Fonte: http://perspectivesgeopolitiques.wordpress.com/2010/02/01/la-coree-du-nord-un-etat-parasite/ 4 Febbraio 2010

La sospensione degli accordi di cooperazione inter-coreana, il rifiuto dei termini dell’armistizio del 1953, inasprimento delle posizioni diplomatiche, la riapertura degli impianti nucleari, la ripresa dei test sotterranei, nuovi lanci di missili e razzi. Dal momento del suo ritiro dal TNP (Nuclear Non-Proliferation Treaty), nel 1993, la Corea del Nord ha puntualmente sfidato la comunità internazionale. L’ultima sfida: l’avvio da parte di Pyongyang, lo scorso venerdì, di tiri di artiglieria nel Mar Giallo, per il terzo giorno consecutivo, in un settore delicato al confine con la Corea del Sud.

Unanimemente condannata dalla comunità internazionale, questo affronto diplomatico – che è non ha nulla di nuovo, in sé – è parte della strategia della Corea del Nord per acquisire un deterrente per perpetuare il proprio regime e negoziare in una posizione di forza con Washington. Tuttavia, la comunità internazionale, guidata dalla fermezza statunitense, non sembra disposta ad aprire colloqui con Pyongyang, continuando la sua obsoleta politica d’isolare la Corea del Nord. Al di là delle conseguenze disastrose di questa strategia, sul piano economico e umanitario, l’inazione globale andrà a vantaggio delle autorità della Corea del Nord, come pure gli Stati vicini, che non hanno interessi diretti nel disinnescare il gioco geostrategico che si svolge nella regione.

Per la Cina, la Corea del Nord è una pedina strategica che non ha alcuna intenzione di abbandonare. Dopo la proclamazione della Repubblica democratica popolare di Corea (DPRK) nel 1948, il governo cinese ha sempre sostenuto attivamente il regime di Pyongyang. Questo sostegno si manifesta in varie forme: aiuti alimentari, consegna dei prodotti energetici, vendita di armi, trasferimento di tecnologia nucleare. Principale alleato della Corea del Nord, la Cina è nettamente contraria a una rigorosa applicazione delle sanzioni internazionali, che potrebbero in ultima analisi, far cadere il regime di Pyongyang e portare ad un afflusso incontrollato di profughi sui 1.300 chilometri di confine con il vicino comunista. Inoltre, la Cina non ha alcun interesse a mettere a repentaglio una relazione economica reciprocamente vantaggiosa. Il commercio bilaterale tra la Cina e la RPDC è arrivato a 2,8 miliardi di dollari nel 2008, un aumento di circa il 40% rispetto al 2007. Per quanto riguarda le esportazioni cinesi verso il paese di Kim Il-Sung, ammontano a 2 miliardi di dollari lo scorso anno. Inoltre, la Cina ha ottenuto la gestione di diversi porti della Corea del Nord, che gli dà un certo vantaggio rispetto ai suoi concorrenti commerciali del Giappone e Sud Corea. Da un punto di vista strategico, il sostegno dalla Cina a Pyongyang, garantisce al regime cinese la presenza di una nazione amica alla frontiera nord-orientale, una zona cuscinetto reale tra il suo territorio e quello della democratica Corea del Sud, che ha circa 30000 soldati e marinai statunitensi. Ciò permette alla Cina di ridurre il suo dispiegamento militare nella regione, concentrarsi più direttamente sulla questione dell’indipendenza di Taiwan. Inoltre, la fedeltà della Corea del Nord alla Cina offre, a quest’ultima, un baluardo contro il dominio militare degli Stati Uniti e la concorrenza economica del Giappone.

Per la Corea del Sud, la capacità di poter indebolire il regime di Kim Jong-il non ha che svantaggi. Militarmente, la minaccia nucleare della Corea del Nord – appoggiata dalla Cina – consente a Seoul di giustificare la presenza militare statunitense sul suo territorio e il sostegno diplomatico di Washington. Il mantenimento, da parte dei militari degli Stati Uniti, di una grande riserva di armi nel paese salva anche dalle spese onerose per la difesa. Politicamente, lo status quo delle relazioni inter-coreane, accoglie una Corea del Sud che vuole favorire una graduale evoluzione del conflitto, senza imbarcarsi in un’avventura politica disastrosa. In effetti, Seoul non ha nessun interesse a vedere il crollo del governo di Pyongyang. Le spese provocate da una brusca caduta del regime, minerebbero il dinamismo e la crescita economica del drago sudcoreano. Lo stesso vale per la questione della riunificazione dei due Stati: il desiderio di promuovere la riunificazione con il vicino del nord, è in gran parte temperato dalla paura di vederla sfociare nelle difficoltà economiche e sociali, che il Sud si troverebbe ad affrontare. La difficile riconversione della Corea del Nord – la cui economia è uno delle più sinistrate del pianeta, potrebbe portare a una ridotta produzione e competitività delle imprese della Corea del Sud, o causare un rapido collasso degli investimenti diretti esteri. Così, il costo della riunificazione della Corea, viene compreso tra i 25 miliardi e i 3,5 triliardi di dollari, secondo gli esperti. Le previsioni allarmistiche dei sudcoreani, non sembrano essere condivise dai loro dirimpettai giapponesi.

Per il Giappone, la prospettiva della riunificazione “tedesca” del popolo coreano, anche se è altamente improbabile nel breve periodo,  resta una possibilità che non esclude, ma che teme lo stessa. In effetti, le conseguenze di una Corea riunificata sarebbero molto dannose per l’economia giapponese: Tokyo sarebbe, quindi, costretta a competere con le locomotive cinese e coreana. Questa analisi è stata anche confermata da uno studio della prestigiosa Goldman Sachs, che stima che il nuovo stato coreano potrebbe essere l’ottava economia più grande del mondo, entro il 2050, prima di Francia, Germania e Giappone … . Questa potenza economica, potrebbe essere affiancata da una potenza politica con cui, la nuova Corea potrebbe cercare di destabilizzare o minacciare gli interessi del suo rivale giapponese, per esempio attraverso gli scandali politici e finanziari della classe politica del Giappone, o un notevole effetto leva rappresento da circa 600000 coreani residenti in Giappone, il cui status sociale e politico non è ancora riconosciuto. Inoltre, la presenza di una seconda potenza nucleare sul suo fronte occidentale, convincerebbe Tokyo a nuclearizzare il suo arsenale militare, per sostenere la propria integrità territoriale e preservare l’equilibrio nella regione. Di fronte al conflitto inter-coreano, il Giappone si sente sempre più vulnerabile, in particolare per la sua dipendenza militare nei confronti degli Stati Uniti, ripetutamente criticati dalla sua opinione pubblica, negli ultimi dieci anni. La crescente importanza del bilancio giapponese dedicata alla difesa e alla sicurezza (48 miliardi di euro nel 2008), dimostra che Tokyo prende molto sul serio le minacce al suo futuro.

Per gli Stati Uniti, il rischio della proliferazione nucleare e/o del trasferimento di tecnologia fissile, serve da pretesto per mantenere le sue forze armate in Corea del Sud e Giappone, formando una specie di cintura militare contro una Cina in guardia. Tre obiettivi specifici alla base della strategia verso la Corea del Nord di Washington: la lotta contro la proliferazione nucleare, la denuclearizzazione della Corea del Nord e l’apertura di colloqui bilaterali su questo tema con la Cina. Già sotto l’amministrazione Bush, è stata stabilita, con la collaborazione del Giappone, una iniziativa per la sicurezza anti-proliferazione volta a sviluppare la capacità di intercettare le navi nordcoreane che trasportano materiali nucleari. Tuttavia, questa manovra è stata gravemente indebolita dalla mancanza di partecipazione dei sud-coreani e dei cinesi. Washington è anche impegnata nel processo del negoziato a sei (Corea del Nord, Corea del Sud, Cina, Russia e Giappone), al fine di trovare una soluzione praticabile al problema del nucleare della Corea del Nord. Mentre è improbabile che le discussioni del sestetto portino alla denuclearizzazione di Pyongyang, è tuttavia possibile che un accordo sul controllo dei reattori della Corea del Nord sia firmato, in cambio di aiuti finanziari aggiuntivi: su cui l’’amministrazione Obama sta lavorando, dopo la ripresa delle ostilità da parte di Pyongyang, nel luglio scorso. La carta vincente della strategia Usa verso la Corea del Nord, resta il regime cinese: l’obiettivo primario di Washington è quello di incoraggiare Pechino a fare pressione su Pyongyang, ricordandogli le conseguenze del confronto (l’aumento delle capacità militari giapponesi, il rafforzamento della cooperazione UE-USA-Giappone). Lo scenario ideale per gli statunitensi, è l’organizzazione da parte della Cina di un colpo di stato che eliminerebbe, de facto, Kim Jong-il e lo sostituirebbe con un regime dittatoriale pronto ad abbandonare le sue ambizioni nucleari e a seguire l’esempio cinese sull’apertura al mondo.

Quest’ultimo scenario potrebbe, tuttavia, rivoltarsi contro gli interessi statunitensi. Infatti, se la tensione salisse in Corea, la Cina potrebbe decidere di eliminare il regime nordcoreano, per evitare una guerra che potrebbe vederla tra i perdenti. Tale soluzione porrebbe fine al problema della Corea del Nord, ma potrebbe indebolire la posizione degli Stati Uniti in Asia, perché non sarebbe più necessario mantenere le loro truppe in Corea e Giappone. Vantaggioso per tutti, lo status quo non sembra essere messo in discussione, a breve termine. Ma il gioco non è ancora finito…

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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