Lo sviluppo delle indagini sul ruolo che Jair Bolsonaro potrebbe aver ricoperto nel tentativo di colpo di Stato ai danni dell’attuale presidente Lula ha indotto l’ex presidente a convocare in piazza i suoi fedelissimi. Una sentenza di condanna impedirebbe a Bolsonaro di ricandidarsi alla massima carica istituzionale nel 2026.

 

È alla piazza e ai suoi sostenitori che l’ex presidente Jair Bolsonaro si è rivolto per rilanciare la propria immagine pubblica, pesantemente compromessa nelle ultime settimane.

Nel quadro dell’operazione “tempus veritatis” del Tribunale Supremo Federale (TSF), l’inchiesta sulle azioni violente compiute da alcune migliaia di bolsonaristi l’8 gennaio 2023 nella capitale Brasilia, sono state adottate misure cautelari nei riguardi dei più fidati consiglieri dell’ex presidente. Meno di un mese fa, per volere del giudice del TSF Alexandre De Moraes, sono scattate le manette per l’ex consigliere speciale dell’ex presidente, Filipe Martins, e per il colonnello dell’esercito Marcelo Câmara.

Quest’ultimo non è l’unico militare coinvolto nell’operazione, poiché altre perquisizioni sono state eseguite nelle abitazioni dei generali che erano in servizio all’epoca dei fatti: Braga Netto, Augusto Heleno e Paulo Sèrgio Nogueira. Anche la destra politica del Paese verde-oro è coinvolta nella vicenda, dato il ruolo svolto dal presidente del partito liberale Valdemar Costa Neto e dall’allora ministro della Giustizia e della Sicurezza nazionale Anderson Torres, nelle abitazioni dei quali è stato trovato un documento con lo schema dettagliato del piano golpista.

Il piano golpista

Informazioni dettagliate sul piano sarebbero contenute nel cellulare di Tercio Arnaud Tomaz, il responsabile della gestione dei social network ufficiali di Bolsonaro. Nel cellulare di Mauro Cid, membro della squadra dell’ex presidente, ci sarebbe la prova schiacciante della partecipazione al colpo di stato da parte dell’entourage bolsonarista, nonché la prova dell’esistenza di una vera e propria cabina di regia che doveva scongiurare la perdita del potere in caso di sconfitta elettorale. In tal caso, il piano dei golpisti (ora in possesso degli inquirenti) avrebbe consentito alle forze armate di assumere in otto tappe il comando del Paese. Il documento, composto di tre pagine e intitolato “Le forze armate come potere moderatore”, prevedeva come primo passo che ai militari venisse inviata una relazione su presunte irregolarità commesse dalla magistratura; una volta ricevuto il rapporto, i militari sarebbero intervenuti per “ristabilire l’ordine costituzionale”. Le decisioni della Magistratura sarebbero state sospese e sarebbero stati allontanati i componenti del Tribunale Superiore Elettorale (TSE), ritenuti “responsabili di compiere atti che violano le prerogative di altri poteri”.

Infine i militari golpisti, constatando una “situazione in disaccordo con la Costituzione”, avrebbero indetto nuove elezioni.

Il commento di Lula e il contrattacco di Bolsonaro

Il presidente Lula ha dichiarato che l’anno scorso quei quasi diecimila sostenitori di Bolsonaro intendevano sovvertire l’espressione popolare che lo aveva incoronato nuovamente alla guida della nazione. Secondo Lula, il viaggio in Florida del suo sfidante, che manteneva un ambiguo silenzio sull’esito della tornata elettorale, aveva svolto un importante ruolo di sostegno nei confronti del tentativo di eversione.

Da parte sua Bolsonaro, al quale è stato ritirato il passaporto ed è stato ordinato di non lasciare il Brasile, sostiene di essere vittima di una persecuzione. Nel corso dell’evento svoltosi per le strade di San Paolo, che è stato organizzato dal pastore evangelico Silas Malafaia, nuovo braccio destro di Bolsonaro, quest’ultimo ha chiesto l’approvazione di un’amnistia per le persone già condannate in seguito all’occupazione degli edifici presidenziali, congressuali e della Corte Suprema.

Non è esclusa l’ipotesi che Bolsonaro, qualora fosse accertato un suo ruolo attivo nell’organizzazione degli eventi dell’8 gennaio 2023, oltre ad essere giudicato ineleggibile possa anche essere arrestato. Perciò l’ex presidente è alla ricerca di una “pacificazione ad orologeria” che gli consenta di restare alla guida della destra brasiliana, in vista di una nuova candidatura alla presidenza nel 2026.

Nel frattempo non mancano gli attacchi della fazione bolsonariana alla politica estera di Lula, il quale nella conferenza stampa tenuta al termine del viaggio in Etiopia ha suscitato l’ira di Benjamin Netanyahu definendo “genocidio” quello compiuto a Gaza. Il primo ministro israeliano si è affrettato ad osservare che Lula ha “superato la linea rossa”, sicché non è più persona gradita nello Stato ebraico. La posizione di Lula si colloca così ad una distanza siderale da quella di Bolsonaro, il quale aveva espresso l’intenzione di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico spostando da Tel Aviv l’ambasciata carioca. Ma la sconfitta elettorale di Bolsonaro, avvenuta nell’ottobre del 2022, impedì l’attuazione del trasferimento della rappresentanza diplomatica.


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Luca Lezzi nasce a Salerno il 22 febbraio 1989, laureato in Scienze politiche si è specializzato in Storia contemporanea e geopolitica dell’America Latina. Collabora con diverse testate, fra le quali ElectoMagazine e Diorama letterario oltre ad aver fondato, nell’autunno 2019, la rivista di approfondimento politico-culturale Il Guastatore, di cui è editore e coordinatore di redazione. Coautore del libro “Il socialismo del XXI secolo. Le rivoluzioni populiste in Sudamerica” (Circolo Proudhon edizioni, 2016), è autore del saggio biografico “Juan Domingo Perón” (Fergen, 2021). Cura per le case editrici milanesi Oaks e Iduna una collana sulle guide dell’antimperialismo. Studioso del sindacalismo e delle tematiche ad esso affini è autore del saggio storico "Filippo Corridoni. La vita e le idee dell'Arcangelo Sindacalista" (Passaggio al Bosco, 2021) e caporedattore della testata “Partecipazione”, organo dell’istituto Stato e Partecipazione.