sono cambiate ogni mezzo secolo o giù di lì e non c’è alcun argomento giustificabile sul perché non possa essere il caso anche ora, specialmente quando è evidente che è necessaria una soluzione a lungo termine per tutte le parti.

 

La Serbia è considerata il punto d’incontro tra Occidente e Oriente. Quanto è importante il rapporto con l’Oriente, in particolare con Mosca?

La tradizione serba – e la sua posizione corretta – è il punto in cui l’Oriente incontra l’Occidente. Così è stato da San Sava[1] in poi. Il rapporto con Mosca per i Serbi è unico e il nostro comune cristianesimo ortodosso è una parte significativa di questo. Oltre il 72% dei Serbi è favorevole a legami ancora più stretti con la Russia. In termini politici, la Russia è sempre stata l’alleata della Serbia, mentre il fatto che un nuovo mondo nasca in questo secolo apre anche nuove possibilità in questo senso.

In termini politici, invece, la Russia è sempre stata l’alleata della Serbia, e il fatto che in questo secolo stia nascendo un nuovo mondo apre anche a nuove possibilità in questo senso.

 

In relazione alla nascita di un nuovo mondo, nel suo articolo, lei parla dei Balcani come un importante topos nella formazione del mondo multipolare del XXI secolo e nella Repubblica Srpska come esempio di un nuovo inizio politico. Puoi spiegare la tua teoria?

La Repubblica Srpska è attualmente il caso più rappresentativo di sovranità politica non solo tra la popolazione serba ma nei Balcani in generale – e non è ancora pienamente uno stato.

In secondo luogo, Banja Luka appare come una testimonianza viva che la Russia è una parte costitutiva dell’Europa – un fatto così chiaro e tuttavia troppo spesso dimenticato – e in tal modo traccia la strada per cui dovrebbe essere anche uno dei diversi Stati europei.

La fine del neocolonialismo e del neoimperialismo in Europa è interrelata proprio al riconoscimento su quanto si estende l’Europa e la Repubblica Srpska sta mostrando la direzione; presenta la prospettiva di nuovi ed autentici inizi politici e la sua élite politica persegue i veri interessi della sua gente.

Inoltre, la potenzialità strategica della realizzazione di una nuova politica russa e originariamente europea nei Balcani è ora aperta sulla questione del futuro della Repubblica Srpska. La strada che parte da Banja Luka, quindi, può esemplificare al meglio il ruolo dei Serbi nel processo di creazione di una nuova Europa autoriflessiva e autodeterminata.

 

Si suole dire: “la casa è dove è il tuo cuore”. Dove la Serbia e i serbi si sentono a casa?

Il loro cuore è precisamente nella Repubblica Srpska e in Kosovo, che dal punto di vista emotivo, spirituale e politico sono inseparabili per i Serbi. Inoltre, contemporaneamente, questi sono i luoghi dove i Serbi hanno sofferto di più, storicamente e in passato, e dove è stata commessa una maggiore ingiustizia nei loro confronti. Senza questi luoghi, i Serbi sarebbero rimasti senza un cuore, cioè assomiglierebbero alla figura del morto che cammina senza un cuore. Allora potrebbero essere ovunque – e sarebbero sempre da nessuna parte.

 

*La prof.ssa Bogdana Koljević (Senato della Republika Srpska) svolge la funzione di ricercatore associato presso l’Istituto per gli studi politici di Belgrado. 


NOTE

[1]    San Sava (1174 – 14 gennaio 1236), noto come l’Illuminatore, era un principe serbo e monaco ortodosso, il primo arcivescovo della Chiesa serba autocefala, il fondatore della legge serba e diplomatico. È considerato una delle figure più importanti della storia serba.


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Collaboratore di "Eurasia", è autore di Ellada 2013. La crisi della Grecia raccontata dai suoi cittadini (Eclettica Edizioni, 2014) ed ha contribuito al volume Ex Jugoslavia: Gioco sporco nei Balcani (Anteo Edizioni), curato da Stefano Vernole.