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LI – Scenari di guerra nel Vicino Oriente

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L’attacco aereo israeliano effettuato in Siria nella prima decade di maggio (il più massiccio dopo l’accordo di disimpegno del 1974), il ritiro degli USA dal trattato sul nucleare iraniano siglato a Vienna nel 2015, il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e le stragi dei manifestanti palestinesi hanno gettato altro olio sul fuoco in una regione già incandescente, dove gli alleati di Washington sono già impegnati contro l’Iran: Israele in Siria e l’Arabia Saudita in Yemen.

Descrizione

GEOPOLITICA

Alcune pagine dal fondamentale testo dell’etnologo e geografo tedesco Politische Geographie (1897), il testo dell’etnologo e geografo tedesco che diede inizio alla geografia politica come disciplina scientifica.

Le pagine di Karl Haushofer che vengono qui tradotte provengono da una raccolta di scritti apparsi tra il 1920 e il 1945. “Un lavoro di geopolitica – scrive Haushofer – deve essere del tutto indipendente dal luogo della superficie terrestre in cui si trova il suo autore, dalla situazione e dall’appartenenza politica di quest’ultimo”.

DOSSARIO: SCENARI DI GUERRA NEL VICINO ORIENTE

L’influenza regionale dell’Iran, a partire dalla Rivoluzione Islamica del 1979, è progressivamente cresciuta, in parallelo all’allentarsi dell’egemonia statunitense. Tuttavia l’obiettivo finale dell’attivismo militare di Washington è proprio la caduta del complesso sistema giuridico-politico che ha consentito alla Repubblica Islamica dell’Iran di mantenersi indipendente fino ad oggi. La continuazione dell’attuale situazione, favorevole nei rapporti di forza tra gli Stati dell’area, dipende però anche dalla comprensione, da parte della dirigenza iraniana, del contesto globale all’interno del quale il Paese è costretto a muoversi. Infatti un atteggiamento collaborativo da parte di Teheran può allontanare lo spettro di un possibile e devastante conflitto, contribuendo paradossalmente all’isolamento dello storico nemico a stelle e strisce.

La decisione di Trump di recedere dall’Accordo di Vienna del luglio 2015 sul nucleare iraniano ha gettato un’ombra sinistra sul futuro del Medio Oriente, prospettando secondo alcuni l’inizio di una nuova fase di destabilizzazione per la regione e per gli equilibri globali. Tutto ciò è potenzialmente dannoso per la stabilità della Repubblica Islamica dell’Iran, che, se da un lato dimostra di avere una buona tenuta fuori dai propri confini, all’interno, anche per via di discutibili decisioni della sua dirigenza, concentrata più sul fronte estero che non su quello interno, sembra più vulnerabile.

La revisione della tattica statunitense in relazione al confronto con l’Iran – centrata sul ritiro dall’accordo sull’energia – rafforza la tesi secondo cui la strategia degli USA mira ad abbattere il regime attuale di Teheran ed a sostituirlo con uno più confacente agli interessi geopolitici americani. L’obiettivo dell’attuale amministrazione USA è provocare il “cambio di regime” tramite l’induzione del collasso economico e il sovvertimento politico, senza ricorrere a una guerra diretta. Il confronto militare con l’Iran è semmai demandato agli alleati regionali, Israele e Arabia Saudita, il primo alle prese con una presenza iraniana sempre più pressante ai propri confini, la seconda impegnata in una lunga guerra in Yemen, dove opera l’organizzazione Ansarullah sostenuta da Teheran. Di fronte al ritiro americano, un Iran ulteriormente consolidato nella sua posizione antiamericana potrebbe riconsiderare la dotazione dell’atomica a scopi militari.

Lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, ennesimo exploit dell’arroganza occidentale, dimostra in modo lampante il prevalere degli interessi privati su quelli pubblici. Ma neanche questo sembra bastare alla “comunità internazionale” per porre fine al pluridecennale genocidio del popolo palestinese: che cosa ancora dovrà accadere perché il mondo si muova?

Le elezioni legislative in Iraq si sono concluse con la vittoria del blocco che fa capo a Moqtada al-Sadr. Adesso sia quest’ultimo sia il suo antagonista Hadi al-Amiri cercano di costituire un blocco che consenta di occupare il posto di Primo Ministro. Se un’intesa non è ancora esclusa, uno scontro fra i due schieramenti metterebbe a rischio l’esistenza dell’Asse della Resistenza.

Sabato 19 maggio 2018 si è svolto a Roma, presso il Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza, il convegno dal titolo “Yemen: storia, spiritualità e attualità. Dalla regina di Saba al massacro della coalizione a guida saudita”. Riportiamo il testo dell’intervento di Daniele Perra, collaboratore di “Eurasia”.

Non è la prima volta che la piccola nazione caucasica affronta proteste di vasta portata che partendo da rivendicazioni sociali, vere o presunte, hanno finito per inserirsi in un quadro più ampio di destabilizzazione geopolitica della regione. Se nei casi precedenti la longa manus occidentale era evidente ed i movimenti di protesta (soprattutto quello noto col nome di Electric Yerevan) rispettavano in pieno lo stile “sorosiano” e la tattica idealizzata dal politologo statunitense Gene Sharp, lo stesso non si può affermare per la “rivoluzione di velluto” che ha portato al potere il quantomeno ambiguo Nikol Pashinyan. Cambio di tattica o reale movimento popolare, è solo attraverso la comprensione del particolare orizzonte esistenziale nel quale si è sviluppato l’ethnos armeno che si potranno valutare ed interpretare le direzioni geopolitiche entro le quali si inserirà il nuovo corso politico di quello che il grande poeta Osip Mandel’stam definiva “il paese delle pietre urlanti”.

Decostruire le narrazioni correnti è il primo passo per accedere ad un quadro chiaro della situazione del Vicino Oriente. Superare lo schematismo sciiti/sunniti, superare la narrazione dell’“intervento umanitario” e dell’“esportazione di democrazia” – come anche quella paracomplottista che vede ogni manifestazione di piazza e ogni forma di dissenso popolare come una macchinazione di attori esterni agli stati arabi – rischia però di non essere sufficiente se non si inquadra tutto in un contesto che è marcatamente geopolitico oltre che economico-sociale: il posizionamento fisico delle grandi potenze globali e delle medie potenze locali sullo scacchiere dell’area. Quali previsioni politiche per i prossimi anni?

La percezione del proprio ruolo geopolitico da parte della Turchia oscilla fra quello di crocevia euroasiatico – fedele alla sua  grande tradizione storica e alla collocazione geografica – e quello di avamposto occidentale, in nome e per conto del Patto Atlantico. L’appartenenza alla NATO e la collaborazione a più livelli con Russia e Iran  non sono soltanto aspetti contraddittori – certamente suscettibili di determinare incertezze e imprevedibilità – ma anche le risultanti di equilibri precari che si riflettono su tutto il Vicino Oriente. Anche dalla capacità turca di sottrarsi ai pesanti condizionamenti occidentali dipenderà l’avvio di un nuovo assetto vicinorientale e il ristabilimento di condizioni di pace e di stabilità compromesse da continue e ripetute interferenze militari, economiche e culturali.

Al potere in Turchia da quindici anni, Erdogan ha cercato di sfruttare al meglio le potenzialità geopolitiche del suo paese. Dopo essere stato un fedele alleato della Nato, ha però iniziato a volgere lo sguardo verso Mosca, lasciando intendere un riposizionamento politico che potrebbe mutare tutti gli equilibri del Vicino e Medio Oriente. Washington permettendo.

Le evidenti differenze sociopolitiche esistenti fra gli Stati del Vicino Oriente generano profonde contrapposizioni, ma anche alleanze estemporanee. La comunione di intenti fra antichi nemici, come Israele ed Egitto, creano una circolarità ed una interdipendenza fra le nazioni a livello globale. In questa dinamica è proprio il Cairo a dimostrare la fondatezza della teoria sistemica, che vuole spiegare le interazioni fra Stati alleati e rivali. L’Egitto ha siglato con Israele un accordo commerciale sulla distribuzione del gas; contemporaneamente mantenere i rapporti politici e militari sia con gli Stati Uniti sia con la Russia. Mosca, a sua volta, tende a creare un corridoio energetico favorito dagli oleodotti iraniani; ciò potrebbe comportare un cambiamento negli equilibri economici del Vicino Oriente, ma soprattutto una contrapposizione all’accordo tra Israele ed Egitto, nonostante la tendenza positiva degli scambi commerciali tra la Russia e il Paese nordafricano. Di fatto, la variazione della politica energetica dell’Egitto si riflette nei rapporti fra associati ed antagonisti, non solo a livello regionale ma globale. Pertanto non è un andamento lineare a creare le interazioni, ma un processo circolare.

Dal 12 al 18 maggio 2018 si è svolta nella città santa di Mashhad, capoluogo del Khorasan iraniano, una conferenza internazionale sul tema “Gerusalemme-Al Qods, capitale eterna della Palestina”. È stata invitata una cinquantina di personalità europee, asiatiche ed anche americane, fra cui studiosi di geopolitica, uomini politici, analisti indipendenti, giornalisti, religiosi di diverse confessioni, attivisti antimperialisti e antisionisti.

CONTINENTI

Tra i tanti nodi delle trattative per la Brexit, la questione del confine tra le due Irlande è probabilmente il più spinoso. A differenza di quanto avviene per molti dei punti oggetto delle stesse, infatti, le posizioni delle parti in causa sono motivate principalmente da questioni ideali e identitarie; e, come spesso accade, raggiungere un compromesso su questi temi è molto più difficile che non conciliare interessi economici o geopolitici contrapposti.

DOCUMENTI

Il prof. Johann von Leers (1902-1965), ordinario di Storia all’Università di Jena, il 19 giugno 1940 tenne in lingua italiana questa conferenza presso l’Istituto Germanico di Storia della Cultura (Kaiser Wilhelm Institut für Kulturwissenschaft) a Palazzo Zuccari a Roma. La conferenza fu ripetuta il 27 giugno al Teatro delle Arti; quindi venne stampata in un opuscolo intitolato Elementi comuni nella storia italiana e germanica, pubblicato in quello stesso anno dalla casa editrice viennese Anton Schroll. Bibliografia italiana di Johann von Leers: L’Inghilterra. L’avversario del continente europeo (Edizioni all’insegna del Veltro, 2004), Contro Spengler (Edizioni all’insegna del Veltro, 2011).

L’Occident contre l’Europe, “Jeune Europe”, a. 6, n. 207, 2-9 aprile 1965.

Tra il 1984 e il 1985 Jean Thiriart scrisse un libro intitolato L’Empire Euro-soviétique de Vladivostok à Dublin, finora inedito. La traduzione italiana di questo testo, eseguita da Claudio Mutti, è in preparazione presso le Edizioni all’insegna del Veltro. Ma perché pubblicare oggi questo libro, il cui titolo rivela da solo l’anacronismo dell’argomento? “Al di là dell’importanza della testimonianza storica – scrive nella sua Introduzione Yannick Sauveur, che è anche l’estensore delle note –  non è  inutile interrogarsi sull’attualità retrospettiva degli scritti di Thiriart alla luce delle tensioni e degli sconvolgimenti in corso. Infatti, se si guarda bene, dal punto di vista della strategia americana il nemico russo ha rimpiazzato il nemico sovietico e l’Europa è ancora oggi il medesimo nano politico, tanto più che la crisi economica cominciata col primo trauma petrolifero (1973) non ha fatto che aggravarsi, mentre la scomparsa del comunismo ha provocato una capitolazione concettuale per quanto riguarda le alternative al liberalismo di marca anglosassone, poiché perfino il modello renano di capitalismo si è dovuto piegare davanti a Wall Street. (…) L’Empire Euro-soviétique de Vladivostok à Dublin è l’opera di un teorico per il quale la lunga durata e i grandi spazi costituiscono il centro della riflessione. Si tratta di un’opera di prospettiva politica che, staccata da ogni considerazione ideologica, unisce storia, sociologia e geopolitica”.

INTERVISTE

Quest’anno è stato pubblicato da BFS Edizioni, in collaborazione con il Centro Studi Movimenti di Parma, un volume, curato da Marco Adorni e Fabrizio Capoccetti, che è interamente dedicato alla questione delle migrazioni contemporanee. Sorvolando su alcune affermazioni che si distanziano dalle posizioni di “Eurasia”, il lettore apprezzerà il tentativo di Marco Adorni di considerare il fenomeno migratorio oltre la vernice della retorica moralistica, inquadrandolo in un’ottica eminentemente politica.

L’intervista è stata rilasciata a Mashhad (Iran) l’11 maggio 2018, a margine della conferenza internazionale sul tema “Gerusalemme-Al Qods, capitale eterna della Palestina”.

RECENSIONI e SCHEDE

Pseudosenofonte, Il regime politico degli Ateniesi, a cura di C. Mutti, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2018 (Adelaide Seminara)

Werner Sombart, Visione del mondo, scienza ed economia, Saggio introduttivo di F. Ingravalle, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2018 (Adelaide Seminara)

Claudio Claudiano, Phoenix, a cura di C. Mutti, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2018 (Adelaide Seminara)

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