Fonte: http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MB26Ak05.html

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La rivoluzione in Libia è una rivoluzione tribale. Non è stata, e continua a non essere, diretta dai giovani intellettuali urbani, come è accaduto in Egitto, o dalla classe operaia (che nella sua maggioranza è composta, di fatto, da lavoratori stranieri). Addirittura, nonostante i protagonisti dell’insurrezione contro Muamar Ghedafi è composta di una mescolanza di libici della fanteria, gioventù istruita e/o disoccupata, una parte delle classi medie urbane e disertori dell’esercito e dei servizi di sicurezza, quello che accomuna con tutti è la tribù. Persino Internet, per quanto concerne il capitolo libico della grande rivolta del 2011, non ha dimostrato di essere un protagonista assolutamente decisivo.

La Libia è tribale dalla A alla Z

Esistono 140 tribù (qabila), 30 delle quali importanti: una di esse, Warfalla, rappresenta un milione di persone (di una popolazione composta di 6,2 milioni di abitanti). Spesso, adottano il nome delle città da cui provengono. Il colonnello Ghedafi, afferma che l’insurrezione libica è un complotto orchestrato da al-Qaeda, stimolato da orde drogate con latte e Nescafé, mischiato con droghe allucinogene. La realtà è meno lisergica: è un insieme di tribù che rovescerà di una buona volta il re dei re africano.

Una gigantesca scritta nella Bengasi liberata recita: “No al sistema tribale”.  È una vana illusione. Gli ufficiali dell’esercito libico sono una collezione di notabili tribali sedotti o corrotti da Ghedafi, il quale segue una rigorosa strategia di dividere per governare sin dalla nascita del regime nel 1969. Tanto in Tunisia quanto in Egitto, l’esercito è stato decisivo per il rovesciamento dei rispettivi dittatori. In Libia, è molto più complicato. L’esercito non è così importante a confronto delle milizie paramilitari, private e mercenarie, dirette dai figli e dai parenti di Ghedafi.

Ghedafi e suo figlio “modernizzatore”, Saif, hanno già giocato le ultime carte che a loro rimanevano, in mancanza di genocidio: sedizione (fitna) e islamismo, alla maniera di Hosni Mubarak, come quando asserisce “sono io il caos”. Per quanto concerne il clan Ghedafi, la situazione è la seguente: senza di me è la guerra civile (in realtà, congegnata dal proprio regime) o da Osama Bin Laden (invocato come deus ex machina dal proprio Ghedafi). La maggioranza delle tribù non crede a questa storia del “dio sorto dalla macchina”.

Le prospettive di Ghedafi sono cupe. La tribù Awlad Ali, sita nella frontiera egizia, è contro di lui. Az Zawiyya gli ha voltato le spalle all’inizio di questa settimana. Az-Zintan, a 150 chilometri a sudovest di Tripoli, fa riferimento a Warfalla; tutti sono contro di lui. La tribù Tarhun che, in modo cruciale, rappresenta più del 30% della popolazione di Tripoli, gli si oppone. Lo sceicco Saif al-Nasr, ex capo della tribù Awlad Sulaiman, ha parlato su al-Jazeera, facendo un appello ai giovani tribali del sud ad aggregarsi alle proteste. Perfino alcuni membri della sua piccola tribù, Qadhadfa, sono contro di lui.

La società civile

La tribù, con i suoi clan e suddivisioni, è l’unica istituzione che ha regolato per secoli la società di quegli arabi che hanno vissuto nelle regioni dei colonizzatori italiani agli inizi del secolo XX, chiamate Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Dopo che la Libia conquistò l’indipendenza nel 1951, non ci furono più partiti politici. Durante la monarchia, la politica solo ha avuto a che fare con le tribù. Tuttavia, la rivoluzione di Ghedafi del 1969, reimpostò il ruolo politico delle tribù: divennero solo i garanti dei valori culturali e religiosi. L’ideologia della rivoluzione di Ghedafi ruotava intorno al socialismo, con il popolo, teoricamente, come soggetto della storia. Anche i partiti politici furono scartati. Fu l’ora dei comitati popolari e del congresso popolare. La vecchia elite, gli anziani delle tribù, fu messa da parte.

Ma il tribalismo restituì il colpo. Primo, perché Ghedafi decise che i posti nell’amministrazione dovevano essere distribuiti per affiliazione tribale. E, dopo, negli anni novanta, Ghedafi rinnovò le alleanze con i dirigenti tribali; gli servivano “per liberarsi dalla crescente opposizione e dai diversi traditori”. E apparvero i “comandi sociali popolari”, che combatterono la corruzione, risolsero le dispute locali e, in modo definitivo, consacrarono alla tribù come protagonista politico.

Ghedafi si assicurò di avere un’alleanza impenetrabile con i Warfalla e, mediante una strategia incentrata sotto la consegna del “popolo armato”, riuscì a domare l’esercito. I posti chiave nel servizio segreto furono consegnati alla sua tribù, Qadhadfa e, in particolare, a uno dei suoi compagni rivoluzionari, Maqariha. Ciò significò, essenzialmente, che queste due tribù ottennero il monopolio di tutto i settori decisivi dell’economia e, letteralmente, eliminarono a tutta l’opposizione.

L’inevitabile esito di questo sistema politico tribale è stato lo schianto di una società civile basata su istituzioni democratiche. La classe media istruita è stata spogliata di tutto. Successivamente, è arrivato l’embargo delle Nazioni Unite, che durò un decennio. L’economia, che già si trovava in pessime condizioni, crollò in picchiata; non ci è mai stata un’adeguata redistribuzione della ricchezza dovuta al petrolio e al gas. L’inflazione e la disoccupazione andarono alle stelle. La retorica è stata sempre quella della “democrazia diretta”; la realtà era, invece, quella che i pochi “vincitori” formavano parte di una borghesia statale reazionaria, sia quelli riformisti, diretti da Saif, conservatori (fedeli al Libro verde di Ghedafi), o tecnocrati (quelli che intraprendono affari sostanziosi con le corporazioni straniere).

Anno zero nella Cirenaica

Non sorprende se l’insurrezione sia iniziata a Bengasi, la quale rimase esclusa da ogni strategia di sviluppo in una regione, quella Cirenaica, con un’infrastruttura assolutamente pessima se confrontata con quella di Tripolitania.

Ora, l’ufficialmente denominato Jamahiriya, “Lo Stato delle masse” è sul punto di crollare. Per la Cirenaica è l’anno zero. È impossibile non ricordarsi i primi giorni dell’Iraq “liberato” nell’aprile del 2003. Lo Stato è scomparso. Comitati popolari, gruppi islamici e bande armate controllano interi territori. Nessuno sa prevedere gli sviluppi di questa sommossa o quello che potrà accadere dopo la battaglia di Tripoli (sempre e quando l’opposizione possa ottenere qualche serio pezzo di artiglieria pesante). Una forte possibilità è quella che si possano sviluppare, nell’emergenza, dei territori tribali autogestiti, controllati dalle tribù, come in Afganistan e Somalia o, di fatto, che intere regioni diventino indipendenti, nonostante gli sforzi dell’opposizione in esilio che si è messa in azione per dissipare questi timori.

Prima che ciò possa accadere, come ha avvertito Ghedafi, scorrerà del sangue. La forza aerea è controllata direttamente dal clan Ghedafi. Inoltre, due dei suoi figli occupano posti decisivi: Moutassim, è capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza e, Khamsis, è comandante di una brigata delle forze armate. L’esercito ha a disposizione 150.000 soldati. I massimi comandanti militari hanno tutto da perdere se non danno il loro appoggio a Ghedafi. Secondo le migliori previsioni, Ghedafi potrebbe fare affidamento su 10.000 soldati. Per non parlare dell’esercito mercenario “africano nero”, pagato profumatamente, nella sua maggioranza introdotto in Libia, tramite il Ciad.

Qualunque cosa sorga da questo vulcano, si fa fatica a non immaginare una Libia esente da fratture tribali. Vale la pena affermare che la gioventù libica tribale che si è riversata nelle strade contro il regime armato di Ghedafi, considera la mentalità tribale alla pari della peste. Essa non scomparirà da un giorno all’altro. Tuttavia, la migliore speranza possibile sotto le difficili circostanze, con la minaccia di una crisi umanitaria e lo spettro della guerra civile, è che Internet spinga il paese a un’era post tribale. Prima che ciò accada, deve crollare un bunker.

* Pepe Ecobar è autore di “Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War “, (Nimble Books, 2007)  e di “Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge”. Il suo ultimo libro s’intitola: “Obama does Globalistan”, (Nimble Books, 2009).

(trad. Di V. Paglione)

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