In un’intervista rilasciata a Carta Maior, lo storico ed esperto politico, Luiz Alberto de Vianna Moniz Bandeira, segnala l’azione clandestina delle forze speciali degli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia nei conflitti della Libia e della Siria e critica la politica estera del governo di Barack Obama che fa uso dei diritti umani per giustificare interventi in qualsiasi parte del mondo. “La CIA sta diventando sempre più una forza paramilitare con l’abbandono del suo ruolo di agenzia di spionaggio e raccolta dati. I droni, aerei privi di equipaggio, teleguidati dalla CIA, hanno già ucciso, dal 2001, più di 2.000 presunti militanti e civili in vari paesi”, afferma Moniz Bandeira.

Carta Maior: Qual è la sua valutazione per quanto concerne la partecipazione delle grandi potenze occidentali, in particolare, gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia nei conflitti della Libia e della Siria. Esiste una medesima logica che agisce in entrambi i casi?

Moniz Bandeira – Non si tratta di teoria cospirativa. Ma si ha l’impressione che ci sia una logica nella successione delle insurrezioni che, iniziate in Tunisia nel dicembre 2010, successivamente e simultaneamente si sono estese in Egitto e in Siria, il 25 e il 26 gennaio 2011 e, infine, in Libia, il 17 febbraio. Le condizioni economiche, sociali e politiche erano mature. In tutti questi paesi c’è un enorme tasso di disoccupazione che colpisce una grossa fetta della popolazione giovanile, estrema povertà, inflazione, prezzi in rialzo nel settore degli alimenti e il risentimento politico provocato dalla repressione delle dittature.

È ormai confermato che militari delle forze speciali degli Stati uniti, dell’Inghilterra e della Francia, vestiti da arabi, i false-flaggers, cioè un “illegal-team”, con identità di altri paesi, di modo che non possano essere identificati come inglesi, americani o francesi, stanno operando allo scoperto in Libia e non si può scartare la possibilità che agenti della CIA e del M16 si trovino anche in Siria. È poco probabile che le manifestazioni di protesta, iniziate il 26 gennaio, continuino ancora ad affrontare quotidianamente una dura repressione, dopo otto mesi, senza avere prima ricevuti incoraggiamenti e qualche appoggio da parte della Santa Alleanza – Stati Uniti, Inghilterra e Francia. WikiLeak alcuni mesi fa ha rivelato una comunicazione segreta da parte dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Damasco su “Next Steps For A Human Rights Strategy”, informando che, dal 2005 fino a settembre 2010, gli Stati Uniti, con le risorse del Middle East Partnership Initiative (MEPI), hanno erogato segretamente ai gruppi dell’opposizione in Siria la quantità de US$ 12 milioni, così come hanno finanziato l’installazione di un canale satellitare che trasmette all’interno del paese programmi contro il regime di Bashar al-Assad.

Carta Maior: Oltre a questi incoraggiamenti stranieri, quali altri fattori starebbero contribuendo ad alimentare le proteste in Siria?

Moniz Bandeira – Esistono forti fattori religiosi. La maggioranza della popolazione in Siria è salafista, una delle correnti fondamentaliste dell’Islam che pretende di ristabilire i primitivi principi religiosi del Corano. È simile al wahabismo, dottrina difesa da Muhammad ibn Abd-al-Wahhab, e prevalente in Arabia Saudita. Bashar al-Assad, tuttavia, è un alauita, un altro segmento dell’Islam, che cela la sua dottrina con la taqiyya, una pratica sciita, setta islamica dominante nell’Iran e verso la quale è più vicina. Gli alauiti costituiscono solo il 10% della popolazione siriana, ma dominano e controllano tutta la struttura dello Stato da ormai alcuni decenni, almeno sin dagli anni settanta, quando Hafez al-Assad, del partito Ba’ath, si fece carico della presidenza della Siria.

Il partito Ba’ath, fondato a Damasco nel 1946, combinava ideali egualitari, socializzanti, interessi nazionalisti e obiettivi panarabi, contrari alla politica imperialista delle potenze occidentali. Alcune delle sue diramazioni spuntarono in altri paesi del Medio Oriente, come in Iraq, dove mantenne il potere fino alla caduta di Sadam Hussein, nel 2003.

Carta Maior: Siria possiede poco petrolio. Quale o quali sono gli interessi degli Stati Uniti, della Francia e dell’Inghilterra nell’abbattimento del regime di Bashar al-Assad?

Moniz Bandeira – Questi paesi hanno degli interessi strategici come, ad esempio, l’assunzione del controllo di tutto il Mediterraneo e isolare politicamente l’Iran che è alleato con la Siria, così come ridurre l’influenza della Russia e della Cina nel Medio Oriente. La Russia, dal 1971, opera nel porto di Tartus, in Siria, e progetta di ristrutturarlo e ampliarlo come base navale nel 2012, di modo che possa accogliere grandi navi da guerra, garantendo in questo modo la sua presenza nel Mediterraneo. Il fatto è che anche la Russia programma d’installare basi navali nella Libia e nello Yemen. E, secondo da quanto si può dedurre dal telegramma dell’Ambasciata degli USA a Damasco, pubblicato da WikiLeaks, tutto segnala che il finanziamento all’opposizione siriana sin da almeno il 2005, puntava alla caduta del regime di Bashar al-Assad, in modo da impedire un maggiore approfondimento, in ambito navale, dei suoi rapporti con la Russia.

È dovuto a questo che gli Stati Uniti difficilmente riusciranno ad allargare in Siria la stessa strategia che ha sottoposto alla Libia, insieme con la Gran Bretagna e la Francia. La Russia è ancora percepita dagli Stati Uniti come la sua grande rivale e la Cina si oppone alle sanzioni del regime di Bashar al-Saad.

Carta Maior: In questo contesto, come può essere intesa la dottrina del presidente Barack Obama per quanto concerne la politica estera degli USA?

Moniz Bandeira – Nel discorso pronunciato nella George Washington University il 28 marzo 2011, il presidente Obama dichiarò che, anche se la sicurezza degli americani non è direttamente minacciata, l’azione militare può essere giustificata – in caso di genocidio, ad esempio- e gli Stati Uniti possono intervenire, ma non agiranno isolatamente. La sua dottrina è questa, egli specificò chiaramente nel discorso pronunciato al Parlamento britannico, durante la visita di Stato che fece nel Regno Unito tra il 24 e il 16 maggio 2011. Il presidente Obama disse che “we do these things because we believe not simply in the rights of nations; we believe in the rights of citizens”. E più avanti dichiarò che non ha alcun peso l’argomento secondo il quale “a nation’s sovereignty is more important than the slaughter of civilians within its borders” e riconfermò che “noi” pensiamo in modo diverso, accettiamo una responsabilità maggiore, per esempio, che la comunità internazionale deve intervenire quando un leader sta minacciando di massacrare il suo popolo.

Queste parole significano che gli Stati Uniti, congiuntamente con la Gran Bretagna e la Francia non rispetteranno più le norme del Diritto Internazionale stabilite dal Trattato di Westphalia, fondato sulla base dei principi di sovranità nazionale e potranno intervenire in qualsiasi paese con il pretesto di ragioni umanitarie o per la difesa della popolazione civile, ma che in realtà sarà per la difesa dei propri interessi economici e strategici. Così, i capi di governo degli Stati Uniti, della gran Bretagna e della Francia, se lo desiderassero, potrebbero addurre la difesa della popolazione indigena o del medio ambiente e invadere l’Amazzonia.

La questione dei diritti umani e la difesa delle popolazioni civili è diventata una panacea utile affinché gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna possano violare i diritti umani con rigorosi embarghi commerciali, e massacrare popolazioni civili, come hanno fatto in Libia. Quello che il presidente Obama pretende anche, continuando con altri mezzi la politica del presidente George W. Bush, è trasformare il concetto della NATO, contraddicendo il proprio trattato che l’ha prodotto, conferendogli capacità di polizia globale (global cop) per fronteggiare le “nuove minacce”, come “terrorism and piracy, cyber attacks and ballistic missiles”.

Ciò significa che la NATO smetterà di essere un’organizzazione per la difesa dell’Europa occidentale, scopo della sua creazione durante la Guerra Fredda, e diventerà uno strumento di aggressione, pronto a intervenire in tutti i continenti, con o senza autorizzazione dell’ONU. Le sanzioni contro la Siria sono identiche a quelle applicate contro la Libia, subito dopo la ribellione. È il primo approccio per intervenire nel conflitto interno di un qualsiasi paese, il cui governo non conviene alla Santa Alleanza, che reprime le manifestazioni per abbatterlo. Ma, con ogni evidenza, le manifestazioni popolari contro le dittature nell’Arabia Saudita, Bahrein e Giordania, clienti degli Stati Uniti, non potranno ricevere un aiuto qualsiasi.

Carta Maior: Nello specifico, quale sarebbe questa strategia degli Stati Uniti in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale e quali forze speciali starebbero agendo in Libia e, probabilmente, anche in Siria?

Moniz Bandeira – L’attuale strategia degli Stati Uniti, resa operativa dal presidente Obama, il quale si è meritato il premio Nobel delle Pace, è quella di allargare l’impiego dei droni, aerei armati e guidati elettronicamente dalla CIA, per ammazzare presunti terroristi, militanti di al-Qa’ida e talebani, comprese centinaia di civili inermi, come sta facendo in Libia, Afganistan, Pakistan e lo Yemen. Questo è il nuovo compito della CIA che sta diventando sempre di più in una forza paramilitare, abbandonando il ruolo di agenzia di spionaggio e di raccolta informazione. I droni (General Atomics MQ-1 Predator) aerei senza piloti, telecomandati dalla CIA, hanno già ucciso sin dal 2001 più di 2.000 presunti militari e civili e il Centro Antiterrorismo (CTC) attualmente dispone circa 2.000 impiegati che lavorano nell’individuazione dei bersagli per poi attaccarli.

Il presidente Obama ha incrementato queste operazioni senza mettere in rischio la vita dei soldati, così come l’introduzione di un’altra organizzazione militare che, dal 2001, ha ucciso e interrogato più presunti terroristi e talebani che non la CIA. Si tratta della Joint Special Operations Command (JSOC), la quale è subordinata all’U.S. Navy SEAL’s (Sea, Air and Land Teams), che forma parte del Comando di Operazioni Speciali (USSOCOM), unità incaricata di operazioni terrestri e marittime, guerra non convenzionale, riscatto, terrorismo, antiterrorismo, ecc. un comando della SEAl ha ricevuto la missione di assassinare Osama Bin Laden in Pakistan, il 2 maggio 2011. Questo è il compito per il quale la Joint Special Operations Command (JSOC) è incaricata, mettendo in atto il programma sviluppato dal generale David Petraeus, attuale direttore della CIA, quando comandava le truppe americane in Afganistan.

Il programma consiste in “kill/capture”, cioè, ammazzare/catturare in qualunque regione del mondo, terroristi, talebani, che si fonda in una Prioritized Effects List (JPEL) la quale include persino cittadini americani, che fondamento legale o extra legale, secondo la direttrice di classificazione data dal presidente Obama. Il tenente colonnello John Nagl, consulente di contro insorgenza del generale David Petraeus in Afganistan, considera che l’JSOC sia una macchina per uccidere, su scala quasi industriale, pensata contro il terrorismo (“an almost industrial-scale counterterrorism killing machine”). In realtà, si tratta di un comando di squadroni della morte del Pentagono.

Comandi del SEAL’s hanno operato in Libia, così come quelli della Direction générale de la sécurité extérieure (DGSE), della Brigade des forces spéciales terre (BFST), subordinata a Commandement des opérations spéciales (COS), M16 (Inteligence Service) e Special Air Service SAS (Special Air Service) come se fossero arabi, i cosiddetti “ribelli” non avrebbero avanzato di molto oltre Benghazi. Il 20 agosto, giorno in cui si è concluso il digiuno imposto dal Ramadan, una nave della NATO sbarcò nel litorale della Libia con armi pesanti, vecchi jihadisti e truppe speciali dell’JSOC, degli Stati Uniti, BFST, della Francia e SAS, del Regno Unito, sotto il comando degli ufficiali della NATO, che hanno proceduto alla conquista di Tripoli.

Il bilancio dell’Operation Odissey Dawn, dopo 100 bombardamenti da parte della NATO, è tragico: 6.121 civili morti e feriti. Secondo le statistiche 3.093 sono stati ammazzati o feriti; 260 donne uccise e 1.318 ferite; 141 bambini morti e 641 feriti. La NATO, a sua volta, informa che nei primi 90 giorni ha eseguito un totale di 13.184 uscite, tra le quali 4.693 attacchi, danneggiando o distruggendo più di 2.500 bersagli militari, circa 460 installazioni militari, 300 sistemi di radar, oltre approssimativamente 170 posti di controllo e comando, e circa 450 carri armati. Il rapporto non si riferisce alle macerie che i bombardamenti hanno lasciato né alle migliaia di vittime civili, morti, feriti, senza tetto e rifugiati.

Questo è stato l’esito della Risoluzione 1.973 del Consiglio di Sicurezza Nazionale, che autorizza la Santa Alleanza (Stati Uniti, Inghilterra e Francia) proteggere i civili in Libia e che è stata sfruttata per legittimare il diritto d’intervento umanitario per difendere i propri interessi economici, geopolitici e strategici nel mediterraneo. Questo è il modo americano di fare la guerra (American Way of War), adottato dal presidente Obama. Ma gli obiettivi sono identici a quelli di George W. Bush nell’assecondare gli interessi del complesso industriale – militare. Senza intervenire unilateralmente, lui desidera attuarli, trasformandoli con la NATO, in modo da dividere i costi con i suoi membri, principalmente l’Inghilterra, la Francia e la Germania, con lo scopo di evitare che la guerra si percepisca come una faccenda tra gli Stati Uniti e la Libia o qualsiasi altro paese.

Carta Maior: Quale deve essere il futuro della Libia? Lei crede che Gheddafi possa resistere e restare come un influente agente politico nel conflitto?

È difficile da prevedere. La Libia è ancora un paese diviso in tribù e la lealtà è essenziale tra i suoi membri. In ogni caso, vivo o morto, lo spettro di Gheddafi, come comandante o mito, formerà parte della resistenza che alla fine si organizzerà, perché le tribù non accetteranno la presenza di truppe straniere nel loro territorio. Tuttavia, una delle conseguenze dell’”intervento umanitario” in Libia sarà probabilmente la proliferazione di armi nucleari introdotte dalle importazioni clandestine di uranio naturale, centrifughe e strumenti di trasformazione, così come la costruzione d’installazioni di piccola scala. Se lui avesse sviluppato il suo programma di armi nucleari, la campagna di bombardamenti della NATO sarebbe avvenuta? – domandò Leonam dos Santos Guimarães. La risposta sarebbe certamente no. Il diritto internazionale si rispetta solo quando esiste un certo equilibrio di potere e le nazioni minacciate hanno la possibilità di compiere una rappresaglia. È per questa ragione che è quasi impossibile impedire a Iran di sviluppare le sue armi nucleari, non perché debba attaccare Israele, ma per difendersi dalla Santa Alleanza occidentale.

Carta Maior: Per quanto concerne la Siria, quale è la sua valutazione sulla posizione delle altre nazioni arabe ed’Israele di fronte a questo conflitto?

Moniz Bandeira – Non ci sono informazioni sul coinvolgimento di altre nazioni arabe né d’Israele in Siria, dove per il momento non c’è una vera e propria guerra civile, ma un’ondata di proteste. Tutti stanno vedendo gli sviluppi della crisi. Anche la Siria è un paese diviso in molte tribù e il governo conta con l’appoggio d’Iran che, con ogni probabilità, gli fornisce o gli può fornire armi. Sono molto stretti i suoi collegamenti con gli Hezbollah, una forza politica e paramilitare sciita con sede in Libano. Corre voce che gli Hezbollah dispongono dai 30.000 ai 40.000 missili puntati su Israele e difficili da localizzare, perché sono installati in abitazioni familiari. Questa è una delle ragioni – e ci sono altre – per la quale né gli altri paesi arabi né Israele vogliono vedersi coinvolti nelle proteste che stanno avvenendo in Siria.

Carta Maior: I tamburi di guerra stanno suonando in Israele, di fronte alla prospettiva di riconoscimento, a settembre, dello Stato palestinese all’ONU. Esiste, secondo il suo criterio, la possibilità di una generalizzazione dei conflitti in Medio Oriente?

Moniz Bandeira – È previsto che Mahmoud Ridha Abbas (Abu Mazen), in quanto presidente dell’Autorità Palestinese, pronuncerà un discorso nella 66a Assemblea generale dell’ONU che si svolgerà tra il 21 e il 27 settembre prossimo, con il quale solleciterà il riconoscimento dello Stato palestinese. L’ammissione di un nuovo membro richiede l’appoggio dei 2/3 degli Stati presenti nell’Assemblea generale. Se dovesse ottenere questo quorum l’Autorità Palestinese, in quanto Stato, sarà ammessa solo nella condizione di osservatore, giacché il riconoscimento come membro a tutti gli effetti dipende dall’approvazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e, di conseguenza, dal voto degli Stati Uniti.

C’è una grande attesa in Israele, riguardo alla posizione che adotterà gli Stati Uniti nell’Assemblea Generale, giacché il 5 settembre ha reso pubblico alla stampa l’informazione che l’ex segretario della Difesa del presidente Barack Obama, Robert Gates, prima di andare in pensione quest’anno, ha criticato duramente il primo ministro d’Israele, Benjamin Netaniahu, nella riunione del National Security Council Principals Committee degli Stati Uniti. Gates qualificò Israele di “an ungrateful ally” (alleato ingrato) e ha affermato che la politica di Netanihau mette il suo paese in pericolo quando sostiene di rifiutare i negoziati, di fronte a un crescente isolamento e alla sfida demografica, se continua a controllare la Striscia di Gaza. Si pensa che la notizia sia stata divulgata con il beneplacito di Obama, come avvertenza a Netanihau.

Quello di cui si ha paura a Tel Aviv è che milioni di palestinesi esiliati negli altri paesi arabi, si dirigano verso le frontiere d’Israele e avanzino sul suo territorio se l’Assemblea generale dell’ONU riconoscerà lo Stato palestinese, anche se come osservatore. I palestinesi esiliati non hanno altra nazionalità perché; nei ’50, la Lega Araba decise di non concedergliela con lo scopo di conservare nell’agenda la necessità di crear lo Stato palestinese.

*Luiz Alberto de Vianna Moniz Bandeira, professore di Politica estera del Brasile (Universidade de Brasilia), ha tenuto lezioni in numerose università di tutto il mondo. Nel 2005 è stato nominato intellettuale brasiliano dell’anno dall’União Brasileira do Escritores. È console onorario a Heidelberg, decorato con la Bundesverdienst Kreuz dalla Repubblica Federale di Germania. È membro del Comiato scientifico di Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici.

(trad. di V. Paglione)


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