Giunto simbolicamente a Belgrado il 23 marzo (giorno antecedente all’anniversario dell’inizio dei bombardamenti sulla Federazione Jugoslava nel 1999), il capo del governo di Mosca, Vladimir Putin, avrebbe dichiarato che tra l’attuale crisi libica e quella kosovara di 12 anni fa esisterebbero diverse differenze.

Sicuramente, però, vi sono anche parecchie analogie.

Preparazione mediatica all’aggressione militare: come allora, l’intervento degli aerei della coalizione occidentale è stato preceduto da una lunga campagna dell’opinione pubblica, volta a demonizzare l’avversario. Nel 1999 fu il falso massacro di Racak a fornire il pretesto per l’umiliante ultimatum di Rambouillet, oggi sono state le false fosse comuni di Tripoli (1) e gli inesistenti raid aerei (2) sui manifestanti a permettere di scaldare i motori degli aerei dell’aviazione atlantica. Anche le parole d’ordine della propaganda occidentale sono sempre le stesse: “un dittatore che uccide il suo popolo” (allora Milosevic che vinse tutte le elezioni, oggi Gheddafi che sostituì nel 1969 un regime autocratico introducendo la democrazia diretta), gli “scudi umani” a protezione dei siti da bombardare (in realtà migliaia di volontari pronti a sacrificarsi, a Belgrado a difesa dei ponti sul Danubio, a Tripoli delle città libiche), “gli insorti lottano per la libertà e la democrazia” (in realtà l’UCK era un gruppo ideologicamente marxista-leninista e le tribù ribelli della Cirenaica sventolano le bandiere monarchiche), qualche accenno alla “pulizia etnica” e ai “mercenari” (che nemmeno vale la pena commentare), “Milosevic disposto ad arrendersi dopo 3 giorni di bombardamenti” (furono alla fine 78) e “Gheddafi scappato in Venezuela o in Bielorussia” (forse sarebbe piaciuto a Washington per attaccare Chavez e Lukashenko …), preparazione “culturale” alle rivolte (apertura di un centro statunitense finanziato da Soros a Pristina e discorso di Obama al Cairo).

Sostegno esterno agli insorti e andamento del conflitto: in Kosovo l’UCK venne addestrato, armato e finanziato da BND, SAS, CIA e servizi segreti albanesi, in Libia gli insorti di Bengasi da SAS, CIA, servizi segreti francesi, egiziani e sauditi. In un primo momento l’esercito di liberazione albanese del Kosovo conquistò oltre metà della provincia serba e assunse il controllo di tutte le strade principali, per essere travolto alla prima azione seria intrapresa dalla polizia militare di Belgrado. Lo stesso può dirsi per le tribù della Cirenaica che, dopo un fantomatico successo iniziale, stavano per scappare in Egitto e perdere anche la loro roccaforte. In entrambi i casi, questi gruppi ribelli sono stati utilizzati per creare un clima bellico idoneo per l’intervento esterno, vengono fatti massacrare perché non assumano troppa influenza e verranno poi scaricati quando le potenze occidentali avranno raggiunto i loro obiettivi (nel 1999 la NATO addirittura bombardò la caserma di Koshare, unico successo militare dell’UCK).

Divisione del paese: impossibilitata a vincere davvero il conflitto vista la scarsa attitudine delle sue truppe a condurre un intervento di terra, la NATO si accontentò nel 1999 di occupare soltanto il Kosovo (ricco di minerali e in posizione strategica per la sorveglianza dei corridoi energetici), per poi destabilizzare la Serbia e far cadere Milosevic in un secondo tempo. L’obiettivo principale in Libia è impiantare i soldati dell’Alleanza Atlantica in Cirenaica e nel Fezzan (ricchi di petrolio e in ottima posizione per il controllo dell’Egitto), quali basi iniziali di una futura eliminazione di Gheddafi in Tripolitania (3). La balcanizzazione del mondo continua.

Demonizzazione dell’avversario: agli Stati Uniti, si sa, piace l’impostazione leaderistica della politica e identificano sempre un paese con la sua guida: ieri Milosevic (in realtà un grigio burocrate socialista), oggi Gheddafi (abbastanza attempato, se non altro perché si trova a capo della Libia dal 1969). Questa identificazione totale del potere con un solo uomo, oltre a voler ricordare i paralleli con i grandi avversari storici degli anglosassoni (Mussolini, Hitler, Stalin), permette agli USA di recitare la parte dei “liberatori dall’oppressione” o “dalla dittatura” (sarebbe sufficiente confrontare i parametri economici e sociali della Serbia di Milosevic con l’attuale o della Libia di Gheddafi con il resto del continente africano per capire i “vantaggi” della “liberazione”). In ogni caso le pressioni e l’armamentario ideologico-propagandistico sono identici: sequestro di fantomatici conti all’estero o di improbabili “tesori”, incriminazione al Tribunale dell’Aja (quello che ha ammesso di aver distrutto le prove dei crimini compiuti contro i serbi in Kosovo), pressioni per l’esilio dei “dittatori”. Anche il tranello per attirarli nella trappola è stato pressoché lo stesso: nel 1995 Milosevic fu acclamato a Dayton quale “uomo della pace” (e infatti oggi le clausole approvate per mettere fine alla guerra di Bosnia vengono messe in discussione dalle pressioni atlantiste), Gheddafi dopo le minacce subite da Bush jr. e le riparazioni economiche pagate per l’attentato di Lockerbie (il presunto colpevole è stato rilasciato dagli inglesi per “una grave malattia” nonostante di salute stia benissimo, pur di evitare un processo di appello che avrebbe inchiodato i suoi accusatori britannici a mostrare prove in realtà inesistenti) venne riciclato come alleato nella “guerra al terrorismo”. L’apertura all’Occidente, evidentemente, non paga.

Interessi in gioco: sono abbastanza simili e riguardano il percorso degli oleodotti nel caso kosovaro, i diritti di sfruttamento del petrolio in quello libico (e questi, almeno oggi, sono stati ammessi perfino dalla nostra classe dirigente). Nel caso kosovaro ci furono anche quelli della droga e del traffico di migranti/prostituzione, probabile che anche in Libia avvenga qualcosa del genere. Posizionamento strategico della NATO: base militare USA di Camp Bondsteel in Kosovo (quale porta d’ingresso alle aree strategiche del pianeta, Vicino e Medio Oriente, Caucaso), destabilizzazione dell’influenza russa e turca nel Mediterraneo per la Libia (4), rilancio mediatico del ruolo dell’Alleanza Atlantica quale gendarme globale.

Danni all’Italia e mediazione russa: evidenti all’epoca dell’aggressione alla Serbia (affare Telekom Srbja, investimenti commerciali, inquinamento ambientale del Mar Adriatico, conseguenze dell’utilizzo dell’uranio impoverito sui propri militari, violazione della Costituzione, invasione della droga e della mafia kosovara), addirittura clamorosi con la partecipazione ai bombardamenti sulla Libia (perdita di cospicui contratti petroliferi, accordi energetici, perdita di credibilità internazionale dopo la concessione delle basi militari per un attacco militare e violazione del trattato di amicizia italo-libico, aumento dei migranti e probabilmente del traffico di droga) (5). Nel 1999, la Russia che aveva però posto il veto all’intervento nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, favorì con Chernomyrdin la fine delle ostilità; è probabile che ora molti, Berlusconi per primo, si augurino una mediazione russa per trovare una via d’uscita vantaggiosa per tutti.

Non sappiamo, infatti, quanto durerà ancora questa coalizione improvvisata di governi che ormai non hanno più nemmeno la decenza di vergognarsi delle proprie bugie, ma, soprattutto, dopo quanto esportato in Kosovo (dove i gestori del potere organizzavano i traffici di organi umani (6)), Iraq (con nefandezze come l’embargo sul latte ai bambini e le torture di Abu Ghraib) e Afghanistan (dove si confondono trafficanti di droga e necrofili) (7), attendiamo “fiduciosi” di scorgere i frutti del loro “intervento umanitario” in Libia.


* Stefano Vernole, redattore di “Eurasia”, è autore di “La questione serba e la crisi del Kosovo”, Ed. Noctua, Molfetta, 2008.


Note

  1. Paolo Pazzini su “Il Giornale”: “Vengo da Tripoli e vi dico che i giornali raccontano un sacco di menzogne”, 26 febbraio 2011, www.ilgiornale.it
  2. I militari russi: nessun attacco aereo in Libia”, 2 marzo 2011, http://www.eurasia-rivista.org/8536/i-militari-russi-nessun-attacco-aereo-in-libia
  3. LIBIA:STRATEGA, NO FLY ZONE COME BOSNIA RISCHIA DI FALLIRE PERICOLO E’ STALLO, PAESE DIVISO PREVALGONO IDENTITA’ REGIONALI (ANSA) – ROMA, 21 MAR ”Stanno tentando di far cadere Gheddafi come avvenne con Milosevic negli Anni Novanta” ma ”questa volta potremmo fallire”. E’ quanto afferma Robert Kaplan, stratega militare del Center for New American Security, intervistato da La Stampa. ”In Libia vogliono imporre una no fly zone come la Nato fece nel 1994 sui cieli della Bosnia e anche nel 1999 sul Kosovo – afferma Kaplan – conducendo una campagna aerea di 99 giorni. Ma quelle due operazioni militari non portarono alla caduta di Milosevic, perche’ una no fly zone non e’ in grado di innescare cambiamenti di regime”. In Libia, secondo l’esperto, si sta tentando di indebolire Gheddafi allo stesso modo, ”fino al punto da portare qualcuno del suo campo a prendere l’iniziativa per eliminarlo o allontanarlo dal potere”. Ma la Libia ”non e’ la Serbia”. ”La Libia, in realta’, come stato non esiste – prosegue – perche’ a prevalere sono piuttosto le identita’ regionali in Tripolitania, Cirenaica e Fezzan”. ”Se una no fly zone riesce a salvare Bengasi – afferma Kaplan – e indebolisce Gheddafi in Cirenaica, non significa che cio’ avverra’ anche in Tripolitania”. Il rischio per la coalizione e’ arrivare ad una situazione di stallo: ”la Cirenaica in mano ai ribelli, la Tripolitania a Gheddafi e il Fezzan senza governo”. (ANSA).
  4. http://www.eurasia-rivista.org/8828/libia-che-alternative-aveva-litalia
  5. http://www.eurasia-rivista.org/8778/litalia-ha-gia-perso-la-sua-guerra-di-libia
  6. http://www.eurasia-rivista.org/7839/kosovo-il-rapporto-marty-e-stato-censurato-da-israele
  7. ANSA/ AFGHANISTAN:VILIPENDIO CADAVERI CIVILI,SCUSE ESERCITO USADER SPIEGEL PUBBLICA FOTO.SOLDATI GIA’ INCRIMINATI,MA IN SEGRETO (ANSA) – NEW YORK, 21 MAR – Violenze che rievocano quelle del carcere iracheno di Abu Ghraib tornano a offuscare l’immagine dei soldati americani. Questa volta si riferiscono all’ Afghanistan, e riguardano cinque soldati accusati non solo di aver ucciso civili, ma anche di aver vilipeso i loro cadaveri. Sugli episodi, che si riferiscono al 2010 e che finora erano stati mantenuti segreti, l’Esercito Usa aveva gia’ avviato un’inchiesta, e i soldati in questione sono gia’ stati identificati e formalmente incriminati. Tuttavia sono emerse per la prima volta fotografie sugli episodi di cui sono accusati che provocano non poco imbarazzo ai comandi dell’Esercito Usa. Il settimanale tedesco Der Spiegel ha ottenuto e pubblicato tre fotografie che appaiono inequivocabili. La prima mostra due afghani, apparentemente morti, appoggiati a un palo, forse legati. Le altre due foto mostrano due soldati nell’atto di chinarsi accanto al corpo di un afghano morto che viene trascinato per i capelli. Il cadavere e’ vestito con abiti civili. Uno dei soldati lo tiene per i capelli, e sorride. I due soldati che si trovano accanto al cadavere – hanno reso noto fonti dell’Esercito Usa – sono Jeremy Morlock, di Wasilla, Alaska, gia’ accusato di aver ucciso altri civili afghani, e Andrew Holmes, nei confronti del quale sono state mosse accuse analoghe. Anche lui e’ chinato accanto al cadavere, e lo trascina. Nei loro confronti e’ gia’ stata avviata un’inchiesta, cosi’ come nei confronti di altri tre soldati americani della Stryker Brigade, impiegata in Afghanistan dall’estate del 2009 all’estate del 2010. Tutti i soldati finiti sotto inchiesta appartengono alla 2/a Divisione Fanteria. L’Esercito Usa ha chiesto scusa, e ha espresso preoccupazione. La pubblicazione delle foto puo’ ulteriormente aggravare i non facili rapporti con la popolazione afghana. Per questo motivo gli ufficiali Usa avevano cercato di impedire che queste immagini, scattate evidentemente da altri soldati, venissero mostrate in pubblico. Indagini erano state avviate fin dal maggio dello scorso anno per accertare se i soldati Usa impegnati in Afghanistan abbiano altre immagini compromettenti custodite nei loro computer o nei loro cellulari. In una dichiarazione, il portavoce dell’Esercito, colonnello Thomas Collins, ha definito le immagini ”ripugnanti”: l’Esercito si scusa ”per il disturbo che queste foto possono arrecare, che sono in assoluto contrasto con la disciplina, la professionalita’ e il rispetto che hanno caratterizzato il comportamento dei nostri soldati. Temiamo – ha aggiunto – che questo genere di cose possa mettere a rischio le forze della coalizione, e minare le nostre relazioni con il popolo afghano”. (ANSA).

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