Il declino del capitalismo borghese (inglese) di fine Ottocento potrebbe elevarsi a modello di consunzione, tra un vecchio capitalismo che arretra, ed un nuovo (Usa) che avanza: un metodo empirico che non ha tanto la pretesa di costruire un modello sociale, quanto più sommariamente, abbozzare un processo storico del capitalismo senza quell’apparente rigore e inadeguatezza delle spiegazioni puramente economiche, così come ci sono pervenute da una sterminata letteratura liberal-marxista, tutta o quasi, orientata   a voler leggere ed interpretare le più grandi crisi del capitalismo come recessioni soltanto economiche, e/o  fine, crollo del capitalismo.

Soltanto da qui si può ripartire per rileggere quella recessione europea più lunga (1873-92), caratterizzata da profonde e grandi trasformazioni sociali che prendevano corpo, mano a mano che si sovrapponevano ad essa  con nuovi rapporti sociali in sostituzione di quelli di più antica formazione  borghese  e poter cosi squarciare il velo di quel moto recessivo, che sottende, in forma di nascondimento, i più profondi sommovimenti sociali.

Cosi come avvenne con il capitalismo “pioneristico” inglese, che, arrivato al limite della sua capacità espansiva (1870), prolungò la sua crisi fino al 1914: un arco di tempo  in cui ebbe modo di manifestarsi in una crisi generale  il capitalismo europeo, nel frantumare un intero sistema  che coordinava e subordinava una serie “fisica” di capitalismi e di “eventi” accidentalmente posti gli uni dopo gli altri.

La lunga recessione suindicata coincise con la crisi  del capitalismo borghese inglese che si allungò su circa mezzo secolo (1873-1914) in un passaggio d’epoca, mai esplorato abbastanza nel suo profondo travaglio politico sociale, né   su quanto stava emergendo  dal  crogiolo dei processi immanenti alla riproduzione capitalistica; un inespresso impedimento ideologico teneva forzatamente in vita l’unico modello conosciuto di capitalismo, anche se in via di estinzione, nel mentre ne avanzava uno nuovo e più grande in forma  Usa.

Una sorta di cecità dottrinaria, posta al servizio permanente  dei dominanti, che ricorda molto Henri Bergson nel “Meccanismo cinematografico del pensiero”: ”L’idea di abolizione (del presente) non è dunque una pura e semplice idea, ma implica che si rimpianga il passato o che lo si concepisca come degno di essere rimpianto..Essa (abolizione) nasce quando il fenomeno della sostituzione viene tagliato in due da una mente che ne prende in considerazione solo la prima metà, in quanto solo questa le interessa. Provate a sopprimere ogni interesse, ogni affezione: non resterebbe altro che la realtà che scorre, e la conoscenza indefinitamente  rinnovata del suo stato presente che essa imprime in noi”.

Una retroazione di pensiero che stabilizzò il presente (storico) in un origine  di sviluppo unico del Capitalismo inglese  (una sorta di “Pensiero Unico” ante litteram) che rappresentò soltanto una caratterizzazione  dei tratti distintivi di una unicità storica inusuale”: solo  un concatenarsi di eventi e/o processi storici succedutisi  a partire  dal “dissolvimento dei rapporti feudali nelle campagne inglesi”, in modo  radicale e prima ancora del restante mondo europeo occidentale.

In Inghilterra, entro il XVII secolo, la terra divenne una forma proprietaria che poteva essere comperata, venduta, affittata al migliore offerente; la distinzione tra liberi e schiavi,  in età feudale, si trasformò  in proprietari e non, con un importante conseguenza che investì tutto il corpo  sociale inglese: la posizione sociale fu determinata non più dalla tradizione o dal rango ma dalla ricchezza in denaro (commercio) o da una proprietà che si poteva vendere sul mercato. “Si identificò la ricchezza col denaro o con la proprietà che si poteva trasformare in denaro, vendendola sul mercato…Le recinzioni (enclosures), approvate dal Parlamento(inglese), completarono il predominio del mercato e regolamentarono per legge la trasformazione degli antichi diritti sopravvissuti in forma di proprietà coerenti con il carattere completamente individuale del possesso…Il XVII secolo fu un’epoca di rivoluzioni politiche che condusse al ridimensionamento della Corona.. alla costituzione di una adeguata protezione giuridica del nuovo assetto della proprietà ai fini dello sviluppo capitalistico..La (prima) Rivoluzione Industriale si avviò in un’economia già in fase di trasformazione industriale e che mostrava sintomi di sviluppo che la distinguevano dalle altre del continenteL’evoluzione industriale avvenne senza il bisogno dell’appoggio statale..” (cfr., Tom Kemp “L’industrializzazione in Europa Nell’800”)

Il sistema capitalistico inglese fino al 1870 era nella sua fase più avanzata in quella che veniva definita “società industriale”; costituzioni di industrie importanti in proprietà di singole di famiglie che risalivano a intere generazioni del secolo precedente; settore agrario ridotto enormemente rispetto al secolo precedente, con l’emersione del dato più significativo  della situazione del sistema industriale inglese: la formazione di una  classe di salariati che costituiva la maggioranza della popolazione.

Il capitalismo inglese ebbe l’impronta fondamentale di un “carattere pioneristico” della sua industrializzazione, da “primo arrivato che  le consentì un vantaggio nella creazione di una imponente accumulazione originaria di ricchezza, trasformata in posizione privilegiata nel commercio e nella finanza. Un processo capitalistico formatosi nel corso dei due secoli (Settecento-Ottocento), periodo in cui venne ad affermarsi una prima intensa e diffusa Prima Rivoluzione industriale, insieme ad un predominio imperiale, con colonie, protettorati e dominions, tutti governati con efficienza  dalle grandi imprese familiari inglese.

Il capitalismo inglese  individuale e familiare del quieto vivere borghese, aveva impresso nel suo Dna, un limite storico invalicabile  di un suo  sviluppo entro un arco storico ottocentesco;  un limite posto  dai  nuovi processi industriali e organizzativi della Seconda Rivoluzione Industriale (ultimi decenni di fine Ottocento)  che, con l’emergente sistema industriale innovativo del Capitalismo Usa (in piena identificazione entro il nuovo Stato formatosi al seguito della guerra di secessione americana del 1862-66), trovò un suo completamento occupando uno spazio sociale più favorevole allo sviluppo dell’impresa manageriale: una nuova forma di organizzazione imprenditoriale finalizzata, non solo, ad una raccolta maggiore di capitali azionari, attraverso il frazionamento infinitesimale della proprietà,  quanto  espressione diretta di  uno Stato organizzato in forma imprenditoriale attraverso funzionari politici (agenti capitalistici) in grado di interagire, dominando e subordinando altri agenti sub-politici secondo gli apparenti schemi economici volti a mascherare una politica di un dominio Usa a tutto campo.

All’unicità posta dal capitalismo familistico ed individuale borghese, stilizzato con una certa enfasi e celebrato da grandi scrittori (cfr, Thomas Mann nella saga familiare dei“ Buddenbrook” di) in  affreschi d’epoca, i cui valori borghesi erano conchiusi in ferree gerarchie sociali  tenute insieme da un ordine sociale governato con la  sapiente  sacralità del libero commercio delle idee e dei sentimenti, e che con trasposizione di concetti diventò il liberismo economico ( e/o “della libera concorrenza dei mercati”),  subentrò uno sviluppo capitalistico sempre più complesso, non linearmente definito secondo i dettami di una società sostanzialmente statica e con valori identitari trasmissibili; alla “libera  concorrenza” della tradizione, fu sostituita  una cosiddetta “concorrenza imperfetta” delle concentrazioni verticali (oligopoli,trust..) in/tra gli agenti(funzionari) capitalistici emergenti in Usa, come soglia posta dai nuovi processi capitalistici al vecchio capitalismo che, esaurito ormai la sua fase propulsiva,  prolungò, pur tuttavia in uno sviluppo inerziale, le ragioni storiche di uno sviluppo pregresso.

Quel lungo passaggio storico, contrassegnato da un improvviso risveglio dei nuovi capitalismi, rappresentò un percorso accidentato (Multipolare) in grado però di garantire un  spazio sociale più ampio, su cui far muovere una  nuova più potente energia capitalistica; un  capitalismo (Usa) di tipo nuovo, in grado di inglobare il primo (inglese) in una inusitata dilatazione espansiva interconflittuale tra  capitalismi antagonisti.

Si schiuse così, fin dai primi del Novecento,  un nuovo capitalismo che avanzava ed un vecchio che arretrava,  con  lo sguardo sempre rivolto al passato. Un modo di procedere di allora non dissimile  alla fase storica di oggi, il cui multipolarismo che avanza viene obnubilato e con esso  i profondi rivolgimenti sociali derivati da una profonda riorganizzazione di tutto il tessuto produttivo e sociale che deve far fronte ad un più elevato livello conflittuale,  come portato inevitabile di un conflitto che avanza  in un ordine sparso, costituito dai nuovi  paesi emergenti. Al paese  dominante è imposto un più alto livello conflittuale, in una fase non più espansiva del proprio dominio, cui può far fronte  soltanto facendo appello  alle proprie risorse disponibili, fino a comprendere le retroguardie (sub-dominanti) che fanno da supporto con un  vettovagliamento scadente (della passata rivoluzione industriale), non senza dimenticare  “un serrare le fila”  attraverso una  grande forza evocativa: rendere attuale ai propri (sub)dominati la “propria visione di potenza del passato”.

agosto 2010

Nell’immagine i possedimenti britannici nel 1897


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