“Riconoscere ai palestinesi parità di cittadinanza e dunque diritto di voto” sarebbe una “catastrofe per il futuro di Israele e la stabilità del Medio Oriente”. Questo afferma l’ex presidente Usa Jimmy Carter, spiegando che comporterebbe “La fine di Israele come Stato ebraico, ovvero l’autocancellazione di uno dei pilastri che sono a fondamento della nascita di Israele: il suo essere focolaio nazionale del popolo ebraico”.
Non siamo qui per criticare l’operato di Carter, che negli ultimi anni si è distinto nel cercare sempre negoziati in Palestina, ma queste frasi ben sottolineano il livello di schizofrenia e sudditanza che la cultura “atlantica” paga nei confronti di Israele, anche quando sposa posizioni che per i più sarebbero coraggiose, come quella dei due popoli due Stati (e che sono costate a Carter l’odio sionista e l’accusa di essere filo Hamas). E’ proprio questo il suggerimento dell’ex presidente americano: Israele deve impegnarsi nei negoziati di pace, accettare uno Stato Palestinese accanto al proprio, ma per il proprio bene e per scongiurare le altre soluzioni messe sullo stesso piano: dall’orribile apartheid nei confronti dei palestinesi alla costituzione di un unico Stato democratico con i cittadini liberi ed eguali.
E’ qui che risulta evidente che qualcosa non torna: ci giustificano, proprio con l’obbiettivo di instaurare “democrazie e diritti”, interventi armati voluti e guidati dalla Nato in ogni parte del mondo che costano la vita a migliaia di civili inermi. Eppure uno Stato di questo tipo è assolutamente da scongiurare in “medio oriente” dove si auspica solo la costituzione di due Stati, in quanto “la nascita di uno Stato di Palestina in un quadro di garanzie negoziate è un investimento d’Israele sul proprio futuro”. Di nuovo, non stiamo qui a valutare l’opportunità che l’esistenza di uno Stato Palestinese finalmente riconosciuto possa comportare per i palestinesi stessi e per il mondo tutto; quello che è bene tener presente però è lo strano e contraddittorio uso di concetti come quelli di democrazia, diritti, eguaglianza buoni nelle più diverse occasioni e impiegati per giustificare operazioni completamente opposte.
Detto questo c’è da aspettarsi che prima del 23 settembre (l’Assemblea Onu si aprirà il 20) – quando l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe presentare la richiesta di riconoscimento dello Stato di Palestina entro i confini del 1967 – cambiamenti tali da evitare agli Usa la pessima figura mondiale di porre il veto ad un sacrosanto diritto di un popolo martoriato. Probabilmente si tenterà di far depositare ad Abu Mazen la richiesta per lo status di “Stato non membro” così che debba esprimersi soltanto l’Assemblea Generale e non il Consiglio di Sicurezza come per un ingresso pieno nelle Nazioni Unite: ciò consentirebbe agli Usa di non porre il veto e non versare altra benzina sull’incendio in cui si sono cacciati dopo aver prodotto la crisi globale. Di certo questo potenziale voto rappresenta diverse incognite nel futuro dei rapporti internazionali: primo fra tutti il dubbio sul futuro dell’area dopo il riconoscimento di uno Stato Palestinese indipendente; sarebbe di certo un passo importante, ma garantirà ai palestinesi giustizia, sovranità, eguaglianza? Oppure Israele come probabile continuerà a farla da padrone controllando l’area? In secondo luogo sarà la reazione dell’opinione pubblica mondiale a produrre risultati; potranno permettersi gli Usa di presentarsi ancora come protettore di un’entità discussa e discutibile come Israele, specialmente in una situazione geopolitica mondiale in cui sono costantemente messi alle corde e subiscono la concorrenza di nuovi attori emergenti e più rispettosi delle diversità dei popoli?
Di certo non è seguendo Tel Aviv che si potrà giungere a conclusioni moderate e valide: Netanyahu ha definito “messaggio di pace” l’opposizione all’iniziativa palestinese. E’ quindi un messaggio di pace rifiutare che un popolo chieda libero voto presso l’Onu, significa che, secondo i sionisti, utilizzare regolarmente il diritto onusiano è un atto di guerra. In effetti, conferma Lieberman (Ministro degli esteri di Israele), quella dell’Onu sarebbe una “decisione unilaterale”. Queste frasi, francamente prive di senso, smentiscono le più basilari evidenze e anche retoriche sulla costituzione dell’Onu quale difensore della pace e della sicurezza internazionale. Quasi sembrerebbe che per Israele la comunità internazionale sia formata solo da se stesso. E’ da augurarsi per il futuro del popolo palestinese e della pace che non continuino a passare questo tipo di concetti unilaterali.
*Matteo Pistilli è redattore di Eurasia
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