Se fin dai tempi dell’Impero romano la Tripolitania e la Cirenaica erano entrate nella sfera d’influenza italica, sarà la colonizzazione sabauda del 1911 ad avviare un complesso e altalenante rapporto fra l’Italia e la Libia.

Questo secolo di relazioni fra le due sponde del Mediterraneo è proprio l’oggetto del libro di Fabrizio Di Ernesto Petrolio, cammelli e finanza.

Cent’anni di storia e affari tra Italia e Libia uscito recentemente per i tipi di Fuoco Edizioni e presentato a Trieste l’11 dicembre scorso dall’autore stesso nell’ambito di un Seminario di Eurasia del ciclo 2010/2011 organizzato dall’associazione culturale Strade d’Europa in collaborazione con l’Istituto di Alti Studi di Geopolitica e Scienze Ausiliarie.

Di Ernesto, giornalista professionista, collaboratore già di Rinascita. Quotidiano di Sinistra Nazionale ed attualmente di Eurasia. Rivista di studi geopolitici, di Alpes e dell’Agenzia Stampa Italia, ha iniziato la presentazione dell’opera spiegando come sia stata la Gran Bretagna a spingere i Savoia ad imbarcarsi nell’avventura libica, assestando così un altro colpo alla traballante struttura dell’Impero Ottomano.

La conquista per quanto riguarda soprattutto l’entroterra sahariano si completò solamente in epoca fascista, periodo in cui le ricerche di Ardito Desio dettero i primi riscontri in merito alle ricchezze del sottosuolo di quello che era stato sprezzantemente definito “scatolone di sabbia”. Sarà però soltanto nel secondo dopoguerra che, in virtù dell’opera di Mattei e dell’ENI (grazie soprattutto alla percentuale del 75% dei guadagni che il colosso italiano riconosceva ai Paesi partner, ben più gratificante del 50% delle Sette Sorelle), queste ricchezze sarebbero state sfruttate dall’Italia.

I traffici di petrolio e gas naturale verso la penisola non subirono sostanziali variazioni neppure dopo il colpo di stato che porto al potere Gheddafi e nemmeno in seguito all’espulsione della comunità italiana dal territorio libico, anzi, sul finire degli anni Settanta sarebbero stati capitali provenienti da Tripoli ad affluire in Italia, in particolare in soccorso di una FIAT in piena crisi. Nel decennio successivo furono gli Stati Uniti a sostenere la casa automobilistica torinese affinché riacquistasse le azioni possedute dagli investitori libici: ciononostante fra Tripoli e Roma i rapporti basati sul rifornimento di materie primi erano tutt’altro che in difficoltà, tanto è vero che si era concretizzato il gasdotto Greenstream, proveniente dai campi di gas naturale della Libia occidentale e diretto in Sicilia.

Il problema delle riparazioni dovute dall’Italia allo Stato africano per risarcire i crimini compiuti durante la dominazione coloniale sarebbe stato definitivamente risolto dal Tratatto di Bengasi del 2008, il quale prevedeva sì investimenti miliardari da parte dell’Italia (in particolare una modernissima autostrada costiera che congiungesse il confine libico con la Tunisia a quello con l’Egitto), ma sarebbero state coinvolte soprattutto imprese italiane ed inoltre venivano fissati prezzi migliori per l’approvvigionamento del gas. Oggi la Libia non è soltanto un partner energetico di primo livello per il nostro Paese, è anche chiamata in causa per frenare il flusso migratorio che dall’Africa attraverso il Sahara giunge al litorale libico e da lì salpa verso la Sicilia sulle tragicamente note carrette del mare: risale all’estate scorsa la clamorosa richiesta di Gheddafi all’Unione Europea di un contributo annuo di 5 milioni di Euro per portare avanti il suo impegno contro l’immigrazione clandestina. L’Italia dal canto suo ha già fornito alla flotta libica imbarcazioni della Guardia di Finanza con cui effettuare il pattugliamento marittimo con equipaggio misto italo-libico a bordo: paradossalmente è proprio da una di queste imbarcazioni che pochi mesi fa si aprì il fuoco contro un peschereccio siciliano durante una ricognizione.

Oggi comunque attraverso la finanziaria di Stato LAFICO Gheddafi, personaggio a tratti folcloristico ma con uno spiccato senso per gli affari, è più attivo che mai sul mercato finanziario italiano: sta accumulando partecipazioni sempre più consistenti nel capitale azionario di Unicredit, sta pesantemente rientrando in FIAT (dopo l’uscita in seguito al bombardamento di Lampedusa) ed ora punta anche a quote del capitale sociale della Juventus.

L’episodio su cui si è quindi concentrata l’attenzione dell’autore, è stato l’abbattimento del DC-9 Itavia nei cieli di Ustica: Gheddafi ha sempre considerato gli statunitensi responsabili dell’attacco all’aereo civile, su cui pensavano fosse imbarcato proprio lui; Francesco Cossiga in una delle sue ultime interviste parlò di responsabilità francesi; una serie di morti sospette ha colpito i principali testimoni della vicenda…

Di fatto all’epoca l’Italia chiudeva un occhio sul via vai di Mig libici che volavano in Jugoslavia per effettuare la manutenzione piuttosto che per recuperare pezzi di ricambio, laddove altrettanta indulgenza non sarebbe stata manifestata dalle potenze atlantiche, sicché il DC-9 si sarebbe trovato proprio nel mezzo di una battaglia aerea, la quale avrebbe coinvolto pure il Mig libico trovato di lì a poco schiantato sulla Sila.

Altra pagina controversa, che Di Ernesto ha analizzato, riguarda il bombardamento di Lampedusa del 15 aprile 1986: l’obiettivo era in effetti la base radar americana dislocata sull’isola e da cui sarebbe stato diretto il bombardamento americano che poco prima aveva colpito la Libia. In tale circostanza Gheddafi si era salvato perché avvisato da Giulio Andreotti e Bettino Craxi dell’imminente azione militare, che avrebbe colpito in pieno il palazzo presidenziale, ove sarebbe morta fra gli altri la sua figlia adottiva.

Partendo da questa circostanza, Di Ernesto ha aperto una parentesi dedicata alle decine di strutture militari che la potenza atlantica ha a sua disposizione sul territorio italiano e che sono state oggetto di studio in Portaerei Italia. Sessant’anni di NATO nel nostro Paese, saggio pubblicato nel 2010 sempre per Fuoco Edizioni.

Nel corso dell’intenso dibattito l’autore ha, infine, delineato come la Libia abbia cercato di porsi alla guida del continente africano e come suo portavoce nei consessi internazionali, ove è però spesso additata al pubblico ludibrio in materia di diritti umani, mentre nel vicino Egitto la sostanziale presidenza a vita di Hosni Mubarak, ben più accondiscendente nei confronti dei desiderata statunitensi e sionisti, è accettata e mai messa in discussione nonostante i pochi spazi di manovra riconosciuti alle opposizioni del “faraone”. In proiezione futura, Di Ernesto prevede un tranquillo passaggio di poteri al momento dell’uscita di scena di Gheddafi, cui è probabile che succeda il figlio Seif al-Islam, sicché non ci dovrebbero essere spazi di manovra per rivoluzioni colorate o interferenze destabilizzante di provenienza atlantista.

I rapporti italo-libici sembrano comunque avviati verso sempre migliori sviluppi, a prescindere da chi governa a Roma e a Tripoli, il ché in proiezione avrà sicuramente risvolti positivi nel consolidarsi delle relazioni pacifiche e della collaborazione fra le sponde settentrionali e meridionali del mar Mediterraneo.


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