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LVI – Oltre le Termopili

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Al di là dei luoghi comuni e delle rappresentazioni di ispirazione ideologica, la potenza regionale iraniana costituisce un presidio del continente eurasiatico. La sua funzione geopolitica consiste nel costruire tra l’Asia centrale e l’Oriente mediterraneo un blocco capace di respingere l’aggressione atlantica e di contendere l’egemonia sul Vicino Oriente all’avamposto israeliano dell’imperialismo nordamericano.

Descrizione

TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Il presente articolo ha ad oggetto il ruolo che l’Istituto per gli studi di politica internazionale ha rivestito in una particolare fase della storia italiana, nel decennio che si estende tra gli anni ’30, nei quali esso venne fondato, sino alla sua prima chiusura, nel 1943. Inoltre, lo scritto intende fornire una breve sintesi dei presupposti culturali e scientifici che hanno condotto ad avvertire la necessità di dare sistemazione istituzionale agli studi nell’ambito della politica internazionale da parte dell’Italia di allora, prendendo altresì in esame il complesso contesto di riferimento.

DOSSARIO: OLTRE LE TERMOPILI

Con la dichiarazione congiunta russo-cinese del 2005 sull’ordine internazionale nel XXI secolo, Vladimir Putin e l’allora Presidente della Repubblica Popolare Hu Jintao diedero avvio, a due anni dall’aggressione anglo-americana all’Iraq, al progetto di creazione di un sistema globale multipolare fondato non sullo “scontro tra civiltà”, ma sul rispetto della molteplicità delle civiltà mondiali e dei differenti modelli di sviluppo. L’Iran, con la sua costruzione politica teocentrica, fondata tanto sulla tradizione islamica sciita quanto sullo schema trifunzionale dell’antichità indoeuropea, rappresenta indubbiamente il “polo” che maggiormente si distanzia sia dall’ultrasecolarizzato “Occidente” sia dalle varianti “contraffatte” dell’Islam. Questo suo essere ontologicamente “autentico” ed ideologicamente “altro” rispetto ai canoni della modernità ha implicato la sua messa in costante stato d’accusa da parte dei paladini dell’egemonia unipolare. In questo lavoro si cercherà di mettere in luce sia gli aspetti geofilosofici che determinano l’ininterrotta campagna di delegittimazione internazionale di Teheran, sia gli aspetti più propriamente geopolitici che hanno indotto l’attuale amministrazione nordamericana a mettere in atto la strategia della “massima pressione”.

La recente crisi tra Iran e Regno Unito riguardo alle imbarcazioni confiscate reciprocamente presso gli stretti di Gibilterra e Hormuz ha fatto nuovamente salire la tensione tra la Repubblica Islamica e l’Occidente a guida anglosassone. Ciò ha fatto emergere una proposta provocatoria da parte dell’amministrazione Trump, ovvero la messa a punto di una coalizione internazionale per presidiare le navi commerciali nella zona del Golfo Persico e del Mare di Oman, per evitare che vi possano essere in futuro nuove azioni di rappresaglia da parte della marina di Teheran contro gli atti di pirateria internazionale dell’asse Washington-Londra. Se dovesse essere accompagnata dal supporto israeliano, la coalizione proposta da Trump potrebbe comportare uno scontro diretto nello Stretto di Hormuz tra le marine dei due principali rivali regionali, Iran e Israele, con esiti imprevedibili per la stabilità internazionale.

L’invito del presidente francese Emmanuel Macron al ministro degli Esteri iraniano Zarif a recarsi a Biarritz, mentre erano in corso le riunioni del G7, è l’ennesima prova della volontà europea di rispettare l’accordo JCPOA e la conseguente distensione con l’Iran. Tuttavia, viste le enormi pressioni americane in senso contrario e la sfiducia dei vertici di Teheran, per l’Europa la questione si configura anche come un banco di prova per quella sovranità europea che recentemente è stata più volte evocata.

La precarietà politica del Venezuela, causata dal confronto tra Nicolás Maduro e Juan Guaidó, ha dato impulso alla collaborazione militare ed economica del paese sudamericano con la Russia e l’Iran. Le aree di instabilità provocate dall’uscita degli Stati Uniti dall’INF si estendono all’Europa, probabilmente a monito verso la Russia, ed al Golfo Persico. Alle alleanze dell’Iran con Iraq e Siria fa riscontro l’atteggiamento aggressivo di Israele, che continua con le sue incursioni militari.

Dopo la guerra combattuta per otto anni fra l’Iraq e l’Iran (1980-1988) le ferite dei due popoli si sarebbero forse richiuse, se nel 2003 l’Iraq non fosse stato invaso dagli americani. Nonostante la resistenza della comunità sciita e di quella sunnita contro gl’invasori, i settarismi confessionali e le manovre degli occidentali fecero precipitare il Paese in una sanguinosa guerra civile, dalla quale l’Iraq non si è ancora ripreso. È evidente che oggi la via della riconciliazione nazionale passa attraverso l’Iran.

Le relazioni fra l’Iran e l’Iraq, difficili e tese fin dal momento in cui venne creato il nuovo Stato arabo, esplosero nel 1979, quando la vittoria della Rivoluzione Islamica mise in discussione il bipolarismo americano-sovietico imposto al sistema mondiale; il 22 settembre 1980 l’Iraq attaccò la Repubblica Islamica. Dopo l’invasione statunitense dell’Iraq e il crollo del regime ba‘thista, la petromonarchia saudita ha alimentato il settarismo nel Paese, esasperando le divergenze tra sunniti e sciiti e sostenendo, d’intesa con Stati Uniti e Israele, le formazioni terroriste. Da parte sua l’Iran, dopo aver fornito un contributo decisivo alla lotta contro il terrorismo, continua a sostenere la necessità di un’alleanza con l’Iraq, al fine di consolidare l’asse della resistenza.

La Turchia e la Repubblica Islamica dell’Iran sono percepite dai liberisti occidentali con malcelato fastidio: superficiali racconti mediatici li segnalano come avviati a un’inevitabile contrapposizione fra di loro, in qualità di aspiranti potenze egemoni inconciliabili da un punto di vista dottrinario e religioso. In realtà si può parlare semmai di cooperazione competitiva, con l’aspetto collaborativo che prevale nettamente su quello competitivo, considerato il fatto che le buone ragioni di un’intesa prevalgono su ambizioni nazionaliste. Vicende storiche secolari e comune appartenenza all’Islam confermano questo rapporto di vicinanza e solidarietà che da tre anni a questa parte – con il cambio di prospettiva turco nel conflitto siriano – ha visto una decisa accelerazione e riscontri importanti.

Relazione tenuta il 4 Giugno 2016 al convegno sulla figura dell’Imam Khomeyni organizzato a Roma dal Centro Studi Internazionale “Dimore della Sapienza”.

CONTINENTI

In un articolo del maggio 2016 comparso sul sito informatico di “Eurasia” Domenico Caldaralo sottolineò come il governo nazionalista di Nuova Delhi stesse rapidamente abbandonando la tradizionale posizione di “non allineamento”, mantenuta nei decenni precedenti (con alterne fortune) dal Partito del Congresso, per rivestire il più che ambiguo ruolo di “fiancheggiatore degli interessi statunitensi nell’Oceano Indiano”. Dopo aver giocato un ruolo di primo piano nella costruzione di un possibile ordine globale multipolare, l’India, soprattutto dopo l’elezione di Donald J. Trump a 45° Presidente degli Stati Uniti, ha ulteriormente ridefinito la propria posizione geopolitica, anche sulla base di presunte affinità ideologiche con il “nuovo” paradigma politico rappresentato dall’amministrazione nordamericana e dal suo naturale alleato sionista. Nel generale panorama di ridefinizione del sistema di alleanze a cui si sta attualmente assistendo, Nuova Delhi sembrerebbe aver già compiuto una precisa scelta di campo. La recente decisione sulla revoca dello status speciale al Jammu e Kashmir non può che essere interpretata alla luce di questo fatto. Destabilizzando l’area, infatti, l’India si appresta a svolgere il ruolo di “cavallo di Troia” di Washington lungo la fascia meridionale del continente eurasiatico. Gli obiettivi sono precisamente il blocco della costruzione di infrastrutture di rilievo facenti parte della Nuova Via della Seta (il Corridoio Economico Sino-Pakistano in primo luogo) e la progressiva frantumazione (dall’interno) del progetto di integrazione continentale.

La Libia, un tempo Paese florido e d’avanguardia nel panorama regionale africano, dopo la fine dell’esperimento socialista fondato dal Colonnello Gheddafi vive una condizione di profonda prostrazione. Il frazionamento della nazione in lotte etniche e tribali e in dissidi settari e religiosi lascia spazio per l’intervento di più attori internazionali, con diversi interessi, che ambiscono alla ripartizione conflittuale del territorio e delle risorse energetiche o sociali. Eppure, stando al lascito politico e culturale di Gheddafi, questa possibilità estrema era stata già prevista. Il futuro della Libia è oggi ancora incerto.

Con la stabilizzazione del quadro demografico – in termini di natalità e mortalità – in Asia, nel Vicino Oriente e nelle Americhe e con la contrazione del medesimo in Europa, l’Africa subsahariana rimane il continente per il quale si prevede un robusto aumento della popolazione nei prossimi decenni. Ciò basterebbe a confermare le previsioni di una sostenuta crescita economica del continente in termini di prodotto interno lordo; ma non è questo l’unico aspetto per il quale vale la pena di volgere lo sguardo all’Africa come campo di competizione e di scontro fra le potenze nel XXI secolo. L’Africa subsahariana rimane un continente ricchissimo di risorse naturali, affacciato su due oceani – l’Oceano Atlantico oggi ancora un “Lago Americano” e l’Oceano Indiano, sul quale si estende la componente marittima della Via della Seta cinese unitamente alle ambizioni di medie potenze quali India e Iran, degli ex imperi inglese e francese nonché degli Stati Uniti, con il Corno d’Africa che controlla il passaggio da tale oceano al Mar Mediterraneo.

Lo scioglimento dei ghiacci nell’Oceano Artico può influenzare l’industria dei trasporti marittimi, procurando vantaggi e svantaggi alle compagnie di navigazione che intendono servirsi delle vie artiche. La Russia, in particolare, può trarre vantaggio dallo sviluppo della rotta del Mare del Nord (NSR). In ogni caso le rotte artiche, il cui utilizzo è prevalentemente stagionale e legato al petrolio ed al gas naturale, sono ancora molto lontane dal superare le rotte commerciali tradizionali.

 

DOCUMENTI

J. Thiriart, Politiques platoniques, nations fictives et nationalismes illusoires, “La Nation Européenne”, n. 17, 15 maggio – 15 giugno 1967, pp. 25-26).

Messaggio inviato dall’Imam Khomeyni ai cristiani nel Natale 1979, nel momento della cosiddetta “crisi degli ostaggi”.

Messaggio pronunciato dall’Imam Khomeyni il 28 Settembre 1979, in occasione del pellegrinaggio rituale a Mecca.

Estratti da discorsi e messaggi dell’Imam Khomeyni raccolti in: Il pericolo sionista. L’Imam contro il sionismo, Istituto Culturale della Repubblica Islamica dell’Iran, Roma s. d. [1983].

Discorso pronunciato il 29 Maggio 2019 dall’Ayatollah Khamenei, Guida Suprema della Rivoluzione Islamica, in un’assemblea di personalità eminenti, professori d’università e ricercatori universitari. L’incontro si è svolto nel 23° giorno del mese di Ramadan di quest’anno.

Il 22 agosto 2019 il Grande Ayatollah Seyyed Kazim al-Haeri, una delle più eminenti figure dell’Islam iracheno di scuola sciita, ha emesso questa dichiarazione religiosamente vincolante, secondo la quale è “islamicamente illecita la presenza (sul territorio iracheno, ndr) di qualunque forza militare americana o simile, sotto qualunque denominazione: sia essa a scopo di addestramento o di consulenza militare o col pretesto di combattere il terrorismo”.

INTERVISTE

Il vicedirettore di “Eurasia” intervista Giulietto Chiesa, giornalista italiano con una lunga esperienza di lavoro in Russia, nonché autore di numerose opere sulla politica internazionale. Attualmente Giulietto Chiesa è coordinatore di Pandora TV.

RECENSIONI e ARCHIVIO

David Armitage, Guerre civili. Una storia attraverso le idee (Davide Ragnolini)

Paolo Borgognone, Storia alternativa dell’Iran islamico (Amedeo Maddaluno)

Costanzo Preve,  Karl Marx. Un’interpretazione (Amedeo Maddaluno)

L’Iran. Il Vicino Oriente
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