Il sostegno di Trump a Bolsonaro
La guerra logora, sempre. Quella fra l’attuale inquilino della Casa Bianca e l’omologo di Palácio do Planalto, iniziata con una battaglia verbale fatta di tweet, minacce e ritorsioni, ha finito con l’innalzare la popolarità di Lula e scatenare una divisione interna al mondo conservatore verde-oro.
Il legame tra Donald Trump e Jair Bolsonaro è stato sempre solido, così solido che l’ex presidente brasiliano ha trascorso molti periodi in Florida, dopo essere stato sconfitto alle elezioni presidenziali ed essere stato accusato di aver avuto una parte nel tentativo di colpo di Stato per impedire il reinsediamento del suo rivale Lula[1]. Bolsonaro non ha mai smesso di elogiare il presidente statunitense, assumendolo come esempio per la sua istrionica personalità. I quattro anni di presidenza di Bolsonaro, infatti, si sono svolti in un continuo adeguamento ai diktat di Washington, senza nessun sussulto di quel nazionalismo che aveva ispirato la sua campagna elettorale. Ora che le cose sembrano volgere al peggio, stante l’impossibilità di partecipare alla tornata elettorale dell’ottobre 2026, decisiva per la massima carica istituzionale del Paese, l’unico aiuto può venire a Bolsonaro dal tycoon nuovaiorchese. Se, infatti, l’incandidabilità è stata già decretata, il rischio più grande che corre Bolsonaro è quello di una dura condanna per aver “agito sistematicamente, durante tutto il suo mandato e dopo la sconfitta alle urne, per incitare all’insurrezione e alla destabilizzazione dello stato di diritto democratico”, come riportato nel corposo documento (517 pagine) prodotto dal procuratore generale Paulo Gonet[2].
Il clan politico e familiare di Bolsonaro ha quindi mosso i suoi passi in un’unica direzione: quella che porta a nord, dove Trump si è mostrato propenso ad avviare col Brasile una trattativa che ha assunto subito i toni di una minaccia. La proposta avanzata è stata quella dell’applicazione immediata di dazi al 50% sulle principali produzioni da esportazione della nazione sudamericana, tra le quali figurano: caffè, arance, carne e prodotti aerei. In sintesi, il do ut des trumpiano-bolsonarista prevederebbe la possibilità di continuare ad esportare questi prodotti senza alcun dazio in cambio dell’amnistia. La guerra iniziata a colpi di tweet identici per linguaggio e tag (una “caccia alle streghe” aveva scritto Trump e la stessa frase è stata poi riproposta dallo stesso Bolsonaro) non è migliorata con le infelici dichiarazioni di uno dei figli di Bolsonaro, il senatore Flávio, che ha paragonato gli attuali rapporti di USA e Brasile a quelli intercorsi tra gli USA e il Giappone nella Seconda guerra mondiale, prospettando, in caso di mancata amnistia per il padre, l’utilizzo delle armi atomiche contro il Brasile da parte della potenza a stelle e strisce. A ciò si aggiunge che il terzo figlio di Bolsonaro, Eduardo, si è praticamente autoesiliato negli USA.
La posizione del clan, esclusivamente preoccupato dei propri interessi, ha innescato un dibattito molto acceso all’interno della destra brasiliana, i cui partiti storici pur non considerando Bolsonaro un loro membro in tutto e per tutto, lo hanno dovuto accettare: sia per ottenere un successo elettorale che prima del 2018 mancava da vent’anni, sia per poter trasformare dall’interno il quadro degli eletti nelle due Camere del Parlamento, aumentando i deputati e senatori bolsonaristi portati in dote dalle elezioni legislative. In particolare, il quotidiano conservatore “Estado de São Paulo” ha fatto cadere la maschera di Bolsonaro identificandolo come un politico che si interessa solo di sé stesso e ponendo i suoi lettori davanti ad un bivio: “Brasile o Bolsonaro. Le due strade sono diametralmente opposte”[3].
L’arma del nazionalismo è stata, infatti, lasciata proprio a Lula, che non a caso ha avuto un’impennata di gradimento e popolarità negli ultimi sondaggi. La scelta, poi, di mostrarsi in pubblico con un cappellino blu recante la scritta “Il Brasile appartiene ai Brasiliani” ha fatto assumere a Lula una posizione di difesa della nazione letteralmente scippata alla destra.
Bolsonaro, che in un primo momento aveva rilanciato i termini trumpiani, si è limitato a sostenere la propria innocenza (“Ho sempre giocato nel rispetto delle regole”[4]) ed ha provato a presentarsi come l’uomo che può mediare con Trump per il bene della produzione brasiliana, risultando però ben poco credibile dopo aver cercato aiuto in Trump per i propri guai giudiziari.
Dal vertice Brics di Rio la voce di Lula contro Israele
Se le intromissioni nelle vicende interne hanno creato una profonda spaccatura tra l’amministrazione Trump e quella di Lula, non più armoniosa si presenta la relazione tra Washington e Brasilia in campo estero.
Fin dall’inizio del nuovo conflitto israelo-palestinese il presidente brasiliano ha assunto una posizione di netta condanna dell’operato delle forze militari israeliane. “Quella in atto a Gaza non è una guerra. Quello che sta succedendo a Gaza è un genocidio perpetrato da un esercito altamente preparato contro donne e bambini”, ha dichiarato Lula aprendo il vertice dei Brics del 6 e 7 luglio a Rio de Janeiro. “Un genocidio davanti al quale non si può restare indifferenti, in cui si utilizza la fame come arma di guerra” ha aggiunto il presidente, che dallo scorso ottobre figura tra le persone sgradite a Tel Aviv.
Intanto il vertice di Rio ha sancito l’allargamento dei Brics con la prima partecipazione dell’Indonesia, venuta ad aggiungersi ai fondatori (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e alle altre nazioni del Sud del mondo che ne fanno parte (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran). Nonostante l’assenza di alcuni presidenti, tra cui Vladimir Putin, oggetto del mandato d’arresto internazionale che pende su di lui dal marzo 2023, l’incontro ha permesso al Brasile di rilanciare il proprio impegno in campo internazionale in un anno che nel mese di novembre vedrà il Paese ospitare anche la Cop30. Un’altra occasione per dimostrare quanto sia ancora salda la guida del vecchio sindacalista, giunto ormai alla soglia degli ottant’anni. Il fattore anagrafico è l’unico che potrebbe mettere a rischio una sua ricandidatura, mentre le opposizioni, certe di non potersi giovarsi di un nuovo scontro con a capo Bolsonaro[5], sono già alla ricerca di una figura in grado di convogliare attorno a sé le forze ostili all’attuale esecutivo.
NOTE
[1] Luca Lezzi, Bolsonaro si difende attaccando, “Eurasia”, 4 marzo 2024;
[2] Eléonor Hughes, Brazilian ex-President Bolsonaro echoes Trump by describing his coup plot trial as a ‘witch hunt’, APNews, 15 luglio 2025;
[3] Tom Phillips, A family of traitors’: Trump’s Brazil tariffs ultimatum backfires on Bolsonaro, The Guardian, 16 luglio 2025;
[4] Luca Lezzi, Brasile, una rivoluzione colorata abortita?, Eurasia, 12 gennaio 2023;
[5] Luca Lezzi, Bolsonaro non guiderà l’opposizione, Eurasia, 4 aprile 2023.
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