Introduzione: un riarmo che ridisegna lo scenario
Nel giugno 2025 il Vicino Oriente ha assistito a un evento senza precedenti: lo scoppio della prima guerra diretta tra Israele e Iran, passata alla cronaca come la “guerra dei dodici giorni”. Dopo oltre quarant’anni di tensioni espresse principalmente attraverso guerre per procura, operazioni coperte e sabotaggi reciproci, i due avversari regionali hanno oltrepassato la soglia simbolica dello scontro simmetrico, colpendosi frontalmente e con mezzi convenzionali.
Tutto è cominciato con l’operazione israeliana “Rising Lion”, lanciata nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 contro infrastrutture nucleari e basi militari iraniane, tra cui Natanz, Fordow, Shahriar, Isfahan e Teheran stessa. L’attacco ha provocato decine di vittime tra scienziati, ufficiali della Guardia Rivoluzionaria e alti dirigenti del programma missilistico iraniano, tra cui il generale Mohammad Bagheri e il comandante Hossein Salami. Israele ha impiegato oltre 200 risorse, tra F-35, droni e missili da crociera, in un’operazione coordinata con lo spionaggio americano.
La risposta iraniana non si è fatta attendere: in meno di 48 ore, una pioggia di oltre 300 missili balistici e droni ha colpito il territorio israeliano, raggiungendo obiettivi simbolici e strategici nel cuore di Tel Aviv, tra cui il comando centrale della Kirya. L’invulnerabilità di Israele, costruita su decenni di superiorità tecnologica e dottrinale, è stata infranta. L’Iron Dome ha intercettato molti dei vettori in arrivo, ma non tutti: la vulnerabilità è diventata una variabile reale e permanente, con conseguenze sulla percezione pubblica, sulla postura militare e sulla credibilità deterrente dello Stato ebraico.
A questo punto, gli Stati Uniti sono intervenuti direttamente nel conflitto. Il 22 giugno 2025, l’amministrazione Trump ha ordinato una massiccia operazione militare contro obiettivi strategici iraniani, colpendo con bombardieri stealth B-2 e missili Cruise lanciati da sottomarini i siti di Fordow, Isfahan e Natanz, già bersaglio dell’azione israeliana. L’operazione, definita “Midnight Hammer” dalla stampa americana, ha incluso l’impiego di bombe bunker-buster da 30.000 libbre e ha segnato la prima offensiva aerea statunitense su larga scala contro l’Iran dalla Rivoluzione del 1979.
Il giorno seguente, dopo il lancio di un missile iraniano contro una base statunitense in Qatar (senza vittime), Trump ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale, attivo dal 24 giugno. Secondo fonti internazionali, il cessate il fuoco è stato raggiunto grazie a un intervento diretto di Trump su Netanyahu, accompagnato da pressioni diplomatiche congiunte da parte del Qatar, dell’Oman e di mediazioni indirette russe.
Questo intervento ha ridefinito l’intero equilibrio strategico regionale: ha confermato l’alleanza operativa tra Washington e Tel Aviv, ha rafforzato la proiezione di forza americana nella regione e ha accelerato le reazioni del blocco avversario.
La guerra dei dodici giorni ha così cambiato lo scenario strategico della regione. Ha dimostrato che l’Iran è in grado di colpire direttamente Israele, e che Israele non è più in grado di neutralizzare completamente un’offensiva missilistica su vasta scala. La simmetria bellica è diventata reale, costringendo entrambi i paesi a rivedere i propri paradigmi difensivi e offensivi.
È in questo contesto trasformato che si inserisce una notizia destinata ad avere un impatto strutturale sugli equilibri regionali: l’Iran ha ricevuto il sistema russo S-400 Triumf e ha già condotto i primi esami operativi nei pressi di Isfahan, uno dei luoghi simbolo della recente offensiva israeliana[1]. Parallelamente, la Cina è pronta a fornire a Teheran decine di caccia multiruolo J-10C, già impiegati in ambito operativo dal Pakistan e compatibili con dottrine aeronautiche regionali.[2]
Questi sviluppi non vanno letti come semplici aggiornamenti tecnici. Essi costituiscono la risposta sistemica dell’Iran a una guerra che ne ha messo a nudo i limiti difensivi. Con l’S-400, Teheran ottiene una capacità credibile di negazione dello spazio aereo; con i J-10C, ricostruisce una forza aerea moderna e interoperabile. Ma, soprattutto, con la triangolazione Mosca–Teheran–Pechino, l’Iran abbandona definitivamente la dipendenza da arsenali obsoleti occidentali e si inserisce in una nuova architettura strategica eurasiatica, in grado di garantirgli sopravvivenza, deterrenza e influenza.
Il presente saggio si propone di analizzare questo passaggio. Non solo in termini tecnici, ma come evento geopolitico strutturale, capace di ridisegnare le logiche della guerra e della pace nel Vicino Oriente.
L’S-400 come leva di dissuasione multilivello
Il sistema missilistico S-400 Triumf, sviluppato dall’azienda russa Almaz-Antey, è considerato una delle piattaforme di difesa aerea più avanzate al mondo. Progettato per sostituire l’S-300 e contrastare le minacce moderne su più livelli, l’S-400 offre capacità di ingaggio simultaneo fino a 80 bersagli e può utilizzare fino a quattro diversi tipi di missili, coprendo distanze di 40, 120, 250 e 400 chilometri, con una quota operativa che può superare i 30 chilometri.
La struttura modulare del sistema consente di integrarlo con radar AESA (Active Electronically Scanned Array), stazioni di comando digitali e lanciatori mobili, rendendolo altamente flessibile e adattabile a scenari operativi differenti. Può tracciare ed eliminare caccia stealth, missili balistici tattici, droni, elicotteri da attacco e persino ordigni cruise volanti a bassissima quota. Il sistema è inoltre dotato di contromisure elettroniche integrate, aumentando la sua resistenza alle operazioni di disturbo radar e guerra elettronica.
Con il dispiegamento dell’S-400, l’Iran introduce una nuova architettura di difesa aerea multilivello, strutturata per proteggere infrastrutture critiche come centrali nucleari (Natanz, Fordow), basi missilistiche (Khorramabad, Bandar Abbas), e comandi militari sensibili. In termini dottrinali, questa mossa consolida la capacità iraniana di interdizione dell’area (A2/AD), riducendo lo spazio operativo a disposizione dell’aviazione nemica e alzando notevolmente il costo politico, militare e diplomatico di un’eventuale offensiva israeliana o statunitense.
A livello tecnico, l’S-400 è in grado di ingaggiare missili balistici in fase terminale, il che rappresenta una sfida concreta per dottrine offensive basate su saturazione missilistica o attacchi stealth condotti da piattaforme come l’F-35I Adir israeliano. Sebbene alcuni analisti occidentali mettano in dubbio l’efficacia dell’S-400 contro aerei di quinta generazione, citando il fallimento del sistema siriano contro attacchi israeliani precedenti, va sottolineato che l’Iran avrà probabilmente accesso a versioni potenziate, integrate con sensoristica russa di ultima generazione e collegate a reti radar cinesi e iraniane.
Inoltre, l’Iran potrebbe impiegare l’S-400 non solo per la difesa statica, ma come strumento di deterrenza mobile, montandolo su mezzi ruotati e mascherandone la posizione tramite tecnologie di camuffamento e manovra. Questo renderebbe difficile per Israele e Stati Uniti localizzare e neutralizzare le batterie prima di un attacco.
Il valore deterrente dell’S-400 va compreso anche alla luce della comparazione con i sistemi occidentali. Mentre gli Stati Uniti e i loro alleati regionali si affidano principalmente al sistema Patriot PAC-3, capace di intercettare missili a medio raggio, l’S-400 offre una copertura più estesa e una maggiore versatilità rispetto alle piattaforme convenzionali occidentali. In particolare, l’S-400 può costituire una minaccia reale per gli aerei radar (AWACS), tanker e assetti da ricognizione, fondamentali per ogni campagna aerea.
Dal punto di vista politico-militare, la presenza dell’S-400 sul territorio iraniano modifica la postura strategica delle forze israeliane e americane, costringendole a rivedere piani di attacco, corridoi aerei e tempistiche d’ingaggio. La deterrenza non è solo una funzione del fuoco disponibile, ma della percezione del rischio che esso comporta. L’S-400, in tal senso, rappresenta una “difesa politica mascherata da scudo tecnologico”, poiché trasforma ogni scenario di conflitto in un rischio diplomatico globale.
In sintesi, il sistema S-400, se efficacemente integrato con la rete radar iraniana e impiegato in sinergia con mezzi mobili e copertura aerea, rappresenta per l’Iran un salto qualitativo nella difesa e una leva strategica per negoziare da una posizione di forza, anche in assenza di superiorità offensiva convenzionale.
Il J-10C e l’ibridazione del potere aereo regionale
A rafforzare ulteriormente il quadro difensivo e la postura strategica dell’Iran contribuisce l’intenzione di acquisire un numero significativo di J-10C Vigorous Dragon, caccia multiruolo di quarta generazione avanzata sviluppati dalla cinese Chengdu Aerospace Corporation. Questi velivoli sono dotati di radar AESA, capacità di guerra elettronica avanzata, sistema di volo fly-by-wire digitale e una suite di armamenti che include il missile PL-15 a lungo raggio, con capacità BVR (Beyond Visual Range) fino a 200 km, ritenuto competitivo rispetto ai più avanzati missili occidentali come l’AIM-120D o il Meteor europeo.
L’ingresso del J-10C nella flotta iraniana segnerebbe un salto generazionale significativo per una forza aerea che, fino ad oggi, si è basata su piattaforme risalenti agli anni ’70, come l’F-4 Phantom II, il leggendario ma obsoleto F-14 Tomcat e il leggero F-5 Tiger II, spesso mantenuti operativi grazie a ingegneria inversa e a una rete interna di manutenzione e riadattamento. Con il J-10C, l’Iran accede finalmente a una piattaforma non solo moderna, ma interoperabile con quella di un altro attore regionale strategico: il Pakistan, che impiega lo stesso modello su scala operativa da diversi anni.
Questo elemento introduce un potenziale di ibridazione operativa: interoperabilità, addestramento congiunto, assistenza tecnica condivisa, scambio di componenti e dottrine. L’asse Teheran–Islamabad, mediato da Pechino, potrebbe così configurarsi come una nuova architettura di sicurezza indo-asiatica, alternativa al sistema di alleanze costruito dagli Stati Uniti attorno a Israele e alle monarchie del Golfo. In questo scenario, la Cina si posiziona non più solo come partner economico o energetico, ma come fornitore strategico di capacità militari complesse, in grado di plasmare gli equilibri regionali attraverso forniture selettive, trasferimento tecnologico e diplomazia di difesa.
Dal punto di vista operativo, il J-10C non garantisce all’Iran una superiorità aerea diretta nei confronti dell’F-35I Adir israeliano, dotato di tecnologia stealth, capacità di fusione sensoriale avanzata e superiorità informativa grazie al supporto satellitare statunitense. Tuttavia, il J-10C consente a Teheran di colmare in parte il divario, offrendo piattaforme flessibili in grado di operare in ambienti complessi, di sostenere operazioni difensive e, in determinati scenari, di condurre missioni offensive contro assetti non protetti o di seconda linea.
L’aspetto più interessante risiede nell’integrazione tra potere aereo e difesa aerea avanzata: l’utilizzo combinato dei J-10C con le batterie S-400 Triumf crea una sinergia multidominio, in cui la copertura radar, le capacità BVR e le difese antimissile si sovrappongono e si rafforzano reciprocamente. Questo approccio integrato riduce la vulnerabilità a un attacco simultaneo e complica la pianificazione di qualunque missione d’attacco da parte israeliana, aumentando la probabilità che un’operazione venga intercettata, contrastata o dissuasa prima ancora del decollo.
In definitiva, il J-10C non rappresenta solo un aggiornamento tecnologico per la forza aerea iraniana, ma un tassello centrale in un nuovo ecosistema militare trilaterale, che coinvolge Cina, Iran e Pakistan e che potrebbe, nel medio termine, evolvere in un blocco di sicurezza eurasiatico in grado di sfidare l’egemonia aerea esercitata da Stati Uniti e Israele nel Vicino Oriente.
Impatto su Israele e sulle strategie americane
L’acquisizione da parte dell’Iran di sistemi S-400 e caccia multiruolo J-10C rappresenta un punto di svolta per l’equilibrio strategico della regione. Israele, che per decenni ha potuto operare in quasi totale libertà nei cieli di Libano, Siria e Iraq, si trova ora di fronte a una rete di difesa aerea stratificata, in grado di imporre costi operativi, tecnici e politici significativamente più elevati in caso di attacchi preventivi contro obiettivi iraniani. La classica dottrina israeliana del “falciare l’erba” — attacchi periodici per contenere l’espansione del nemico — diventa ora più rischiosa e meno prevedibile.
Sebbene l’F-35I Adir resti un asset tecnologico di prim’ordine, l’integrazione tra i sistemi S-400 e i caccia J-10C da parte iraniana complica seriamente l’efficacia di una campagna aerea israeliana condotta in autonomia. Il caccia stealth israeliano è progettato per ambienti A2/AD, ma anche una missione limitata comporterebbe oggi rischi concreti: la possibilità di perdite, per quanto contenute, potrebbe rivelarsi politicamente insostenibile, soprattutto in assenza di un sostegno operativo diretto da parte degli Stati Uniti.
Questo cambiamento operativo riflette una trasformazione più ampia. Anche Washington si trova costretta a riconsiderare le proprie strategie. Per anni, gli Stati Uniti hanno cercato di contenere l’Iran con sanzioni, embargo tecnologico e isolamento diplomatico. Ma la crescente convergenza tra Cina e Russia ha eroso l’efficacia di questo approccio: Pechino e Mosca sono ormai disposte a fornire a Teheran tecnologie avanzate, formazione militare e sistemi d’arma sofisticati, aggirando apertamente le restrizioni occidentali. Così facendo, l’evoluzione militare dell’Iran si ancora sempre più a un sistema multipolare ostile all’ordine atlantico.
Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, pur mantenendo relazioni funzionali con Israele sotto la cornice degli Accordi di Abramo, percepiscono ora l’Iran come più solido, meno isolabile e dotato di una capacità difensiva di livello superiore. Questo spingerà probabilmente questi attori ad accelerare la modernizzazione dei propri sistemi di difesa aerea e aeronautica: l’acquisizione dei THAAD, dei Patriot PAC-3, dei nuovi F-15EX e di radar schierati fase a lungo raggio non sarà solo una questione tecnica, ma un segnale politico di autonomia e competitività strategica.
Inoltre, l’aumento dell’interdipendenza tecnologica tra Iran, Russia e Cina costringe gli Stati Uniti a rivedere la propria postura militare globale. Il teatro vicino orientale, a lungo concepito come “secondario” rispetto all’Indo-Pacifico, torna ad assumere centralità nella competizione tra blocchi. La possibilità che sistemi iraniani condividano protocolli operativi o dati radar con reti cinesi o russe crea un contesto di deterrenza incrociata, nel quale un attacco occidentale potrebbe avere implicazioni più ampie, persino globali.
Infine, anche l’opinione pubblica e il fattore politico interno giocano un ruolo non trascurabile. In Israele, la guerra dei dodici giorni ha mostrato che la vulnerabilità esiste e che la supremazia aerea non è più garantita. Negli Stati Uniti, un’escalation diretta con l’Iran comporta costi che l’amministrazione Trump, già impegnata su altri fronti globali, potrebbe voler evitare. In questo senso, il nuovo equilibrio deterrente creato dal rafforzamento della difesa iraniana potrebbe congelare per anni l’opzione militare, costringendo entrambe le parti a rivalutare la logica stessa del conflitto diretto.
Conclusione: verso un nuovo equilibrio aerospaziale
La combinazione tra difesa stratificata S-400 e modernizzazione aeronautica cinese non rende l’Iran invulnerabile, ma lo rende non attaccabile senza costi elevati e rischi sistemici. Questo cambiamento, più che tecnico, è prima di tutto percettivo: l’Iran passa da potenza contenibile a potenza da calcolare, da obiettivo militare a soggetto deterrente. La deterrenza, infatti, non si misura solo nella capacità di colpire, ma nella capacità di indurre il nemico a riconsiderare l’opzione del primo colpo. In questo senso, l’Iran è riuscito a trasformare la propria vulnerabilità in una postura militarmente credibile.
Israele e gli Stati Uniti devono ora confrontarsi con un ambiente operativo radicalmente trasformato, dove ogni missione, anche limitata, comporta una soglia tecnica e politica più alta. L’epoca della supremazia aerea unilaterale, della libertà d’ingaggio e della rapida escalation controllata è giunta al termine. Anche l’idea di un attacco preventivo chirurgico — per anni elemento centrale nelle dottrine israeliane — è oggi soggetta a vincoli operativi, diplomatici e strategici che ne limitano la fattibilità. La guerra dei dodici giorni ha dimostrato che lo spazio aereo vicino orientale non è più uno spazio neutro, ma un dominio conteso, in cui anche le potenze regionali possono alzare barriere credibili.
Ma l’elemento più significativo risiede nella triangolazione Teheran–Mosca–Pechino, che si è evoluta da convergenza diplomatica a rete operativa multilivello. Non si tratta più di alleanze ideologiche, ma di forme concrete di cooperazione strategica, basate su flussi tecnologici, interoperabilità militare, addestramento congiunto, e condivisione di dottrine difensive. Questa architettura offre un’alternativa reale al sistema di sicurezza guidato dagli Stati Uniti, soprattutto per quei paesi che, per ragioni storiche o geopolitiche, cercano margini di manovra al di fuori dell’orbita atlantica.
Il caso iraniano potrebbe fungere da prototipo per altri attori regionali o globali non allineati: un modello di autonomia difensiva assistita che consente a potenze intermedie di costruire deterrenza a basso costo, sfruttando la convergenza tecnologica sino-russa e le proprie competenze locali. In prospettiva, ciò potrebbe condurre a una nuova geometria strategica regionale, fondata non più sulla supremazia verticale di un solo blocco, ma su una pluralità di poli interconnessi, in grado di equilibrare, rallentare o persino neutralizzare la proiezione unilaterale di potenza.
NOTE
[1] “Breaking News: Iran Conducts First Known Field Test of Russian‑Made S‑400 Air Defense Missile System”, Army Recognition, 27 luglio 2025 – https://www.armyrecognition.com/news/army-news/2025/breaking-news-iran-conducts-first-known-field-test-of-russian-made-s-400-air-defense-missile-system
[2] “Iran Eyes China’s ‘Rafale Killer’ J‑10C as Israel Calls on Beijing to Restrain Tehran”, Defence Security Asia, 5 luglio 2025 – https://defencesecurityasia.com/en/israel-asks-china-block-iran-j10c-fighter-jet-deal/
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