Mentre diventa sempre più l’epicentro di molteplici tensioni (il caso più recente è costituito dal drammatico sequestro del giudice Mehmet Selim Kiraz, conclusosi con la sua morte) la Turchia si appresta a innescare un’altra situazione esplosiva: la predisposizione di una forza armata di 15.000 combattenti “anti ISIS” progettata dagli Stati Uniti in collaborazione con Arabia Saudita, Qatar, Giordania e la Turchia stessa.

In particolare lo scorso febbraio è stato firmato ad Ankara l’accordo – che diverrà operativo dal prossimo mese di maggio – fra Stati Uniti e Turchia per l’addestramento e l’equipaggiamento di non meglio precisati “ribelli moderati” in funzione anti ISIS. In territorio turco l’addestramento avverrà in una base militare ubicata nella centrale provincia di Kırşehir, e si avvarrà della presenza anche di istruttori britannici.

Quanto dichiarato in un’audizione al Senato USA dal Capo di Stato Maggiore dell’esercito statunitense, generale Martin Dempsey – quello favorevole alla consegna di “armi letali” all’Ucraina – dal Segretario alla Difesa Ashton Carter e dal Segretario di Stato, John Kerry, non lascia dubbi sulle finalità del progetto: i “ribelli moderati” dovranno essere sostenuti e militarmente protetti dagli Stati Uniti anche nei confronti del “regime di Assad”, ossia dal governo siriano.

Si sarebbe pertanto finalmente trovata “carne da macello” da impiegare nei prevedibilmente sempre più duri combattimenti in Siria e in Iraq, inserendo una forza di terra che potrà essere utilizzata in funzione di ulteriore destabilizzazione dell’area vicinoorientale, in primo luogo contro il legittimo governo siriano che si sta battendo con coraggio e determinazione contro le “brigate internazionali” per anni sostenute dall’Occidente.

La caduta di Idlib – importante città siriana situata nel nordovest del Paese – in mano ai terroristi di Al Nusra e di altri gruppi è stata salutata da esponenti governativi turchi, a quanto afferma il quotidiano Hurriyet, come “una vittoria dell’opposizione siriana”, e questo testimonia l’ambiguità e la strumentalità della considerazione delle forze in campo.

Il 7 aprile il Capo di Stato Erdogan si recherà in visita ufficiale a Teheran, e questo potrebbe essere un momento importante nella definizione degli scenari futuri; le recenti (26 marzo) dichiarazioni di Erdogan hanno ulteriormente alimentato le tensioni: “L’Iran cerca di dominare la regione – ha affermato – se forze iraniane sono dispiegate nello Yemen, in Siria e in Iraq, esse devono essere ritirate”.
Gli ha risposto con franchezza il ministro degli Esteri di Teheran, Mohammad Javad Zarif: “Coloro che hanno causato danni irreparabili con i loro errori strategici farebbero bene a mostrarsi più responsabili, per favorire la stabilità della regione”.

Aldo Braccio


Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.


 

Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.