Descrizione
GEOPOLITICA E GEOSTRATEGIA
Il saggio esamina l’offensiva israeliana contro Hamas nella Striscia di Gaza, soffermandosi in particolare sulla complessa rete di gallerie sotterranee utilizzata dal movimento islamista. Viene messa in luce la difficoltà di neutralizzare questa infrastruttura, nonostante l’uso di tecnologie avanzate, e si analizzano le gravi conseguenze umanitarie dell’assedio, tra cui carestia, crollo dei servizi essenziali e crisi sanitaria. Il testo mette in dubbio l’efficacia della strategia israeliana, evidenziando il rischio che essa rafforzi la resistenza di Hamas e porti a un conflitto di lunga durata, senza reali prospettive di soluzione.
L’intelligenza artificiale è già diventata un’arma. Fino a qualche anno fa veniva usata da agenzie di spionaggio per prevenire o per mettere in atto attacchi informatici, inganni o depistaggi: oggi è anche uno strumento per analizzare il campo di battaglia e stabilire gli obiettivi da colpire e fare fuoco. È inquietante immaginare cosa potrà fare l’IA una volta integrata con droni e robot.
L’Antartide, continente inesplorato, vive di assopimento e di equilibrio per volontà delle potenze. Destinato, forse, ad una nuova corsa per la volontà di conquista, gloria e scoperta. Ultima frontiera terrestre dell’esplorazione umana.
DOSSARIO | L’UE CONTRO L’EUROPA?
Nel 2022 l’Unione Europea ha cominciato a introdurre cambiamenti significativi nelle sue tradizionali politiche di sicurezza e difesa: il conflitto russo-ucraino e la crescente acquiescenza nei confronti dell’ingombrante alleato-padrone statunitense hanno indotto la UE ad adottare un linguaggio più aggressivo e a porsi il temerario obiettivo di diventare un efficace attore geopolitico anche sul piano militare oltre che su quello diplomatico. Ma il contesto internazionale è fluido e alzare i toni potrebbe essere, invece, controproducente.
Nei Paesi anglosassoni ammettere portatori di interessi economici nei luoghi dove si presentano le leggi è prassi riconosciuta da secoli. È così, fin dalla sua nascita, anche per il Parlamento europeo, prodotto di una forma culturale di matrice anglo-americana. L’UE, nata in un periodo di egemonia neoliberista nell’Occidente a guida USA, si è subito palesata come l’ariete della reazione liberista in Europa e il veicolo della sua americanizzazione (benché gli USA stessi abbiano cercato a più riprese di minare tale costruzione, soprattutto sul piano economico). A ciò si aggiunga che l’evoluzione delle istituzioni europee è andata di pari passo con l’espansione della NATO (Brzezinski docet). Ciò ha portato l’UE a divenire portatrice di interessi geopolitici che, in molti casi, non coincidono affatto con gl’interessi dell’Europa e degli Europei. In questo contesto, l’infiltrazione nei corridoi di Strasburgo e Bruxelles ed il crescente potere della cosiddetta lobby sionista (che spesso agisce in spregio delle regole previste dall’UE) appare come il naturale esito di un preciso processo storico: quello che nasce dall’accettazione della “religione olocaustica” come religione laica dell’Occidente e in virtù di essa considera illegittima qualsiasi critica dell’operato politico dello Stato di Israele, che assurge al ruolo di faro-guida dell’Occidente.
La tesi ideologica di una matrice “giudaico-cristiana” dell’Europa venne formulata nel periodo della guerra fredda in relazione a un Occidente che indicava il proprio nemico nell’Unione Sovietica e nella Cina; il presidente statunitense Dwight Eisenhower dichiarò che la forma di governo americana era basata su valori morali giudaico-cristiani, termine che trascendeva sia il giudaismo che il cristianesimo unendoli in un unico concetto. Oggi il medesimo concetto, oltre a legittimare l’assorbimento dell’Europa nella sfera occidentale dominata dagli Stati Uniti, è funzionale alla demonizzazione dell’Islam e al riconoscimento dello Stato d’Israele quale avamposto dell’Occidente.
Attraverso documenti d’archivio statunitensi (FRUS, memoranda NSC, carte CIA) e fonti europee, l’articolo ricostruisce la genesi dell’integrazione europea come progetto promosso fin dal 1947 dagli Stati Uniti. Viene illustrato il nesso tra aiuti economici del Piano Marshall, sostegno politico-militare (NATO) e operazioni di soft-power coperte dell’OSS/CIA, canalizzate a favore di organismi quali CECA, CED e CEE tramite l’American Committee on United Europe, Radio Free Europe e reti stay-behind. Si evidenzia inoltre il ruolo di figure chiave – Donovan, Dulles, Monnet, Marjolin, Churchill – e l’appoggio USA all’unione monetaria come secondo pilastro post-CED. Ne emerge un filo rosso che, dai fondi ERP agli odierni meccanismi UE-NATO, mostra come Washington guidò l’unificazione occidentale europea lungo vettori economici, politico-militari e finanziari, plasmando l’architettura strategica euro-atlantica tuttora vigente.
“La lengua es compañera del imperio”: il nesso tra egemonia linguistica ed egemonia politico-militare, così efficacemente rappresentato dal grammatico Elio Antonio Nebrija, sottende la definizione che il Maresciallo Louis Lyautey diede della lingua : “un dialetto che ha un esercito e una marina”. Allo stesso ordine d’idee si ispira il Generale Jordis von Lohausen quando prescrive che “la politica linguistica venga messa sullo stesso piano della politica militare” ed afferma che “i libri in lingua originale svolgono all’estero un ruolo talvolta più importante di quello dei cannoni”.
Lanciata dalla Cina nel 2013, la Belt and Road Initiative ha inizialmente suscitato grande entusiasmo in Europa, in particolare in Italia, che si è autodefinita ponte strategico tra Oriente e Occidente. Tuttavia, con il passare degli anni, le pressioni provenienti dall’esterno e timori non sempre giustificati hanno portato ad una revisione radicale del progetto, culminata con il ritiro formale dell’Italia. Questo articolo esamina il percorso evolutivo della BRI nel Vecchio Continente, concentrandosi poi sul caso italiano e sul recente riavvicinamento diplomatico dimostrato dalla visita del Primo Ministro spagnolo Pedro Sánchez a Pechino.
Il caso della Turchia è un buon esempio dell’inadeguatezza europea della UE: a fronte della complementarità geopolitica – in particolare nel bacino mediterraneo, ma non solo – fra Turchia ed Europa, l’UE persiste nella sua chiusura e nella sua guerriglia ideologica nei confronti di Ankara. Questo nonostante gli importanti accordi commerciali in essere e quelli in tema di freno alla immigrazione clandestina verso l’Europa, un ruolo fondamentale che la Turchia ricopre. Ultimamente Erdoğan sembra essere di nuovo propenso a richiedere l’ingresso nella UE, ritenendo che la piena adesione alla stessa rimanga un obiettivo strategico decisivo; ma l’orientamento dei Turchi (della Turchia popolare e profonda) sulla questione è ben poco favorevole ed entusiasta, in seguito alla persistente antipatia manifestata dalle istituzioni europee nei loro confronti.
Seguendo la traccia di alcune dichiarazioni di Jean Thiriart, che preconizzò una “Più Grande Europa” dalla Groenlandia allo stretto di Bering, l’articolo mette a fuoco l’attuale condizione dell’Europa, divisa tra un’area occidentale e centrale occupata dagli USA e un’area indipendente e sovrana, la Federazione Russa. Affrontando il problema del coinvolgimento atlantista delle zone occupate e affermando l’esigenza della loro liberazione, l’analisi si sviluppa considerando quelle iniziative che potrebbero essere interpretate come tentativi di forzare il dominio statunitense: l’instaurazione di una sinergia energetica con la Russia e i tentativi di abbozzare un progetto di “autonomia europea”.
DOCUMENTI
Discorso pronunciato il 12 marzo 1949 da Giancarlo Pajetta (1911-1990), deputato del gruppo comunista alla Camera dei deputati, nel corso del dibattito sull’adesione dell’Italia al Patto Atlantico.
RECENSIONI E SCHEDE
Italo Pizzi, La vita ai tempi eroici di Persia (Filippo Mercuri)
Andreas Malm, Distruggere la Palestina, distruggere il pianeta (Alessandra Colla)
René Guénon, Lettere a Vasile Lovinescu (Adelaide Seminara)
Gabriele Repaci, Siria, crocevia della storia (Adelaide Seminara)