Vorrei parlare di un argomento che solo apparentemente potrebbe essere eccentrico rispetto ai temi solitamente trattati nel sito di “Eurasia”. Si tratta della geopolitica del turismo, ovvero di come non sia mai neutrale la scelta di rappresentare un territorio coi suoi nessi storici politici e culturali in un modo piuttosto che un altro.

Oggi è in atto un tentativo – da parte di Commissione Europea e Consiglio d’Europa – di scardinare la visione particolaristica del territorio mediante strumenti di politica istituzionale (le Euroregioni e i Gruppi Europei di Cooperazione Territoriale) e culturale (gli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa), che ridefiniscono aree geografiche e contenuti culturali secondo un criterio transnazionale. Per gli eurocrati il discorso si concentra unicamente sugli aspetti istituzionali, organizzativi e finanziari cercando di evidenziare quali mancanze sul piano operativo impediscano la piena ed efficiente diffusione del modello degli Itinerari transnazionali : così abbondano dettagliate pagine sulla necessità di ottimizzare i finanziamenti nazionali e comunitari; di coinvolgere università, enti di ricerca, scuole ; di avere una struttura democratica ed aperta nell’accesso ma ristretta e compatta sul livello decisionale (sembra la riproduzione del rapporto fra Parlamento e Commissione Europea) per impedire la dispersione in una pluralità di iniziative alla fine incontrollabili sul piano locale.

Questi aspetti tecnici permetterebbero di creare un “patrimonio culturale europeo” seguendo istruzioni la cui osservanza – da parte delle Municipalità interessate- verrebbe premiata con un apposito marchio: il problema però, come riconosciuto da autorevolissimi studiosi, è che si è creata un divaricazione fra rappresentazione dello spazio continentale, fra quello imposto dagli eurocrati (macroregioni gruppi di cooperazione territoriale, ecc.) e quello corrispondente alle reali dinamiche storico politiche e sociali che lentamente hanno attraversato le popolazioni.

La questione è squisitamente politica, perché la rappresentazione ideale di uno spazio esprime sempre precisi rapporti di forza. Ad oggi, prendendo a riferimento l’elenco degli attuali Itinerari approvati dal Consiglio d’Europa, l’Italia è inserita nell’asse nordico che attraversa principalmente Regno Unito, Francia e Germania per il 40% con riferimento ad itinerari religiosi in cui il nostro è territorio di transito: per contro l’Italia è anche inserita in un itinerario riferito ai cimiteri ebraici che abbraccia indistintamente tutto il territorio europeo…. Certamente da un punto di vista tecnico i percorsi approvati sono in linea con le regole stabilite, ma il nostro paese ne esce assolutamente marginalizzato. Non v’è traccia alcuna ad esempio delle rotte seguite dai banchieri fiorentini veri dominatori dell’Europa per tre secoli; non esiste alcun riferimento ad esempio del potente legame che, grazie a Venezia – si badi non la sola città che era già vocata al turismo dal XVIII secolo- si ricoprì nella secolare lotta contro la potenza ottomana- specie a Lepanto nel 1571- arrivata poi alle porte di Vienna nel 1683 e respinta definitivamente da Eugenio di Savoia nel 1697 con la battaglia di Zenta. Non si pone adeguato rilievo ad esempio a come anche dal territorio del Nord Italia si sia contribuito non poco al processo di dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico a partire dal 1849, in questo perpetuando l’errore di prospettare le vicende dell’indipendenza nazionale del paese come un fatto avulso dal contesto europeo, che avrebbe visto il crollo definitivo di Vienna ed Istanbul con la fine del Primo Conflitto Mondiale (di cui quest’anno ricorre il centenario dell’inizio).

Ne deriva alla fine il solito flusso di trasferimenti finanziari europei principalmente verso l’area tedesca, mentre l’area orientale balcanico- danubiana diventa proiezione di una visione occidentale (la Via degli Imperatori Romani, dall’ Albania alla Croazia Tito, Diocleziano e Costantino non sposta l’asse della rappresentazione occidentale dell’Impero Romano ; o si pensi al pur splendido Itinerarium Burdigalense che da Bordeaux arriva a Costantinopoli attraversando – per via di terra – Serbia con Sremski Karlovci, Belgrado, Nis ; e la Bulgaria con la stessa Sofia i cui il nostro territorio funge semplicemente da transito )

A voler ben guardare, le tensioni entro le quali un’identità europea può riconoscersi sono costituite dal confronto del cristianesimo occidentale con la cultura ortodossa e con l’impero russo, e si vede oggi in quali termini di drammatica attualità; a ciò si accompagna il confronto con l’identità musulmana ed ottomana, a partire dal XVII secolo fino al crollo dell’Impero della Grande Porta (ed anche qui, i nodi con la Turchia sono tutt’altro che chiariti).

Il nostro territorio anche per i secoli successivi al XVII avrebbe molto da dire specialmente dal secolo scorso, divenuto frontiera di un blocco contrapposto ad un altro e fortemente attraversato dai flussi migratori da sud e da Est: chiunque può invece intendere come approcciare al Mediterraneo rievocando le – sia chiaro le interessantissime – Rotte dei Fenici sia molto più rassicurante.

L’operazione in atto è al contrario indirizzata a fornire la rappresentazione di uno spazio continentale che vede nell’attuale configurazione eurocratica il punto di arrivo di un lungo processo di integrazione: il pericolo è creare “cittadini europei” che, attraverso quei selezionati percorsi ed itinerari, si ritrovino senza più radici nel territorio con una memoria storica manipolata da cui vengono espunti i fattori di conflitto.

Tuttavia è facile comprendere che ripensare il proprio territorio sulla base di nessi che includano prospettive multidisciplinari di respiro continentale, su temi e problemi ancor attuali, costa parecchio, non tanto – o forse non solo – in termini finanziari, ma in termini politici. Ciò infatti farebbe emergere tutti i nodi irrisolti della nostra identità e del nostro passato, facilmente camuffabili dietro iniziative arruffate e confusionarie di province e regioni che si comportano, nelle fiere nazionali ed internazionali di settore, come stati indipendenti; per non parlare poi del “pliz vizit auar cauntri” dei motori di ricerca. Così pure è più facile adattare con volgari “taglia e incolla” i modelli di turismo fluviale provenienti dall’area franco-tedesca, quasi che il web marketing possa supplire ad una carenza di identità e preparazione culturale. Certo che i fiumi sono di importanza strategica nella storia europea, poiché senza corsi fluviali la rivoluzione industriale avrebbe avuto difficilmente inizio; ma anche qui, i turisti dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) – a cui si dice di volere vendere il prodotto Europa- sono abituati a pensarsi in termini “ continentali “ di grandi spazi ed è quindi chiaro che, senza una correlazione dei nostri luoghi con altre parti del territorio europeo, secondo criteri tematici e temporali definiti, “vendere” i nostri piccoli fiumi sarebbe un’altra pietra miliare nella galleria del ridicolo sopra citata (a tacere poi del fatto che le città poste lungo il medesimo fiume presentano collegamenti culturali e politici talvolta fra loro indipendenti).

Esplicitare questi nessi – così come le contrapposizioni e le dinamiche di conflitto storicamente prodottesi e non in senso solamente materialistico – significa formare non solo turisti ma anche cittadini responsabili, perché consapevoli che la loro identità- così come la loro appartenenza – si rafforza solo uscendo dagli stereotipi impostici da altri paesi in una sorta di “divisione della memoria europea “ omologa alla divisione internazionale del lavoro. Così il nostro ambito si colloca culturalmente nel passato, limitato alle sole città di Venezia, Firenze e Roma, mentre nel presente siamo ricacciati in una dimensione di sudditanza economica e culturale, in cui possono bastare persone poco qualificate e mal pagate, la conoscenza delle cui radici culturali diviene superflua di fronte alla tensione quotidiana a ripagare debiti, pubblici e privati, inestinguibili.


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