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XXII – La cerniera mediterraneo-centroasiatica

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La transizione dal sistema unipolare a quello multipolare genera tensioni in due aree del Continente eurasiatico: il Mediterraneo e l’Asia centrale. L’individuazione di un unico grande spazio mediterraneo-centroasiatico fornirebbe elementi operativi all’integrazione continentale.

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Descrizione

EURASIATISMO

Sin dal primo Medioevo la steppa e i suoi popoli ebbero un ruolo sconvolgente con i loro transiti verso l’Europa sia nella trasformazione e nella divisione dell’Impero Romano sia nella costituzione dei primi stati occidentali influendo, molto positivamente, sulle comunicazioni con la grande Asia e col nordest d’Europa. In particolare dobbiamo riconoscere alla pianura russa d’aver agito da tramite geografico, commerciale e culturale, e non solo logistico.
A. Marturano è autore di numerosi libri sulla Russia

Facendo ricorso ad una straordinaria erudizione fondata sull’accurata analisi filologica dei testi e delle opere d’arte, Ananda Kentish Coomaraswamy (1877-1947), storico dell’arte indiana originario dello Sri Lanka, ci consente di toccare con mano, al di là della varietà delle forme tradizionali asiatiche ed europee, una essenziale unità eurasiatica. La sua opera sterminata è perciò, al tempo stesso, una denuncia del provincialismo eurocentrico ed un costante richiamo alla stretta parentela spirituale che collega tra loro la parte orientale e quella occidentale dell’Eurasia.

DOSSARIO: LA CERNIERA MEDITERRANEO-EURASIATICA

In questo articolo si evidenziano il valore ed il significato assegnati all’Asia Sudoccidentale dal pensiero geostrategico anglosassone. Lo si fa ricorrendo agli spazi dedicati alla regione nelle principali opere dei quattro maggiori geopolitici anglosassoni: Alfred Thayer Mahan (1840-1900), Halford John Mackinder (1861-1947), John Nicholas Spykman (1893-1943) e Zbigniew Brzezinski (1928).

Questo studio analizza le vicissitudini diplomatiche e politiche intercorse tra Egitto e Stati Uniti dalla Rivoluzione degli Ufficiali Liberi fino ai giorni nostri. L’Autore – docente universitario e politico del Partito Nazionale Democratico (PND) – ha espresso un punto di vista che poteva dirsi, a suo tempo, quello “ufficiale”, ossia governativo, dal momento che lo studio fu condotto e pubblicato prima della recente ondata “rivoluzionaria” e del rovesciamento del presidente Mubarak. L’Autore dimostra l’uso strumentale che Washington ha fatto dei suoi programmi d’aiuto, non solo per indirizzare la politica estera egiziana in senso filostatunitense, ma talvolta pure in senso filoisraeliano. Posto che ciò si trova in linea con la tradizionale “diplomazia del dollaro”, l’articolo offre uno spunto interessante se considerato proprio alla luce dei recenti sviluppi, dato che la linea di politica estera della nuova amministrazione del Cairo rivelerà qualcosa in più in merito alla natura del recente fenomeno rivoluzionario. È auspicabile un cambiamento della posizione egiziana verso linee più coerenti con l’andamento regionale, sulla scia dell’esempio turco.

Ormai giunto l’annuncio del disimpegno della missione statunitense in Iraq, un bilancio sui quasi otto anni di attività della “Coalizione dei Volonterosi” nel paese dei due fiumi s’impone. L’entità dei mezzi, delle persone e del denaro impiegati dagli Stati Uniti in Iraq solleva alcune considerazioni sull’importanza che il paese riveste per la strategia statunitense. Un’analisi delle ragioni alla base dell’invasione rivela come a sostegno della missione in Iraq stesse un piano di chiusura dell’Iran e di successiva espansione dell’unipolarismo statunitense all’intera area geografica che va dall’Europa all’Asia Centrale. E da qui, all’intero blocco eurasiatico. Il fallimento della missione in Iraq potrebbe sancire la fine definitiva del piano di imposizione dell’unipolarismo statunitense al mondo intero, proprio nel paese in cui tale progetto era cominciato. A meno che con l’Iran…

La Turchia ha mostrato negli anni recenti un attivismo, per certi versi inconsueto, nella propria politica estera, mantenendo lo sguardo rivolto tanto a Occidente quanto a Oriente. Questo nuovo atteggiamento ha coinciso con la vittoria elettorale dell’Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) nel 2002 e, soprattutto, con gli anni successivi all’avvio della procedura di ammissione nell’Unione Europea (2005). La Turchia ha intrapreso un importante processo riformistico. Per proseguire in questo percorso il ruolo dell’Unione Europea potrebbe essere fondamentale nello spronare la Turchia, fornendo il sostegno necessario a superare le resistenze interne che tuttora si oppongono ai cambiamenti nel paese. Tuttavia, anche tra i paesi dell’Unione sussistono resistenze all’idea di un ingresso del paese.

La crisi finanziaria internazionale ha avuto un impatto relativamente contenuto sui Paesi in via di sviluppo dell’area del Mediterraneo. Il presente lavoro ha l’obiettivo di dimostrare come proprio questa particolare reazione possa fare dell’Area del Mediterraneo un’area di difesa o uno scudo alla crisi finanziaria per i Paesi europei e, in particolare, per il Mezzogiorno d’Italia. Il testo si divide in due parti. Nella prima parte viene fatta un’analisi degli effetti della crisi finanziaria in relazione a due aspetti caratterizzanti quali l’andamento dell’occupazione e l’andamento delle rimesse dei migranti in patria. La seconda parte del lavoro approfondisce con maggiore attenzione la reazione dei Paesi dell’area alla crisi finanziaria.

In Afghanistan il fenomeno degli attacchi suicidi, nonostante lo stato di guerra più che trentennale, ha iniziato a manifestarsi in maniera preoccupante a partire dalla seconda metà del 2005. I gruppi di opposizione armata antigovernativi – nel testo indicati come Goa – hanno ormai adottato la tecnica suicida come parte della loro strategia, avendola appresa dai volontari stranieri giunti da altri teatri di guerra. È un fenomeno quantitativamente e qualitativamente in aumento in quanto tecnica vincente. E se l’impennata del numero degli attacchi condotti nel periodo 2005-2007 può spaventare, non deve illudere la stabilizzazione del triennio 2008-2010, caratterizzata dall’aumento del numero di attentatori impiegati per ogni singola azione. Questo studio si basa sul confronto tra dati primari raccolti dall’autore in Afghanistan messi a confronto con dati secondari provenienti da organi di sicurezza internazionali e altri enti di ricerca.

1. L’azzardo di Karzai. 2. Uno Stato per i Talebani? Profili internazionalistici della questione 3. Un negoziato coi Talebani? 3.1 Problemi concreti: dipendenza esterna e polivocità dell’interlocutore. 3.2 Questioni di diritto pubblico interno: Talebani e Stato di diritto 4. Postilla metodologica. 4.1 Stato di diritto e universalità. 4.2 Stato di diritto e dover/ voler essere.

Quanto verificatosi nel Caucaso, più specificamente in Ossezia del Sud e in Abcasia, ha suscitato il nostro interesse. Per avvicinarci alla complessa situazione areale siamo partiti dal rapporto redatto sull’argomento dall’Unione Europea (UE). Con questa analisi ci si propone di rispondere ad alcuni quesiti: perché l’UE si è interessata a questo conflitto e quali sono i reali interessi che risiedono in quest’area ed hanno portato a un conflitto armato.

Dotato di giganteschi giacimenti a cielo aperto, di grandi potenzialità ancora inespresse, il Kazakistan è più che mai al centro del Grande Gioco centroasiatico. In questo saggio si descrivono passato e presente di un Paese dai grandi spazi e dalle tante risorse. Le prospettive, malgrado le frenate degli ultimi due anni e le previsioni di un netto calo del sorprendente tasso di crescita fatto registrare tra la fine degli anni Novanta e il 2008, restano buone, ed il Kazakistan sembra avere tutti i requisiti per poter recitare un ruolo di vero protagonista nello scacchiere eurasiatico e nelle logiche più stringenti del grande progetto continentale, a partire essenzialmente dalla cooperazione energetica e strategica.

Le cause geopolitiche della creazione del Forum dei paesi esportatori di gas o, come viene definito dai mezzi di comunicazione, OPEC del gas, sono connesse al desiderio della Russia e degli altri paesi esportatori di gas, di elevare il loro status nella politica e nell’economia mondiale. Eppure il funzionamento dell’OPEC del gas è vantaggioso sia per la Russia sia per l’UE e in particolare per l’Italia. Quest’organizzazione sarà capace di soddisfare regolarmente tutte le necessità dei paesi e delle regioni UE, che hanno bisogno di questo bene energetico.

Diversi fattori concorrono a formare la cultura o le culture politiche in Ucraina: l’identità, l’appartenenza etnica, la regione, la tendenza riformatrice, condizioni socioeconomiche, la lingua, la “questione russa”, ecc. Tali fattori agiscono correlati o anche in maniera indipendente. Alcuni esercitano una maggiore influenza in determinate regioni, altri in altre. Tutti quanti però contribuiscono a produrre un medesimo risultato: la regionalizzazione delle attitudini politiche e, più in generale, la dicotomizzazione della società ucraina tra l’est e l’ovest. La classe politica non solo è incapace di evitare l’esasperazione di questa dicotomia favorendo un confronto costruttivo, ma le rappresenta in maniera interessata e distorta.

Il termine sviluppo, oltre a poter essere inteso come un termine “neutrale”, è diventato nel sistema politico, economico e sociale internazionale un vero e proprio concetto, un’ideologia, propria delle odierne organizzazioni globali, per larga parte controllate oggi dagli Stati Uniti. In primis l’Onu, ma anche le altre agenzie quali la Banca Mondiale, Il Fondo Monetario Internazionale, l’Undp e via dicendo fanno riferimento a questo concetto di difficile comprensione, irto di contraddizioni, ma che può essere inteso meglio se guardato da lontano, sin dalle sue origini. Per porre brevemente le basi di tale concetto, il presente saggio sottolinea come dalle origini del sistema internazionale moderno, dall’epoca del colonialismo alla costituzione della Società delle Nazioni, si sia evoluta un’ideologia giunta fino ai nostri giorni, egemonizzata dalle potenze e dal pensiero cosmopolita.

CONTINENTI

Il saggio è stato originariamente presentato durante l’insegnamento di Geopolitica del XXI secolo relativo al corso di laurea specialistica (Maestría) in Geografia, all’Universidad de Costa Rica, nel febbraio 2009. Malgrado risalga ad oltre due anni fa, come risulta evidente dagli esempi proposti al suo interno, il saggio del prof. Cutrona rimane pienamente attuale nelle sue tesi e conclusioni, che possono essere riassunte, riprendendo il “Resumen” originale, come segue: «Nel quadro del postmodernismo, le principali basi teoriche della Geopolitica tradizionale cominciarono ad essere messe fortemente in dubbio da una nuova corrente di ricercatori identificati nella Scuola critica della disciplina. Eppure, le diverse ombre nei rapporti tra Russia e Stati Uniti d’America sembrano riconfermare le premesse fondamentali della Geopolitica tradizionale: l’Heartland di Halford Mackinder, il contenimento e le sfere d’influenza di George Kennan». Il “reset” nelle relazioni russo-statunitensi, registratosi nel 2010, si può interpretare come una fase di distensione contingente e temporanea, non molto diversa da quella che avvenne nel 2001-2002. A nostro giudizio, il discorso sulla dialettica USA-Russia imbastito da Cutrona non risulta invalidato dagli eventi successivi. Inoltre, in esso si possono ravvisare spunti di riflessione molto interessanti ed attuali, come quello sulla logica della “influenza incrociata” nella costruzione delle rispettive sfere d’influenza.

Il generale Perón ha svelato una verità largamente nascosta: il fatto che l’Argentina è passata dalla dipendenza ufficiale dalla Spagna alla dipendenza ufficiosa dalla Gran Bretagna. La dolorosa verità, la verità nascosta, è che l’Argentina ha cambiato il collare ma non ha smesso d’essere cane. Si è passati dal collare visibile spagnolo al collare invisibile inglese. Si sono avuti bandiera, inno e esercito ma, l’Inghilterra l’ha incatenata ai suoi piedi con il prestito Baring Brothers e la sottile colonizzazione culturale. Dopo l’indipendenza l’Argentina è diventata una colonia ufficiosa dell’impero britannico.

Quella che possiamo indicare come la fase postatlantica costituisce il torno temporale del passaggio dall’epoca bipolare e dalla tentazione unipolare ad un riassetto multipolare in via di definizione. Per forza di cose, nello stesso tempo costituisce una graduale decomposizione della struttura sistemica a matrice americana. In questo incerta transizione, tra le diverse carte giocabili, quella di un rinnovato controllo dei mercati dell’area asiatica – come dimostrano gli eventi – rimane per Washington prioritaria. La globalizzazione non sfugge alla geopolitica.

Tutti i processi globali, politici, economici e sociali, sono stati ampiamente determinati dal livello di conoscenza scientifica e del potenziale tecnologico in uno specifico momento storico. Le analisi e le previsioni di cambiamenti dell’ambiente di vita e dell’uomo stesso, come le valutazioni di vittoria o sconfitta in ambito militare o economico, non sono possibili da fare senza considerare il fattore tecnologico. Oggi, il genere umano è entrato in una nuova fase del suo sviluppo, caratterizzata dall’apparente incapacità di realizzare l’impatto delle applicazioni tecnologiche globali e di evitare le minacce causate dall’espansione tecnologica.

Concetti come quelli di civiltà, progresso, democrazia, diritti umani, economia di mercato, sicurezza ecc., costruiti per definire un mondo ormai al tramonto, stanno esaurendo il loro potenziale descrittivo e sono sempre meno in grado di costituire criteri di valutazione globale. La transizione verso una società globale impone analisi geopolitiche ampie, che sappiano studiare le particolarità culturali, linguistiche e religiose. D’altra parte, le manifestazioni di unificazione cumulate con quelle separatiste o pan-nazionaliste genereranno nuove fonti di conflitto e nuove provocazioni sul piano geopolitico. Nel clima internazionale che si va prefigurando, si impone l’avvio di un dialogo geopolitico, in cui le strategie bellicose siano sostituite da strategie di promozione della pace e di disponibilità al dialogo tra civiltà. La geopolitica può adempiere ad una funzione unica, trasformando le teorie del secolo XX in teorie di promozione della pace e del dialogo tra culture, religioni e civiltà.

L’attuale classe dirigente mondiale proviene dalle esperienze della “new economy” e dalla “nuova politica”, condizionando le prospettive del mondo. Non si tratterà solo di produrre e consumare in modo più efficiente, ma anche di cambiare tutto il meccanismo di vari indici, fra quelli anche i dominus – il PIL e il tasso d’interesse. La stessa società dovrà mutare visto che qualcosa dovrà sostituire il consumo nella scala sociale. Con il cambiamento dei valori cambierà anche l’arte, dovendo forgiare i nuovi tipi di eroi.

INTERVISTE

Muratbek S. Imanaliev Imanaliev è segretario generale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai

Jakhongir Ganiev è ambasciatore dell’Uzbekistan a Roma

Alfredo Mantica è sottosegretario per gli Affari esteri

Falco Accame è presidente dell’ANA-VAVAF

Roberto Pace è presidente della Camera di Commercio e Industria Italo-Moldava di Chisinau.

Costanzo Preve è un filosofo e saggista italiano

DOCUMENTI E RECENSIONI

Massimo Borgogni, La nascita della potenza navale americana (1873-1909), Nuova Immagine, 2005 (Alessandro Lattanzio)

Aldo Giannuli, Come funzionano i servizi segreti, Ponte alle Grazie, 2009 (Luca Rossi)

Ennio Remondino, Nulla di vero sul fronte occidentale, Rubbettino, 2009 (Augusto Marsigliante)

The World of the Khazars. New Perspectives (edited by Peter B. Golden), Brill, 2007 (Martin Schwarz)

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