Introduzione
La presenza russa nel Caucaso meridionale è tornata ad essere, dopo un breve intermezzo di debolezza politica e militare, un dato di fatto di cui tutti gli attori geopolitici, interni o esterni alla regione, hanno dovuto prendere atto. Ci sembra che gli avvenimenti degli ultimi anni, alcuni dei quali drammatici, dimostrino in modo inequivocabile il rinnovato protagonismo della Russia in quella parte del mondo.
Mosca ha impiegato anni per riprendersi dallo shock provocato dal crollo dell’Unione Sovietica alla fine del 1991. Dai tempi della guerra fredda molte cose sono inevitabilmente mutate ed il Caucaso meridionale, con l’aumento del numero degli Stati indipendenti presenti (e dei conflitti tra e all’interno di essi), ne è uno degli esempio più lampanti.
A ventanni circa da quell’avvenimento epocale la Russia dimostra di essere riuscita a reinserirsi nel gioco delle grandi potenze reclamando per sè un ruolo di primo piano negli affari internazionali in generale e nel suo near abroad in particolare mostrando una rinnovata capacità di proiezione verso l’esterno al fine di conseguire i propri obiettivi geopolitici, primo fra tutti quello di porsi come attore centrale nella grande scacchiera eurasiatica.
Per i policy – makers russi il Caucaso meridionale ha giocato un ruolo centrale fin dal principio, vale a dire fin da quando Mosca, all’alba del 1992, cercava disperatamente (e spesso in modo confuso e contraddittorio) di dare un senso ad uno spazio geopolitico in preda al caos più totale e agli appetiti di certi attori, statali e non, volonterosi di accappararsi il più possibile delle spoglie (a cominciare dalle immense risorse energetiche) dell’ex Stato sovietico.
Nel corso del tempo Mosca ha cercato di adattarsi (con risultati alterni a seconda dei diversi Paesi che compongono la regione) al mutato contesto geopolitico dell’area e ha lavorato per creare legami politici, economici ed istituzionali con i vari Stati, in particolare con quelli post – sovietici (Georgia, Armenia ed Azerbaijan) trovandosi spesso ad operare in una situazione di elevata conflittualità intra- ed inter-statale dove la legittimità dell’ordine regionale era prossima allo zero e l’equilibrio si basava solo sui crudi rapporti di forza. Per una serie di motivi che presto prenderemo in esame, Russia ed Armenia hanno costruito dei legami molto forti al punto che molti analisti sono concordi nell’affermare che, senza alcun’ombra di dubbio, Yerevan è il miglior alleato di Mosca nella regione. Dunque, gli accordi siglati a fine agosto in Armenia tra i Presidenti dei due Paesi, tra i quali uno nel campo della sicurezza che a breve prenderemo in considerazione, non sono un evento che giunge inaspettato bensì rappresentano il proseguimento e l’approfondimento di relazioni politiche alquanto solide tra due Paesi che pur disponendo di una diseguale capacità di proiezione dei loro interessi geopolitici traggono, dalle loro relazioni bilaterali, una serie di benefici.
Chiaramente la Russia è consapevole del fatto che l’Armenia non sia nè l’unico Stato del Caucaso nè, tantomeno, il più importante. Di conseguenza, Mosca muove le sue pedine nella regione con grande parsimonia cercando di bilanciare le proprie azioni ed evitando di creare repentini mutamenti del fragilissimo equilibrio esistente che potrebbero favorire i concorrenti e complicare la realizzazione di uno dei suoi grandi obiettivi geopolitici, vale a dire il consolidamento e l’ampliamento della propria posizione (politica, economica e militare) nella regione del Caucaso e del Mar Caspio, obiettivo che se conseguito avrebbe delle ripercussioni geopolitiche che andrebberò ben al di là dei confini della regione caucasica e permetterebbero alla Russia di compiere un importantissimo passo in avanti verso il proprio progetto di ricomposizione dello spazio post sovietico. E’ chiaro quindi, e nella nostra analisi ne discuteremo, che tutto ciò impone alla dirigenza moscovita un atteggiamento prudente soprattutto nei confronti di tutti gli altri attori regionali a cominciare dall’Azerbaijan, un Paese le cui relazioni con Yerevan sono tutt’altro che idilliache e vengono pesantemente modellate dalla presenza del frozen conflict nel Nagorno-Karabakh.
La partita nel Caucaso meridionale è ancora in corso e la Russia ha tutte le carte in regola per realizzare i propri obiettivi, tuttavia è doveroso che i policy – makers russi ricordino che oltre all’onore di giocare un ruolo cardine in una regione strategocamente importante per le sorti energetiche del mondo, il Caucaso imporrà loro anche l’onere di gestire e risolvere molti dei conflitti che ancora oggi lo tormentano.
Geopolitica delle relazioni russo – armene
La prima grande sfida che l’Armenia indipendente si trovò ad affrontare fu la guerra contro l’Azerbaijan per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh, regione facente parte dello Stato azero ma abitata da una maggioranza etnicamente armena.
Il conflitto divampò nel 1988, durante la fase finale della storia sovietica e si concluse solo dopo 6 anni di scontri con la tregua del 1994 e con la perdita, da parte di Baku, del controllo sul Nagorno-Karabakh (che equivale a circa il 14% dell’intero territorio azero) in cui già dal gennaio del 1992 era stata proclamata, senza che nessuno l’abbia mai riconosciuta, una Repubblica la cui vicinanza politica ad Yerevan con relativa dipendenza militare è innegabile. Quella guerra provocò 30,000 morti, feriti, rifugiati ed una serie infinita di atrocità commesse da ambo le parti. Inoltre, la guerra non ha risolto in modo definitivo la questione visto e considerato che quello del Nagorno-Karabakh è un tipico esempio di frozen conflict a cui la comunità internazionale, in particolare l’OSCE, attraverso il gruppo di Minsk, non è ancora riuscita a venire a capo, complice anche le differenti visioni della questione da parte di Armenia ed Azerbaijan.
Vista la particolare collocazione geografica e politica di Yerevan, al centro del Caucaso meridionale, senza sbocchi sul mare, con una frontiera in comune con due Stati per nulla definibili come alleati e collocati su 2 lati opposti, vale a dire l’Azerbaijan e la Turchia (alleata e grande sostenitrice delle rivendicazioni di Baku) la Russia ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una vera e propria ancora di salvataggio a cui aggrapparsi e su cui fare leva per garantire la propria sicurezza, lo sviluppo economico del Paese e una posizione relativamente più forte nei segoziati sulla risoluzione del conflitto sul Nagorno-Karabakh. Queste necessità armene si sono incontrate fin dal principio con la volontà russa di non scivolare in una posizione marginale nel Caucaso e da ciò ne è scaturito un matrimonio di interessi che ha dato molti frutti di cui vogliamo elencare i più importanti:
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fin dal principio l’Armenia ha supportato e partecipato attivamente ai frameworks istituzioni di matrice economica e politica voluti dalla Russia: infatti, a ben vedere, Yerevan è parte integrante della Confederazione degli Stati Indipendenti, dell’ EurAsEC e della Collective Security Treaty Organization. Molto attiva è la presenza armena nel campo della sicurezza. Per citare alcuni esempi significativi vogliamo ricordare che la Russia apprezza molto l’impegno armeno, serio e costante, in seno alla CSTO e al centro anti – terrorismo della CSI. Inoltre, a partire dal 2001, le unità militari di difesa aerea russe e armene sono mantenute in stato di joint combat duty. Esse sono un elemento importante del sistema difensivo aereo unificato della CSI voluto da Mosca e creato nel 1995. Questi esempi ci permettono di capire l’impegno armeno a coltivare le relazioni con la Russia non solo a parole ma soprattutto con i fatti. Inutile dire che ciò ha contribuito indubbiamente a legittimare i progetti russi;
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Mosca è il più grande investitore nell’economia armena. Dal 1991 la Russia ha investito 2.4 miliardi di dollari nell’economia di Yerevan, una cifra consistente che ammonta a circa il 60% di tutti gli investimenti diretti esteri nel Paese. Gli investimenti russi si sono concentrati nel settore energetico (Gazprom rimane il principale fornitore di gas dell’Armenia. In proposito ci preme sottolineare come attualmente si stiano tenendo degli incontri tra le due parti poichè Gazprom è intenzionata ad aumentare i prezzi dell’energia al fine di realizzare una transizione ai prezzi di mercato. Questa è una politica che Mosca stà perseguendo verso tutti i Paesi importatori che ancora si avvalgono di prezzi relativamente più bassi di quelli di mercato. Tuttavia, grazie alle ottime relazioni tra i due Paesi, tale progetto non ha suscitato le stesse lacerazioni che si sono verificate nelle discussioni con la Bielorussia. Altrettanto importante è la collaborazione e gli investimenti russi nel settore nucleare civile armeno, in particolare Mosca aiuterà Yerevan a realizzare due nuovi impianti nucleari per uso civile il cui prezzo si aggira attorno ai 5 miliardi di dollari e la cui messa in funzione è prevista per il 2017), bancario, delle telecomunicazioni, metallurgico, delle costruzioni e dei trasporti;
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i due Paesi coordinano, attraverso una serie di meeting durante il corso dell’anno, le loro politiche estere in base ad un accordo diglato nel 1992. Mosca ed Yerevan coordinano le loro azioni in tutti i format istituzionali di cui sono parte, dalla CSI, alla CSTO, passando per l’OSCE e l’ONU;
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per quanto concerne la dimensione militare, tema su cui ritorneremo meglio nel prossimo paragrafo, qui ci basterà ricordare che la Russia ha, in un certo senso, contribuito alla sforzo militare armeno contro l’Azerbaijan. Infatti nel corso del tempo l’esercito di Yerevan ha ricevuto una grande quantità di armi russe a prezzi stracciati e persino in regalo;
Tutto questo dimostra in modo inequivocabile che lo stato delle relazioni russo – armene è più che soddisfacente e la nuova serie di accordi da poco sottoscritti ne sono una prova più che convincente. Tuttavia, assieme al ‘all’incontro d’interessi’ di cui abbiamo appena elencato i risultati principali non dobbiamo dimenticare che esiste una grande differenza, nei mezzi e nei fini, tra i due Paesi, differenza che non può essere sottaciuta: come abbiamo precedentemente enunciato, gli obiettivi geopolitici di Mosca nella regione sono ambiziosi e chiaramente molto più ampi rispetto a quelli di Yerevan. Dati tali obiettivi la Russia è perfettamente consapevole del fatto che l’alleanza con l’Armenia è si uno strumento utile al perseguimento dei propri fini ma non è certamente l’unico che deve essere messo in campo. Puntare solo sull’alleanza con Yerevan, dimenticando gli altri attori presenti, i loro timori ed obiettivi, metterebbe a repentaglio la possibilità di collocarsi al centro di questa regione così geopoliticamente importante. Di questo Mosca sembra essere perfettamente consapevole anche se non sempre agisce di conseguenza operando le scelte più opportune nei confronti dei singoli Stati che occupano la regione caucasica. Ci occuperemo meglio di tale questione quando focalizzeremo la nostra attenzione sulle relazioni russo – azere. Adesso però è giunto il momento di concentrarci sul nuovo accordo russo – armeno.
Uno sguardo critico sul contenuti del nuovo protocollo
Tra i cinque accordi sottoscritti dal presidente russo Dmitry Medvedev e dal suo omologo armeno Serge Sarkisian il 20 agosto scorso ad Yerevan uno riguarda il tema della sicurezza. Per la precisione i due capi di Stato hanno firmato un protocollo che emenda un precedente trattato stipulato da Russia ed Armenia nel 1995 che prevedeva il dislocamento di una base militare russa nella città armena di Gyumri (alcune truppe sono state dislocate anche nella stessa Yerevan) per un periodo di 25 anni. La base, che si trova a pochi Kilometri dal confine turco, fu voluta come parte integrante del sistema aereo unificato della CSI che abbiamo già citato ed è posta sotto il comando del distretto militare del Caucaso del nord. Il personale della base è di circa 3,500 uomini. Sono presenti 3 regimenti di fanteria motorizzati, un regimento d’artiglieria ed un battaglione di carri armati. Nella base sono presenti circa 74 carri, 17 veicoli da combattimento per la fanteria, 18 mezzi blindati per il trasporto truppe e 84 sistemi d’artiglieria. I reparti aerei hanno in dotazione circa 30 MiG-29 ed un numero imprecisato di S-300 ed S-200. Uno dei compiti principali delle truppe russe in Armenia è stato quello di pattugliare la frontiera con la Turchia. Con il nuovo protocollo il periodo di permanenza è stato innalzato a 49 anni a partire dal 1995. Ciò significa che la base rimarrà al suo posto almeno fino al 2044. Inoltre, nel protocollo sono presenti alcune novità molto apprezzate dagli armeni e che cui i russi tendono, per motivi facilmente intuibili, a minimizzare: la base militare russa, oltre a servire l’interesse della Federazione Russa (come prevedeva l’accordo del 1995), fornirà supporto alle forze armate armene per garantire la sicurezza dell’Armenia. A tal propsito molti esperti si interrogano su una questione spinosa, vale a dire: fermo restando che la Russia non riconosce la Repubblica del Nagorno-Karabakh, in caso di attacco azero a questa regione al fine di riguadagnarne il controllo, come si comporterà Mosca? Quale atteggiamento l’Armenia si attende dalla Russia nel caso che un tale scenario dovesse concretizzarsi? Inoltre, l’accordo impegna Mosca anche a garantire armi e equipaggiamenti militari moderni ad Yerevan. Chiaramente 2 punti che difficilmente sono sfuggiti alle elite politiche di Baku ed Ankara.
Come già affermato in precedenza, il nuovo accordo non giunge inaspettato bensì si colloca nel trend positivo che caratterizza le relazioni russo – armene. Sarebbe tuttavia errato non tenere in considerazione, soprattutto dal lato armeno, tutta una serie di fattori contingenti che hanno portato Yerevan ad investire molto, sotto il profilo politico, in una conclusione positiva dell’accordo. In particolare i pesanti investimenti di Baku nel settore della difesa, le reiterate minacce azere di risolvere la questione con le armi in caso di fallimento dei negoziati, gli scontri al confine degli ultimi mesi che hanno provocato morti e feriti tra le forze armate dei due Paesi innalzando pericolosamente il livello della tensione e le difficoltà incontrate nella normalizzazione delle relazioni con la Turchia hanno, diciamo così, giocato un ruolo non secondario nella volontà armena di stipulare il protocollo con la Russia.
La presenza militare russa è ritenuta così necessaria alla sicurezza nazionale che i policy – makers armeni non solo non chiedono il pagamento dell’affitto alla Russia per la base di Gyumri ma si accollano perfino i costi e le spese operative della medesima. Questa scelta, che molti potrebbero ritenere illogica e soprattutto anti – economica in realtà è perfettamente comprensibile in quanto di dimostra essere in linea con gli obiettivi geopolitici di Yerevan, in primis con la sua volontà di rafforzare la propria posizione vis-à-vis con l’Azerbaijan sulla questione del Nagorno-Karabakh. Per quanto riguarda Mosca la questione è un pò più complessa: chiaramente la firma del protocollo non giunge sgradita alle elite politiche russe in quanto rafforzano la cooperazione con uno dei più fedeli alleati di Mosca. Tuttavia, come abbiamo fatto notare alla fine del precedente paragrafo, la Russia, perseguendo un obiettivo geopolitico molto ampio ed ambizioso, deve, in un certo senso, fornire rassicurazioni gli altri attori regionali spiegando loro il significato ed il contenuto del nuovo protocollo, questo vale soprattutto nei confronti dell’Azerbaijan.
La posizione azera
Sebbene le relazioni russo – azere siano cordiali ed in molti ambiti anche mutualmente vantaggiose, al momento non possono proprio essere paragonate a quelle che Mosca intrattiene con Yerevan. La Russia è perfettamente consapevole di tale fatto e sembra voler fare tutto il possibile per avvicinarsi a Baku ed evitare che nel Caucaso le relazioni preferenziali esistenti, vale a dire quelle turco – azere e quelle russo – armene, si irrigidiscano al punto da configurarsi come alleanze contrapposte che limitino la libertà di manovra di Mosca e la possibilità di presentarsi ed essere riconosciuta come un attore centrale e necessario alla stabilità dell’ordine regionale. Nonostante sia fuori discussione il fatto che l’annuncio della stipulazione del protocollo tra la Russia e l’Armenia non abbia di certo fatto piacere ai policy – makers azeri, la reazione di Baku è stata alquanto pacata se paragonata ai timori, esplicitati in passato, verso la cooperazione militare tra Mosca ed Yerevan. Da parte sua, la Russia ha avuto la lungimiranza di organizzare subito un incontro al vertice tra i 2 Paesi in cui discutere e sottoscrivere qualche accordo. Durante i colloqui tenuti nei 2 giorni di visita ufficiale del presidente Medvedev a Baku ai primi di settembre, il capo di stato russo ed il ministro per gli affari esteri, Sergei Lavrov, hanno definito l’Azerbaijan un partner strategico nel Caucaso del sud e nel Caspio ed hanno cercato di rassicurare i colleghi azeri sul fatto che il nuovo protocollo russo – armeno non muta assolutamente gli equilibri delle forze nella regione in quanto si è trattato, a detta dei russi, di un semplice prollungamento della permanenza di truppe in Armenia senza alcun mutamento quantitativo nel numero degli effettivi nè tanto meno qualitativo nelle armi in loro dotazione. Dai comunicati ufficiali non sembra si sia discusso nè delle garanzie alla sicurezza armena nè dell’impegno di Mosca a fornire armi e equipaggiamenti militari moderni ad Yerevan….
Oltre alle questioni relative alla sicurezza, i 2 Paesi hanno discusso di un accordo sull’uso razionale delle acque del fiume Samur ed hanno sottoscritto sia un accordo per la delimitazione della frontiera comune (390 Km circa), sia un accordo volto a raddoppiare le forniture di gas azero alla Russia a partire dal 2011. Chiaramente le relazioni economiche tra i 2 Paesi non si limitano al settore energetico, il quale comunque gioca un ruolo chiave, ma si spingono oltre: tanto per citare qualche sempio, recentemente, è stata diffusa la notizia che una compagnia russa che produce elicotteri venderà 4 Kamov Ka-32 per uso civile all’Azerbaijan. I rapporti non si limitano certo al solo ambito civile poichè, ad esempio, lo scorso giugno Mosca rifiutò di commentare la notizia secondo cui erano in corso discussioni riservate per la fornitura, per un totale di 300 milioni di dollari, di 2 batterie di sofisticatissimi S-300. Ancora oggi non vi sono notizie certe in merito ma anche se la vendita non dovesse avere luogo è comunque significativo che i 2 Paesi discutano di una vendita dal così elevato contenuto politico.
Sebbene la questione irrisolta del Nagorno-Karabakh rappresenta l’incognita più grande e pericolosa per tutti i soggetti geopolitici della regione, quanto detto finora mostra chiaramente che le relazioni politiche ed economiche tra i 2 Paesi sono relativamente soddisfacenti (diciamo che in un’ipotetica scala ai cui estremi piazziamo l’Armenia e la Georgia, l’Azerbaijan si colloca a metà strada) ed esistono anche gli spazi per un loro sostanziale miglioramento. Riteniamo che questa sia la vera sfida che attende Mosca, almeno nei confronti di Baku si intende. Molto probabilmente un approfondimento delle relazioni russo – azere potrebbe contribuire proprio a depotenziare il conflitto azero – armeno.
Conclusioni
Dal Caucaso transitano le tubature che trasportano gas e petrolio proveniente dal Caspio e dall’Asia centrale all’Europa. Come più volte sottolineato, l’obiettivo della Russia è quello di collocarsi il più possibile al centro di questa regione, strategica e turbolenta, al tempo stesso al fine di ricavarne vantaggi politici ed economici. Tutto questo però ha anche dei costi, sia politici che economici, e la Russia deve esserne consapevole. Come abbiamo dimostrato l’alleanza con l’Armenia è sicuramente utile, in quanto rafforza le relazioni con uno Stato situato nel cuore del Caucaso e lo rende più sicuro e meno nervoso, ma non sufficiente al raggiungimento degli obiettivi di Mosca, serve una politica strutturata verso tutti gli altri membri della regione, Azerbaijan in primis, che crei i presupposti per la risoluzione dei conflitti, la stabilizzazione del Caucaso ed il suo sviluppo. In tale scenario la Russia occuperà certamente un ruolo centrale assieme alle altre potenze regionali.
* Alessio Bini, dottore in Relazioni internazionali (Università di Bologna), collabora con “Eurasia”
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