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Non è facile far assimilare la cultura del mercato alla nostra classe politica. Altrettanto difficile far capire che l’Italia non è l’ombelico del mondo e che la globalizzazione non coinvolge solo l’automobile, ma anche il settore dell’aerospazio, sicurezza e difesa. Letta in questa luce, la “vicenda Battisti” dovrebbe portare a separare la comprensibile protesta italiana per la recente decisione dell’ex-Presidente Lula di non estradare Battisti, da iniziative mal calibrate che finirebbero per danneggiare solo il nostro paese, e non certo il Brasile. Ciò vale sia per la minaccia di sanzioni economiche (invero più retorica che realistica: ma anche la retorica male indirizzata può far danno), sia per altre più gravi iniziative a livello parlamentare.

Coerenza e mercato
Il fatto è che molti grandi gruppi italiani sono radicati in Brasile e stanno profittando della dinamica crescita economica sudamericana. Il mercato brasiliano rappresenta un importante sbocco per le nostre esportazioni e l’interscambio è in leggero attivo per l’Italia. Recentemente, anche grazie all’impegno del governo e delle Forze armate, l’industria italiana della difesa è riuscita ad ottenere importanti commesse (Iveco con un nuovo veicolo blindato realizzato sul posto) e a qualificarsi per altre ancora più significative (il rinnovamento della flotta da parte di Fincantieri e Finmeccanica). Considerando le preoccupanti prospettive dei bilanci della difesa nazionali ed europei, entrare nel mercato brasiliano è oggi indispensabile per salvaguardare le capacità tecnologiche e industriali in questo settore. Non a caso, come noi, vi puntano anche i francesi, oltre agli americani che ne sono stati per molti anni i dominatori.

Quello della difesa è giustamente un mercato “controllato”, ma la logica deve essere quella di impedire il riarmo di paesi che costituiscono una minaccia per l’Italia o per la stabilità internazionale. Questo non è evidentemente il caso del Brasile. Ipotizzare veti “politici” basati su reazioni emotive, significa non capire che nel mercato mondiale della difesa bisogna seguire strategie di medio periodo, basate sulla competitività e affidabilità. E quest’ultima è legata anche alla coerenza e continuità della politica delle esportazioni. Dopo aver sostenuto nell’ultimo biennio al massimo livello politico la penetrazione nel mercato brasiliano, un’eventuale retromarcia non solo risulterebbe incomprensibile, ma danneggerebbe anche l’immagine dell’Italia agli occhi dei suoi altri clienti attuali e potenziali. Nel mercato degli armamenti un elemento fondamentale è costituito dalla certezza delle forniture e dei servizi concordati: ove tale certezza dovesse essere rimessa in discussione per un semplice, anche se molto sgradevole, “stormir di foglie”, nessuno prenderebbe più in seria considerazione le offerte italiane.

Non scherzare col fuoco
Per questo, la decisione presa l’11 gennaio dalla Camera, con il parere favorevole del governo, di rinviare la definitiva approvazione dell’accordo con il Brasile sulla cooperazione nel settore della difesa, approvato dal Senato il 17 novembre 2010, rischia di essere un boomerang, perché finisce col collegare la giusta protesta italiana sul caso Battisti alla collaborazione strategica bilaterale.

L’accordo, firmato a Roma l’11 novembre 2008 dal Ministro della difesa La Russa col suo omologo brasiliano, ha un carattere generale ed è analogo a quelli firmati dall’Italia con decine di altri paesi. Serve all’Italia per inquadrare le esportazioni di equipaggiamenti militari e tecnologie in un quadro intergovernativo, superando la tradizionale logica commerciale-industriale. Serve al Brasile perché certifica che l’Italia non si considera un semplice “fornitore”, ma un “partner” che si impegna a collaborare in una prospettiva strategica (esecuzione dei contratti, supporto logistico, addestramento, upgrading, ec.). Peraltro, in altri paesi un simile accordo non sarebbe probabilmente nemmeno stato sottoposto ad una ratifica parlamentare e, in ogni caso, non sarebbero trascorsi inutilmente più di due anni.

Naturalmente la regola di non interferire vale sempre. Ad esempio, l’Alitalia ha scelto recentemente di acquistare in leasing venti nuovi velivoli regionali dall’industria brasiliana. Si può criticare che non si sia fatto sistema-paese, rinunciando al nuovo velivolo italo-russo in corso di sviluppo (tanto più considerando i massicci finanziamenti pubblici che hanno ripetutamente salvato l’Alitalia e i finanziamenti pubblici per sostenere ricerca e sviluppo in campo aeronautico), ma, per quanto tale scelta possa apparire poco opportuna persino nella scelta dei tempi (un mese fa), le regole del mercato vanno accettate anche se, come in questo caso, portano a risultati sgraditi.

Una ragione in più per non scherzare col fuoco quando in gioco sono i rapporti con un partner così importante e la logica del mercato globale.

* Stefano Silvestri è presidente dello Iai e direttore di AffarInternazionali.

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