Nonostante la fine della Guerra Fredda sia sempre stata ritenuta il momento conclusivo della contrapposizione nucleare, in realtà, la conflittualità missilistica tra le grandi potenze globali sembra tutt’altro che terminata. Proprio in questi ultimi mesi le notizie di sperimentazione ed installazione di nuovi sistemi d’arma emergono quasi quotidianamente sui principali mezzi di diffusione dell’informazione.

Sin dai primi anni del secondo dopoguerra, simbolicamente a partire dalle tragedie di Hiroshima e Nagasaki, è partita una competizione nucleare via via sempre più vigorosa tra le grandi potenze. Gli Stati Uniti, dopo la dimostrazione distruttiva in Giappone, apparivano irrecuperabili. Il possesso di un’arma così potente, era la chiave dell’egemonia mondiale. Solo nel ’59 l’Unione Sovietica riuscì ad equiparare strategicamente gli Stati Uniti nel possesso dell’arma nucleare.

Da quel momento in avanti l’escalation è stata incontrollabile. Armarsi era il mantra delle amministrazioni statunitensi così come lo era per il Plenum del Partito Comunista Sovietico. Paradossalmente, si era arrivati ad un livello in cui non contava più il numero di testate di cui si era in possesso; anche solo lanciandone una percentuale irrisoria, si poteva causare un olocausto nucleare e la quasi totale distruzione del globo.

Sotto questo punto di vista, si era entrati in quella che venne chiamata la Mutual Assured Destruction, non a caso annagrammata M.A.D. (‘pazzo’ in inglese), il rischio della distruzione a vicenda, della guerra senza un vincitore. Questo meccanismo del terrore reciproco avrebbe però agito da deterrente nei confronti di entrambe le superpotenze evitando in un qualche modo la mutua distruzione.

Gli accordi che avrebbero posto una limitazione alle armi nucleari sono arrivati molto tardi. Il primo Trattato multilaterale che ha imposto una forma di limite è stato il Trattato di Non Proliferazione, sottoscritto nel 1968 da numerose potenze. Gli Stati che avessero aderito a questo accordo si sarebbero impegnati a non sviluppare l’arma nucleare da quel momento in avanti. Banalmente, chi aveva testate termonucleari poteva tenerle, chi non le avesse possedute vi avrebbe rinunciato per sempre. Era un accordo che mirava ad istituzionalizzare l’esclusiva titolarità dell’arma nucleare per le grandi potenze. Questo sistema si ritiene servisse agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna e all’URSS per garantirsi di essere gli unici Paesi ad avere legalmente il potere di deterrenza atomico. Francia e Cina si rifiutarono di sottoscrivere il trattato e si sono riservate di firmarlo solo nel 1992, quando ormai erano già in possesso di un numero soddisfacente di testate strategiche.

Nel corso degli anni, dal ’72 in avanti, sono stati numerosi i trattati che hanno limitato lo sviluppo di ulteriori ordigni e dei loro vettori, fino ad arrivare ad una vera e propria riduzione.

È opportuno considerare che, proprio per il vantaggio strategico della deterrenza, risulta anacronistico pensare che tutto il globo possa venire progressivamente denuclearizzato. Attualmente, i Paesi ai quali è accordato dalla quasi totalità della comunità internazionale di poter detenere l’atomica sono soltanto i cinque componenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; anche se altri risultano in possesso di armi e, proprio per questo, si rifiutano di aderire ai trattati. Tra questi l’India ed il Pakistan, segnati da una forte rivalità, la Corea del Nord ed Israele, i quali evitano peraltro di dichiarare il numero di testate in loro possesso.

Questo periodo di limitazione e disarmo ha portato alla stipula di una serie di accordi, in primis i c.d. SALT (Strategic Arms Limitation Talks) giunti appunto al termine dei “Negoziati per la limitazione delle armi strategiche”, i quali ponevano il limite massimo di vettori ICBM, SLBM e di missili caricati su bombardieri. Questi erano considerati gli armamenti strategici, perché erano quelli che avrebbero potuto consegnare una forma di vantaggio strategico all’avversario. Pertanto era necessario limitare i vettori intercontinentali a lunga gittata (ICBM) e quelli posizionati su sottomarino (SLBM), difficili da sorvegliare e potenzialmente transitabili in qualsiasi mare del globo. In ultima istanza si optò persino per la limitazione dei missili anti balistici. I missili anti balistici sono strumenti d’arma atti ad intercettare le testate nucleari nemiche. Il motivo della riduzione di questo sistema era chiaro: qualora una delle due potenze avesse avuto la garanzia di attutire il colpo nemico, di rimanere pressoché illesa in un first strike, sarebbe stata spinta ad attaccare e avrebbe già vinto la guerra ancora prima che questa avesse inizio. Limitando i missili anti balistici alla protezione della capitale (solo con 100 vettori) e ad un solo altro punto strategico non dichiarato all’avversario, la MAD diventava una vera e propria dottrina di tutela militare. Fintanto che entrambe le potenze avranno la certezza di non uscire indenni da una guerra termonucleare, nessuna delle due avrebbe azzardato un attacco.

I negoziati SALT, durati diversi anni, sono partiti nelle intenzioni di URSS e Stati Uniti solo dopo la brutta esperienza della Crisi missilistica di Cuba del ‘62, quello che è passato ai posteri come il momento di massima tensione nucleare della storia.

Avvicinandosi il crollo dell’Unione Sovietica, su iniziativa statunitense, si è operato a siglare gli accordi START (anagramma di Strategic Arms Reduction Treaty), una prima vera e propria riduzione delle testate a disposizione dei due Paesi contrapposti. Il primo trattato è stato firmato solo nel 1991.

Successivamente, nel 1993, è stato sottoscritto il trattato START II, tra George Bush e Boris Eltsin. Con questo trattato non solo si era arrivati alla conclusione di più che dimezzare le testate nucleari presenti nel mondo, ma vennero anche banditi i vettori MIRV (vettori con lancio multiplo delle testate, delle sorte di bombe nucleari a grappolo). La definitiva ratifica da parte russa venne messa in forte crisi a causa del dissenso contro gli interventi militari USA nel Golfo.

Dopo il collasso dell’URSS il problema dei missili e della loro presenza non è venuto meno, anzi, dal canto loro gli USA, a guida della coalizione atlantica, hanno dimostrato un inedito attivismo nel voler accogliere sempre più Paesi ex satelliti sovietici all’interno della NATO. Potenze di media rilevanza regionale, storici alleati della Russia sovietica, sono entrati a far parte del trattato con la fine del millennio. Di particolare rilevanza strategica sono Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Romania.

Di pari passo allo sviluppo dei trattati di limitazione delle armi nucleari, gli USA sotto la presidenza di Ronald Reagan hanno avviato un progetto di realizzazione di una tecnologia anti-missile, il celebre “scudo spaziale”, denominato Strategic Defense Initiative. Anche se non è mai dispiegata se non in minima parte, la tecnologia dello SDI ha aperto il campo ad alcuni degli attuali sistemi Anti Balistici odierni. Il sistema, tanto sponsorizzato dall’amministrazione USA, incontrò numerose critiche e venne particolarmente contestato dai sovietici perché ritenuto lesivo del Trattato ABM firmato nel ’68.

Il Trattato START II è stato poi superato dal trattato SORT, siglato dai presidenti George W. Bush e Vladimir Putin nel 2002, e successivamente dal New Start nel 2010.

Nello stesso 2002, però, il Presidente George W. Bush denunciò il trattato Anti Missili Balistici del ’68 e spinse per una rinnovata ricerca sui sistemi di scudo. Da quel momento gli USA hanno ripreso ad investire ingenti somme per sistemi di difesa missilistica proponendo ai loro alleati di farsi garanti della loro sicurezza.

È bene ricordare che l’assenza di un sistema di scudo era ciò che garantiva la Mutual Assured Destruction e, in un qualche modo, congelava la tensione tra le due potenze. Nonostante il continuo clima di terrore, nessuna delle due potenze avrebbe potuto soverchiare l’altra senza subire ingenti danni.

Dalla denuncia unilaterale del trattato citato, gli Stati Uniti hanno progressivamente espanso la loro presenza strategica di difesa nell’est Europa. Gli USA, con importanti sforzi diplomatici, sono riusciti non solo a portare nella NATO la prima bretella di Paesi che ad Est della Germania erano parte integrante del Patto di Varsavia, ma ancora di più sono riusciti ad installare la loro presenza missilistica strategica. Lo scudo missilistico in est Europa, è stato avviato dal Presidente Obama nel 2009, con fulcro in Polonia. Battezzato con il nome di “European phased adaptive approach” (EPAA) nasceva con l’idea di installare missili anti balistici al fine di intercettare eventuali attività ostili da parte della Russia e dell’Iran.

Successivamente però, il sistema EPAA con prevista installazione su terra venne abortito per fare spazio all’AEGIS, un sistema equivalente di intercetto missilistico ma basato su mare, ed ospitato dalle navi della US Marine. Il sistema in oggetto impiega un apparecchio di antenne piane per individuare e seguire i bersagli. I segnali vengono poi elaborati e gli armamenti presenti sull’imbarcazione possono essere lanciati per intercettare il colpo nemico. Questo sistema, sebbene costoso, è ritenuto particolarmente efficace e di agevole gestione, nonché facile mobilità.

Installato a bordo delle principali unità da combattimento marittime USA, i cacciatorpediniere e gli incrociatori, il sistema AEGIS è stato sviluppato per superare i limiti dei sistemi radar tradizionali.

All’interno dei progetti che compongono la ricerca della SDI, rientrano anche i sistemi di intercettazione dei veicoli di rientro esoatmosferici, cosiddetti ERIS. Questi sono sviluppati come intercettori posizionati a terra. Il sistema venne testato a lungo ma mai dispiegato perché rimpiazzato dal più recente sistema missilistico noto come THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). Il THAAD, che è tornato recentemente alla ribalta, è appena stato installato dalla superpotenza americana sul territorio della Sud Korea, per completare una tutela strategica nei confronti di Pyongyang. Il sistema missilistico THAAD si è dimostrato particolarmente efficace perché non necessita di particolari installazioni e non è eccessivamente costoso. In particolare si tratta di missili che non trasportano nessuna testata, non sono caricati di esplosivi massici, ma basano invece tutta la loro potenza di dissuasione sulla forza cinetica dell’impatto contro il missile nemico, facendolo così detonare in volo ad alta quota. Questo sistema, perfetto e preciso per l’intercettazione dei missili a corto e medio raggio, pare sia inefficace contro i missili intercontinentali, troppo grandi e resistenti perché il colpo difensivo vada sempre a segno.

Il complesso di radar, lanciatori e posto di comando non richiede la creazione di infrastrutture particolari, oltre a quelle minime per la sicurezza della base e l’alimentazione elettrica. La Cina ha interpretato il posizionamento del THAAD come una minaccia concreta alla sua libertà di azione soprattutto nella aree del Mare Cinese Orientale. Il radar del THAAD inoltre, ha dimostrato di essere uno dei più potenti e precisi al mondo. Posizionato così vicino al gigante cinese, è un importante avamposto di osservazione e monitoraggio.

Tornando al fronte orientale, l’attivismo atlantico in Europa dell’Est ha portato dopo l’accordo con la Polonia, a far sì che nel febbraio 2010 la Romania abbia sottoscritto assieme agli USA un accordo al fine di accogliere sul suolo rumeno i missili SM-3 NATO entro 5 anni.

Proseguendo, nel 2011, l’amministrazione strategica USA diffuse una nota informativa che tornava a riproporre il sistema EPAA, in modo da integrarlo nel progetto difensivo degli alleati della NATO. In particolare la cronistoria dell’installazione di questo sistema prevedeva quattro fasi fondamentali da raggiungere negli anni a venire. In primis, a partire dal 2011, si sarebbe dovuto diffondere il sistema AEGIS tramite caricamento sulle navi americane ed anche alleate al fine di scongiurare definitivamente potenziali attacchi con missili a corto e medio raggio. Gli intercettori impiegati sarebbero stati gli SM-3. Questa fase, inoltre, prevede anche una distribuzione di radar di avvistamento a terra.

Con il 2015 poi, combinando la ratifica del trattato USA- Romania con l’accordo intrapreso con la Turchia al fine di installare radar a terra, gli USA hanno ottenuto un positivo vantaggio strategico nella regione danubiano-balcanica e nella penisola anatolica, teatri di grande vicinanza con il Vicino Oriente.

La terza fase è in realizzazione nel 2018. La Polonia installerebbe definitivamente l’intercettatore missilistico e, con il posizionamento nelle repubbliche baltiche della Very High Readiness Jount Task Force, VJTF, una brigata terreste ultraveloce capace di essere schierata in qualsiasi parte del mondo entro 3 giorni dall’attivazione, il cerchio del fronte orientale si chiuderebbe definitivamente ponendo la Federazione Russa in una condizione di vantaggio strategico.

La quarta fase, invece (2020) è tesa alla trattativa ed installazione di sistemi utili a fermare i missili balistici intercontinentali (ICBM) verso gli Stati Uniti provenienti dal Medio Oriente. Mentre attualmente gli Stati Uniti godono di un soddisfacente impianto anti ICBM in Alaska, finalizzato ad intercettare eventuali attacchi intercontinentali da parte della Cina, della Russia e della Nord Korea, non posseggono un sistema analogo che li tuteli sul lato orientale.

Il raggiungimento del definitivo vantaggio strategico da parte degli Stati Uniti è percorribile solamente, nelle idee dell’amministrazione USA, tramite il posizionamento di tutti i sistemi di intercettazione a corto raggio, installati sui territori dei Paesi alleati sul continente eurasiatico, mentre la difesa dai missili a lunga gittata è posizionata parzialmente in Alaska e, nei progetti USA, verrà posizionata alle porte del Medio Oriente.

A prescindere dagli sviluppi dei nuovi sistemi d’arma, si può notare come sebbene la guerra fredda sia terminata da più di 25 anni, in realtà poco sembra cambiato. Si può ritenere che questa guerra, dal punto di vista geostrategico e non ideologico, non si sia mai definitivamente conclusa e che abbia ripreso parte del suo vigore negli ultimi anni.

Diversamente dalla guerra fredda, però, gli USA stanno dimostrando di essere particolarmente vicini al raggiungimento del vantaggio strategico. Il collasso e lo smembramento dell’Unione Sovietica hanno garantito agli Stati Uniti di poter penetrare strategicamente il tessuto degli ex alleati sovietici.

Il possibile completamento dello scudo attorno al mondo occidentale ed a contenimento del mondo Eurasiatico, garantirebbe agli USA di poter potenzialmente sferrare un qualsivoglia attacco senza temere il first strike del nemico. In un’ottica nucleare, un vantaggio del genere garantirebbe ad una potenza come quella statunitense di poter vincere nel 100% dei casi.

Questa situazione non si è mai verificata nel bilanciamento della potenza ed è quello che i teorici della MAD avevano immaginato al fine di evitare il rischio di un attacco unilaterale da parte di una superpotenza sull’altra. A questo punto resta solo comprendere, qualora gli Stati Uniti dovessero trovarsi in una condizione di vantaggio perenne sul piano missilistico, come riterranno di impiegare questa egemonia nucleare, che pare il punto conclusivo di un risiko che passo dopo passo è durato oltre sessant’anni.


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Laureato Magistrale in Relazioni Internazionali all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, ha conseguito il Master in Diplomacy presso l’Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI).