Tutto ha avuto inizio poco più di una settimana fa, quando il Ministro degli Esteri olandese Bert Koenders ha dichiarato di non aver intenzione di incontrare la controparte turca Mevlüt Çavuşoğlu, che avrebbe dovuto visitare il Paese l’11 marzo, e che allo stesso modo il capo del governo olandese non avrebbe adottato quelle misure normalmente previste in occasione delle visite di alti funzionari. Il sospetto, per l’Olanda, era che il politico turco avrebbe colto l’occasione per tenere un comizio tra la locale comunità turca, in vista di quel referendum costituzionale del 16 aprile che l’Occidente vede come l’ennesima conferma delle tendenze autoritarie di Erdoğan. L’annuncio si è inserito in una situazione già molto tesa, a causa di divieti analoghi imposti da altri Paesi europei, e Çavuşoğlu, poco propenso a mostrarsi debole, ha invitato per quella data i cittadini turchi in Olanda a manifestare davanti al Consolato Turco di Rotterdam e ha minacciato il Paese dei tulipani di sanzioni. La risposta olandese non si è lasciata attendere: il Primo Ministro Mark Rutte ha impedito a Çavuşoğlu di atterrare sul suolo olandese e, per lo stesso motivo, il Ministro della Famiglia Fatma Betül Sayan Kaya, anch’essa intenzionata a tenere un comizio a Rotterdam, è stata dichiarata persona non grata ed accompagnata al confine tedesco.

Tra Olanda e Turchia è ormai guerra aperta. Erdoğan ha definito gli Olandesi “fascisti” e “apologeti del nazismo”[1], ha rinfacciato loro il Massacro di Srebrenica, avvenuto anche grazie al non intervento delle truppe olandesi ivi stanziate[2], e recentemente Çavuşoğlu ha affermato che “non c’è alcuna differenza tra Rutte e il fascista Wilders”, minacciando inoltre un futuro di “guerre di religione” per l’Europa[3]. Non sono da attendersi conseguenze sul piano economico, e in realtà rischi di sanzioni economiche contro l’Olanda (come un embargo alimentare sulla falsa riga di quello già imposto dalla Russia contro l’UE prima e la Turchia dopo) sono piuttosto remoti. Tuttavia, sul piano politico, le ripercussioni sono state piuttosto forti. L’ambasciatore olandese ad Ankara è stato espulso, e non si prevede un suo ritorno in Turchia in tempi brevi, e tanto i voli diplomatici quanto le relazioni ufficiali tra Ankara ed Amsterdam sono state di fatto tagliati[4]. Da parte olandese non ci sono state risposte ufficiali, ma nel Paese dei tulipani l’86% della popolazione sostiene la decisione del suo governo, mentre il 91% condanna la Turchia per l’escalation[5].

Quanto avvenuto in Olanda è soltanto l’ultimo atto di una guerra diplomatica tra diversi Stati europei e il governo turco. Qualche giorno prima, infatti, il governo tedesco aveva impedito al Ministro per la Giustizia Bekir Bozdağ e a quello dell’Economia Nihat Zeybekçi di tenere un comizio tra la locale diaspora turca, ed iniziative analoghe sono state bandite anche in Austria, Svizzera e Danimarca[6]. Anche in questi casi la reazione di Ankara è stata molto dura, con Erdoğan che ad esempio ha accusato il governo tedesco di “pratiche naziste” e ipocrisia in tema di democrazia[7]. Tuttavia in nessuno di questi casi si è avuta una degenerazione così vertiginosa, accompagnata da espulsioni di diplomatici, proteste dinanzi alla sede del Consolato Generale olandese a İstanbul, con tanto di roghi di bandiere francesi erroneamente scambiate per olandesi, e tafferugli nei Paesi Bassi tra la Polizia locale e i sostenitori del governo turco.

Si tratta, chiaramente, di una crisi che lascerà il tempo che ha trovato. Quando, nel 1999, il Partito per la Libertà austriaco, fondato da un ex ufficiale delle SS e noto per le sue posizioni di estrema destra, ottenne la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento e formò un governo di coalizione con Partito Popolare Austriaco di Schüssel, di centrodestra, da Bruxelles ci fu una forte levata di scudi. Per qualche tempo furono interrotti i contatti diplomatici ufficiali tra l’Austria e l’Unione Europea, mentre nelle istituzioni comunitarie i candidati austriaci alle posizioni chiave non avrebbero avuto l’appoggio degli altri Paesi europei[8]. Fu la prima volta che l’Unione Europea impose delle sanzioni (lievi, ma comunque umilianti) nei confronti di un suo Stato membro. Esse, tuttavia, ebbero vita breve, e oggi, a distanza di quasi vent’anni, Jörg Haider è stato ormai dimenticato dai più.

Questa piccola scossa di terremoto, tuttavia, si inserisce nel contesto di un più ampio movimento tellurico. Gli ultimi anni, com’è noto, hanno visto una forte crescita dei partiti e delle personalità antisistema in tutto l’Occidente, e questi, nel 2016, hanno beneficiato di una duplice vittoria: il referendum sulla Brexit e l’elezione di Donald Trump. Molte di queste forze sono fortemente ostili all’Islam, o comunque alla politica delle “porte aperte” e all’internazionalismo liberale, e non è un caso se, all’indomani dell’incidente, il leader del Partito per la Libertà Geert Wilders ha invitato la Betül Sayan a “non tornare mai più” e a “portare con sé i suoi sostenitori olandesi”[9]. Lo scontro in corso tra la Turchia e alcuni Paesi europei ha quindi dato nuovi argomenti a queste forze politiche, che oggi più che mai possono puntare il dito, non senza retorica, contro le divergenze tra l’Islam e l’Europa in termini valoriali e ribadire il loro deciso “no” all’adesione turca all’Unione Europea.

La grande novità, poi, è che posizioni come quelle di Wilders e di Alternative für Deutschland sono state sposate – pur mitigate dall’assenza di polemiche contro l’Islam e il multiculturalismo – anche da Rutte e della Merkel, timorosi di vedersi scavalcati da queste forze politiche alla vigilia di delicate tornate elettorali. Quella turca è stata una vera e propria prova di forza, ad uso e consumo sia locale sia anche internazionale, motivo per cui, per la gran parte degli osservatori, la recente vittoria di Rutte è dovuta in gran parte alla linea dura contro il Paese della Mezzaluna. D’altro canto, la Turchia ha buon gioco nel puntare l’indice contro l’ipocrisia di quei politici occidentali che, pur presentandosi come paladini dei diritti umani, di fatto hanno impedito a una voce poco gradita di fare campagna elettorale.



[1]
http://www.spiegel.de/politik/ausland/streit-mit-tuerkei-niederlande-verweigern-mevluet-cavusoglu-landeerlaubnis-a-1138332.html

[2] http://www.corriere.it/cultura/17_marzo_15/srebrenica-verita-scomoda-polemica-strumentale-erdogan-777c4d62-08e3-11e7-ad7d-ff5901e5d6f1.shtml

[3] http://www.huffingtonpost.it/2017/03/16/turchia-olanda-scontro_n_15400758.html

[4] http://www.freshplaza.com/article/172331/Turkish-sanctions-against-the-Netherlands

[5] http://www.bndestem.nl/binnenland/grote-meerderheid-kiezers-achter-aanpak-nederlandse-regering~a890a21c/

[6] http://www.birgun.net/haber-detay/danimarka-yildirim-dan-ziyareti-iptal-etmesini-istedi-150553.html

[7] https://www.theguardian.com/world/2017/mar/05/erdogan-accuses-germany-of-nazi-practices-over-blocked-election-rallies

[8] https://www.wsws.org/en/articles/2000/02/haid-f22.html

[9] https://twitter.com/geertwilderspvv/status/840695139244879872


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Giuseppe Cappelluti, nato a Monopoli (Bari) nel 1989, vive e lavora in Turchia. Laureato magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Mediazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Bari. Dopo aver trascorso periodi di studio presso l’Università di Tartu (Estonia) e a Petrozavodsk (Russia), nel 2016 ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali d’Impresa Italia-Russia presso l’Università di Bologna. Dal 2013 ha pubblicato numerosi articoli su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e nel relativo sito informatico. Suoi contributi sono apparsi anche su “Fond Gorčakova” (Russia), “Planet360.info” (Italia), “Geopolityka” (Polonia) e “IRIB” (oggi “Parstoday”, Iran).