Negli ultimi anni, mentre la maggioranza del variegato circo “antifascista” va avanti come se nulla fosse, qualcuno, “a sinistra”, s’è seriamente posto il problema di come possa avere senso festeggiare, ogni 25 aprile, una “Liberazione” mentre è d’una evidenza solare che siamo sempre più schiavizzati dall’America e dalla Nato.

Ora, su questa terra, nessuno ha il monopolio della verità, pertanto non può che far piacere assistere a questi ‘risvegli’ in un ambiente che finora ha allegramente dormito fornendosi tutt’al più degli alibi sulla “resistenza tradita”. Più persone ripetono una cosa vera e sacrosanta, e meglio è.

Però qualche precisazione è doveroso farla.
Il primo ad “accorgersi” delle centotredici (113) basi militari americane e Nato (e non vagamente “straniere”) è stato Alberto B. Mariantoni (1947-2012), nel suo oramai storico ed illuminante articolo Dal Mare Nostrum al Gallinarium Americanum, pubblicato su “Eurasia – Rivista di studi geopolitici”, 2/2005.

All’epoca (e sono solo dieci anni fa), tirare fuori l’argomento era ancora tabù per tutta la “sinistra”, comunque la si voglia declinare, e fu perciò un fascista (senza alcun uso delle virgolette perché a Mariantoni ciò non suonava come un insulto) a sobbarcarsi, a beneficio di tutta la sua nazione (e non solo della sua pretesa fazione), l’onere di censire, una ad una, le basi, le pertinenze e le installazioni militari delle FF.AA. degli Stati Uniti d’America (e della Nato, una delle loro maschere), disseminate su tutta la penisola esclusivamente grazie alla nostra sconfitta militare del 1945.

Che non fu solamente la sconfitta del Regime fascista, ma dell’Italia nel suo complesso, e che dobbiamo – se vogliamo credere alla stessa retorica resistenziale che assegna ai partigiani un peso decisivo nella sconfitta dei c.d. “nazifascisti” – anche al contributo di coloro che, a distanza di settant’anni, riscuotono – vivi o morti che siano – il plauso delle “istituzioni” di una Nazione a tutti gli effetti occupata.

La “scoperta” di Mariantoni, condita da qualche errore infilato giusto per non scoprire le sue fonti confidenziali, venne ripresa e scopiazzata da una miriade di siti “alternativi” e persino da organizzazioni politiche extraparlamentari, le quali, guardandosi bene dal citare “l’impresentabile” l’autore, si spacciarono per quelli che, all’improvviso, complice il diffuso malcontento per l’aggressione all’Iraq (2003), s’erano rifatti un’immagine di patrioti quando in realtà a loro della Patria non era mai importato un tubo.

Paradossalmente, gli unici a citare Mariantoni ed “Eurasia”, furono i giornalisti della redazione di Canale 5, che citando il suo particolareggiato studio avevano probabilmente ricevuto l’imbeccata di correre ai ripari e di sminuirne la devastante portata in un momento assai delicato per i nostri padroni.

Da centotredici, come per incanto, le basi americane della Nato in Italia diventavano così appena sette, anche se a credere a questa verticale e drastica diminuzione saranno stati davvero in pochi… Oramai il problema era diventato di pubblico dominio.

Persino Beppe Grillo, ad un certo punto, riprese l’argomento in una delle sue “adunate oceaniche”, ma qui – come avremmo potuto constatare in seguito – il sistema aveva già trovato un farsesco antidoto a che non scoppiasse il proverbiale bubbone.

Un bubbone che, a differenza di quanto vanno lamentandosi certi patrioti dell’ultim’ora, se contiene senz’altro l’assenza di libertà, sovranità ed indipendenza (come ripeteva incessantemente lo stesso Mariantoni), non contempla affatto, tra i suoi liquidi purulenti, quella mancanza di democrazia di cui si dolgono quelli che si svegliano solo adesso.

Proprio il Mariantoni, da impenitente anti-democratico, aveva messo in guardia dalla truffa insita nella democrazia stessa, la quale, se ha qualche possibilità di essere realizzata (in un senso che non può in alcun modo essere spacciato per “il potere del popolo”), non può certo convivere con lo scippo della sovranità e dell’indipendenza, senza le quali ogni argomentazione a favore di qualsiasi democrazia suona come un’emerita presa per i fondelli.

Lo sapevano bene anche gli antichi greci, che sono continuamente sulla bocca di chi della “democrazia” ha fatto un ideale filosofico, e lo sapeva benissimo anche Mariantoni, che se per un verso si doleva, da Italiano, nel vedere la sua Patria ridotta al classico “bordello”, per un altro non ha mai ceduto d’un palmo rispetto alle sue idee, che consideravano nel Fascismo – un Fascismo dai tratti anche “immaginari”, se vogliamo, poiché con quello storico sapeva essere critico – la chiave di volta della soluzione e del problema della “democrazia” e di quello della riappropriazione di una normalità che non può prescindere dalla libertà, dall’indipendenza e dalla sovranità che tanta parte ebbero nei suoi numerosi quanto appassionati scritti.


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Enrico Galoppini scrive su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” dal 2005. È ricercatore del CeSEM – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo. Diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato in Yemen ed ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane (Torino ed Enna); attualmente insegna Lingua Araba a Torino. Ha pubblicato due libri per le Edizioni all’insegna del Veltro (Il Fascismo e l’Islam, Parma 2001 e Islamofobia, Parma 2008), nonché alcune prefazioni e centinaia di articoli su riviste e quotidiani, tra i quali “LiMes”, “Imperi”, “Levante”, “La Porta d'Oriente”, “Kervàn”, “Africana”, “Rinascita”. Si occupa prevalentemente di geopolitica e di Islam, sia dal punto di vista storico che religioso, ma anche di attualità e critica del costume. È ideatore e curatore del sito "Il Discrimine".