Dal momento in cui sono cominciate a scoppiare le rivolte nei Paesi del Sud del Mediterraneo, l’Italia ha iniziato a paventare e a richiamare l’attenzione su quella che sarebbe potuta diventare un’invasione del continente europeo da parte di tutte quelle persone che fuggivano dai loro Paesi in crisi.

Le rivolte in Tunisia ed Egitto hanno dato il via a questa nuova ondata migratoria che attraversa le due sponde del Mediterraneo e l’isola di Lampedusa si é trovata protagonista degli effetti del cambiamento politico di questi Paesi. Il governo italiano si é subito mostrato preoccupato e ha sollevato più volte la questione davanti all’Unione Europea. Per il ministro degli Interni, l’Italia non poteva essere lasciata sola ad affrontare questa situazione e l’Europa si sarebbe dovuta mostrare unita e pronta a condividere quello che era visto come un problema. L’Unione Europea però non era disposta a cedere alle pressioni del governo italiano, perché considerate ingiustificate. La minaccia di un’invasione non era reale e l’Europa riteneva che l’Italia fosse in grado di gestire il flusso di migranti in arrivo dall’Africa mediterranea e che potesse riuscire a risolvere la situazione da sola senza l’aiuto di altri Stati, come per esempio la Germania che in altre situazioni simili, era stata ignorata dalla stessa Italia. Ciò che ha chiesto il governo italiano é stata la cosiddetta « condivisione del fardello » per far sì che i migranti in arrivo fossero distribuiti in tutti i Paesi europei. Stime valutano che l’Italia é in grado di far fronte da sola all’arrivo di circa 5600 individui . L’Unione Europea ha ignorato questo tipo di richieste italiane e si é limitata a mandare a Lampedusa gli esperti del programma Frontex per monitorare e studiare la situazione.

Il nocciolo della questione sul flusso migratorio si é fatto più ampio dal momento in cui alle rivolte tunisine ed egiziane si è sommata la guerra nel vicino Stato della Libia, il cui capo Gheddafi era legato da un’amicizia con il presidente del governo italiano e che godeva di un’importanza regionale dal punto di vista politico e soprattutto economico, testimoniata da rapporti decennali con le istituzioni italiane e non solo.

Dalla descrizione di questo quadro, quello che può apparire da un punto di vista di superficie é la classica situazione politica di crisi che aumenta la mobilità internazionale da Paesi problematici a Paesi stabili.

Il Mediterraneo é sempre stato nella storia una regione in cui gli scambi di popolazioni e culture la facevano da protagonisti. Negli ultimi vent’anni, i Paesi dell’Europa mediterranea si sono trasformati da Paesi di emigranti a Paesi di accoglienza o di passaggio di immigrati. Per questa ragione il Mediterraneo é diventato ancora di più il luogo di scambi tra la riva nord e la riva sud e i Paesi come Italia, Spagna, Malta e Grecia sono diventate le porte dell’Europa.

In questo momento quindi, ciò che viene da pensare é che con i Paesi dell’Africa settentrionale in crisi, le popolazioni in fuga si rivolgano maggiormente all’Europa e che crisi politica nell’Africa mediterranea sia sinonimo di instabilità e di aumento dei migranti nell’Europa meridionale. Tutto questo però é fuorviante. La crisi libica, che da rivolta contro Gheddafi si é ora trasformata in una vera e propria guerra internazionale, se da una parte ha aumentato la possibilità di un incremento del numero di persone che richiedono asilo, dall’altra questo aumento non avrà risvolti ed effetti solo in Europa, ma soprattutto negli altri Paesi della regione, quali Tunisia ed Egitto. Questi ultimi infatti, saranno tra i Paesi che si ritroveranno, e già si stanno ritrovando, ad affrontare questo fenomeno e a venire incontro alle migliaia di persone che si stanno riportando ai loro confini.

Per dare un’idea dell’ampiezza della questione, si possono riportare delle cifre a riguardo, che sono state elaborate dall’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (UNHCR) nei primi giorni del mese di marzo, quando ancora quindi la vera e propria guerra non era del tutto esplosa. L’UNHCR riferisce che ammonta a 212 mila il numero di persone evacuate dalla Libia, di cui 122169 sono fuggite in Tunisia e tra questi troviamo 19000 tunisini e 45000 egiziani e di cui 98188 si sono rifugiate in Egitto e tra questi il numero di egiziani ammonta a 68000. Anche il Niger si é visto protagonista di questo flusso, con un numero 2025 di migranti, di cui 1800 provenienti dallo stesso Niger. Non manca neanche l’Algeria con i suoi circa 4000 migranti arrivati via mare, via terra e via aria non solo dalla Libia ma anche da Egitto e Tunisia. Ora queste cifre sono cresciute, superando la quota di totale di 300000.

Questi numeri fanno dunque pensare e fanno capire che non sarà solo l’Europa a dovere gestire e farsi carico dei problemi delle persone che scappano dalla Libia, ma che gli stessi Paesi dell’Africa settentrionale, seppur con i loro problemi di stabilità politica, subiranno maggiormente gli effetti di quest’ondata. Inoltre, in questo momento le comunità locali tunisine stanno portando aiuti e stanno accogliendo i migranti e i rifugiati che arrivano ai loro confini. Hanno quindi accolto l’invito presentato a tutti gli Stati dall’Alto Commissario per i Rifugiati António Guterres ad aprire le proprie frontiere per aiutare le persone in fuga.

Per capire il perché di questo flusso migratorio dalla Libia agli altri Stati della regione, é necessario analizzare il quadro della situazione libica prima che scoppiasse la rivolta contro Gheddafi. La Libia infatti é sempre stata vista e considerata soprattutto dall’Italia come territorio di transito per i migranti. Il governo italiano aveva fatto della ritrovata amicizia con la Libia e con Gheddafi uno dei suoi punti di forza, portatosi alla conclusione con la firma del Trattato d’amicizia nel non lontano 2009. Dietro c’erano in gioco interessi economici e strategici : l’Italia, Paese privo di risorse energetiche poteva attingere da quelle libiche, territorio che ne possedeva un numero rilevante, tanto da essere lo Stato africano grazie a questo, più ricco a livello pro-capite (ma anche rispetto allo Human Development Index, che oltre al Pil valuta speranza di vita e alfabetizzazione). L’Italia inoltre poteva impiantare le infrastrutture e stimolare la sua economia nel territorio libico. Dall’altra parte Gheddafi, che si era definito nemico di Bin-Laden e quindi come una sorta di alleato per i Paesi occidentali, tanto da non essere più considerato uno Stato canaglia dagli Stati Uniti, dava il suo aiuto all’Italia nella lotta contro l’immigrazione clandestina. Questa collaborazione tra Italia e Libia ha prodotto anche polemiche come il caso della spedizione avvenuta nel luglio del 2009 di immigranti eritrei che dal Paese libico cercavano di arrivare in territorio italiano.

La Libia però non é solo un Paese di passaggio come si vuol far credere : la Libia é un Paese di immigrati e i numeri dell’UNHCR ne sono una prova. Ci si trova davanti ad un territorio immenso con una popolazione locale di circa sei milioni di abitanti e con una ricchezza di fonti energetiche, quali gas e petrolio, che non possono fare quindi a meno del supporto della manodopera di lavoratori immigrati. La Libia non deve essere vista come un Paese utile per frenare l’immigrazione tra l’Africa subshariana e l’Europa, in quanto essa stessa era il punto d’arrivo per molte persone provenienti dall’Africa subsahariana, dal Corno d’Africa e dagli altri Paesi mediterranei. Le ondate migratorie oscillavano a secondo degli umori e dei rapporti diplomatici di Gheddafi con gli altri Stati . Quando i legami con la Lega Araba erano buoni, il flusso dei lavoratori migranti proveniva da Paesi come la Tunisia e l’Egitto, in caso contrario apriva le porte a quelli provenienti dall’Africa subsahariana. Per tale ragione, la Libia era ormai diventata il Paese in cui tunisini, egiziani, sudanesi e non solo, vivevano e lavoravano. Si stima che il numero di lavoratori migranti in Libia ammontasse a circa un milione e mezzo o due milioni, la maggior parte impiegati nelle infrastrutture, nel petrolio e nel gas.

In seguito allo scoppio della rivolta e ora della guerra, tutte queste persone stanno cercando una via di fuga. I tunisini e gli egiziani in particolar modo stanno cercando di tornare nei loro Paesi d’origine. I maggiori problemi li stanno riscontrando peró le persone originarie del Corno d’Africa e dell’Africa subsahariana. Ora queste popolazioni si ritrovano in una situazione ambigua, in quanto vengono scambiati dai sostenitori della rivolta come i mercenari ingaggiati da Gheddafi, e quindi perseguitati dai ribelli e subiscono allo stesso tempo controlli dalle truppe lealiste. Melissa Fleming, portavoce dell’Alto Commissario Onu per i Rifugiati chiede che i 3000 richiedenti asilo registrati all’UNHCR provenienti da Sudan, Eritrea, Somalia, Ciad, Iraq e Territori palestinesi non vengano abbandonati e vengano accolti dagli altri Paesi.

La situazione per gli eritrei é delicata, poiché avendo chiesto diritto d’asilo ed essendo fuggiti dal loro Paese, in questo momento si ritrovano senza uno Stato d’origine a cui chiedere aiuto. Una cinquantina di loro é riuscita a mettersi in salvo e ad arrivare in Italia.

La situazione quindi é quella di un Paese in guerra in cui le persone tentano la fuga. Secondo le stime dell’UNHCR servirebbero circa una cinquantina di voli per portar in salvo i richiedenti asilo. A questi si devono sommare i libici in fuga, ma per quanto riguarda questi ultimi si potrebbe trattare di migrazioni interne. Ad ogni modo, le paure italiane ed anche europee non sono reali, in quanto ipotizzare che tutti i 2 milioni di immigrati che vivevano in Libia possano guardare all’Europa non appare possibile. Gli immigrati possono essere visti come una « crisi nella crisi » così come afferma Laura Boldrini, la portavoce dell’Italia per l’UNHCR, ma nei Paesi europei si sta facendo troppo allarmismo e si sta creando un’inutile paura ai danni dell’opinione pubblica. Inoltre, per quanto riguarda l’Italia si tratta di un vero e proprio « marketing politico » così come é stato definito dall’esperto di migrazioni e membro del FIERI di Torino, Ferruccio Pastore. L’allarme infatti é stato posto sia sull’emergenza immigrati che sul terrorismo e il settore energetico e la Libia é passata dalla status di amico a quella di Paese contro cui combattere, tutte questioni e ribaltamenti di fronte che porteranno l’Italia ad avere in futuro dei problemi. L’Italia era inoltre esportatore di armi in Libia, quelle stesse usate da Gheddafi contro i rivoltosi, che ora l’Italia si ritrova ad appoggiare (ma questa contraddizione non investe solo l’Italia: la Francia distrugge oggi con i suoi Mirage gli stessi Mirage venduti precedentemente alla Libia e che probabilmente successivamente venderà di nuovo, oppure si potrebbe citare la Gran Bretagna grande rifornitrice di armi nell’area).

Quella che a febbraio sembrava iniziata come una rivolta tribale interna si é trasformata ora in una vera e propria guerra internazionale, in cui le potenze occidentali (ma tra queste non la Germania) si ritrovano ad intervenire negli affari interni di un Paese i cui interessi in gioco appaiono troppo appetitosi per poter rimanere in disparte. Gli Stati Uniti non sono mai stati alleati di Gheddafi e con la perdita di un alleato come Mubarak in Egitto (anche se l’esercito che continua a governare è finanziato dagli Usa) ora devono riuscire a trovare un nuovo alleato nella regione. La Francia si é sempre mostrata a favore di un intervento in quanto a causa dei buoni rapporti con l’amministrazione di Ben Ali in Tunisia, non aveva accolto di buon occhio la rivoluzione in questo Paese e ora vuol dare il suo sostegno nella lotta contro Gheddafi, anche per accaparrarsi le risorse energetiche in questo modo strappate proprio all’Italia. La Cina (e in parte la Russia) al contrario fa della politica della non ingerenza il suo punto di forza e preferisce astenersi e farsi portavoce dei Paesi emergenti. La situazione, anche dal punto di vista delle migrazioni, è di certo drammatica e molto fluida.

Carla Francesca Salis è dottoressa in Scienze Politiche (Università di Cagliari)


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