Home Negozio Riviste LXXIV – La Palestina: dal fiume al mare

LXXIV – La Palestina: dal fiume al mare

20,00 

 

Proclamandosi le uniche vittime di una guerra che ha fatto cinquanta milioni di morti ed imponendo il mito, il dogma e la mistica dell’Olocausto, i sionisti hanno ipnotizzato e neutralizzato l’opinione pubblica occidentale. Sostenuta e tutelata dagli Stati Uniti, l’entità sionista, ritenuta superiore a tutte le leggi internazionali, ha potuto intraprendere impunemente lo sterminio della popolazione autoctona della Palestina, considerata “terrorista” allorché reagisce alle vessazioni ed ai crimini dell’occupante.

Descrizione

GEOPOLITICA E GEOSTRATEGIA

L’equilibrio di potenza riveste un ruolo fondamentale sia nella teoria (come concetto) sia nella storia (come prassi) della politica internazionale. Lo scopo di questo articolo è approfondire le due dimensioni dell’equilibrio di potenza. Con riferimento alla prima dimensione, l’analisi si concentra sulle scuole realiste e sulla scuola inglese delle relazioni internazionali. Per quanto riguarda la seconda dimensione, l’attenzione sarà rivolta al ruolo di “bilanciatore d’oltremare” ricoperto dal Regno Unito e dagli Stati Uniti durante le guerre tra grandi potenze degli ultimi due secoli.

Le cronache e la storia ci hanno restituito l’evento di Ustica come una strage. Tale effettivamente fu, ma soprattutto fu una battaglia aeronavale, programmata male, eseguita peggio e conclusasi drammaticamente. Inoltre, i rimedi messi in atto per coprire i responsabili e occultare le prove furono peggiori del male stesso. Le nazioni coinvolte erano, probabilmente, Stati Uniti, Francia, Italia, Regno Unito e Libia. Fu l’Italia a pagare il prezzo più alto in termini di vite umane, violazione dello spazio aereo, credibilità e sovranità nazionale, in una battaglia che aveva come finalità l’uccisione del colonnello libico Gheddafi, scampato al pericolo grazie ad un avvertimento dell’Italia stessa. Valutare i fatti dal punto di vista dei mezzi e delle strategie scelte dai decisori militari potrebbe essere una chiave di lettura diversa.

Il presente studio propone un excursus di tre settori chiave della nostra industria ad alta tecnologia: l’industria dei semiconduttori, quella dell’automazione e dei “sistemi per produrre” e per finire l’industria aerospaziale. Si tratta di tre dei quattro settori fondamentali per la contemporanea civiltà industriale – essendo il quarto l’informatica avanzata, con l’industria computazionale e dell’Intelligenza Artificiale, un ambito nel quale l’Italia è meno presente e radicata; il loro peso per la sicurezza nazionale è fondamentale e ineludibile.

Sono stato un soldato della NATO per trentacinque anni. Ho iniziato il servizio militare di leva in piena “guerra fredda” facendo le guardie ad una base NATO nel Nordest che custodiva rampe di lancio per missili con testate atomiche. Nei nostri turni di guardia con il FAL BM59 – rigorosamente con il colpo in canna – vedevamo sabotatori russi in ogni anfratto, dietro ogni cespuglio. Poi il destino ha voluto che entrassi nei paracadutisti della Folgore e anche lì il nemico era uno solo, ben chiaro e definito: i russi. Dai paracadutisti, dopo due anni di corsi in ogni ambiente naturale e dure selezioni psico-fisiche (tra cui varie esercitazioni con tanto di simulazione di cattura, prigionia, resistenza agli interrogatori, evasione-fuga e sopravvivenza in territorio ostile), l’esercito mi ha trasformato in un soldato di élite: incursore di quelle che in epoca moderna vengono definite “Forze Speciali”, derivazione anglofona delle Special Forces americane, i famigerati Green Berets divenuti popolari grazie a John Wayne. “Della Folgore l’impeto!” era il nostro motto ufficiale, ma noi amavamo di più quello ereditato dai nostri anziani sabotatori, eredi dei valorosi Arditi della Grande Guerra – “Oltre la morte!” – che esprimeva meglio il nostro atteggiamento sprezzante verso la Signora in nero. Nella mia trentennale carriera negli incursori ho partecipato a un centinaio di esercitazioni in Patria e all’estero che avevano come obiettivo lo sconfiggere il “partito arancione”, termine in codice per designare le truppe dell’Armata Rossa di Mosca. Ho operato per anni al fianco di americani, inglesi, francesi, spagnoli, tedeschi, tutti animati dal medesimo scopo: contrastare un’ipotetica invasione sovietica. Ho studiato per nottate intere armamenti, mezzi ed equipaggiamenti in dotazione ai russi per riconoscerli sul terreno da lunga distanza. La tecnologia era quella degli anni ’80 e tutto si basava sul fattore umano, altro che satelliti e droni…

DOSSARIO | LA PALESTINA: DAL FIUME AL MARE

Il progetto genocida sionista attualmente in corso di esecuzione non contempla soltanto l’annientamento fisico del popolo palestinese, ma mira anche alla cancellazione della sua storia: sostenendo che la Palestina fosse “una terra senza popolo”, il sionismo giustifica l’eliminazione dei nativi e della loro cultura, considerandoli un mero incidente di percorso sulla strada del “ritorno a Sion”. Battersi per la Palestina significa oggi anche impegnarsi a mantenerne viva la storia millenaria.

Nei quattro secoli precedenti la Prima Guerra Mondiale il territorio palestinese fece parte dell’Impero ottomano. Fu un lungo periodo contraddistinto da spirito di convivenza e da prosperità spirituale ed economica, segnato dal riconoscimento della centralità ottomana e dal rispetto delle identità locali garantite dall’impero osmanlı. L’indebolimento del benemerito sistema di governo imperiale – pur coraggiosamente contrastato dall’ultimo grande sultano, Abdülhamid II – fu anche un risultato della modernizzazione, e favorì il progetto sionista di occupazione della Palestina, con la sua pretesa di riduzione della stessa a Stato ebraico. Ma non corrispondono al vero i luoghi comuni secondo cui la migrazione sionista avrebbe occupato un territorio senza popolo, un territorio senza Stato (senza identità politica) o un territorio arretrato e desolato.

Il 4 aprile 2018, alla 7ª Conferenza sulla sicurezza internazionale di Mosca, il ministro degli Affari esteri della Federazione Russa, Sergej Lavrov, ha affermato: “Si ha la netta sensazione che gli Stati Uniti stiano cercando di mantenere in questo immenso spazio geopolitico [il Vicino Oriente] un caos controllato, con la speranza di poterlo utilizzare per giustificare la propria presenza militare nella regione per un tempo illimitato e per dettarvi la propria agenda”. Nihil sub sole novum: nel corso del XIX secolo la Gran Bretagna creò le condizioni per la fondazione di uno Stato-cliente di coloni ebrei in Palestina in funzione della propria strategia di dominio e a difesa delle sue vie di comunicazione commerciali. Col presente studio che qui ha inizio ci si propone di ricostruire le dinamiche storiche e le giustificazioni ideologiche che ispirarono la politica britannica in Palestina.

Sembra che il mondo scopra soltanto oggi il vero volto di Israele, assistendo alla strage e alla pulizia etnica che esso sta perpetrando a Gaza. Il progetto di deportazione della popolazione di Gaza nel Sinai egiziano viene visto come una novità. È la prima volta che autorità ufficiali di Stati e di istituzioni come l’ONU qualificano le azioni di Israele come “pulizia etnica” e “genocidio”. La Corte internazionale di giustizia ha recentemente affermato che a Gaza c’è un “rischio di genocidio”. Orbene, è dal dicembre 1947 che questa pulizia etnica vien attuata dallo Stato ebraico.

Alla luce degli eventi che hanno portato ad una nuova recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, si rende necessaria un’analisi del reale protagonista di questa fase: lo Harakat al-Muqawwama al-Islamiyya, il Movimento di Resistenza Islamico (meglio noto con l’acronimo Hamas), e la sua ala militare (le Brigate ‘Izz al-Din al-Qassam). A differenza della vulgata generale che lo presenta semplicemente come un’organizzazione terroristica, si cercherà di mettere in evidenza come, in realtà, Hamas sia un variegato movimento politico nazionalista e religioso, al contempo riformista e conservatore, in cui buona parte del popolo palestinese ha riposto le proprie speranze di sopravvivenza (sia fisica sia culturale). In questo contesto, il ricorso ad azioni che possono essere definite di stampo terroristico (come la stagione ormai conclusa degli attentati suicidi) deve essere letto in primo luogo come una risposta al terrorismo più o meno istituzionalizzato dello “Stato ebraico”.

La questione palestinese ha rivestito un’importanza cruciale per la politica estera italiana nel Vicino Oriente. Inserita da sempre nella cornice della storica vocazione dell’Italia a ricoprire un proprio ruolo nel Mediterraneo, essa ha rappresentato per il nostro Paese una sfida internazionale di volta in volta differente, a seconda del periodo. Da scenario in cui esercitare un’assertiva politica di potenza, durante il periodo fascista, ad area di crisi entro cui promuovere iniziative di pace e di dialogo, nell’epoca repubblicana. Questo contributo si propone di analizzare l’evoluzione della politica arabo-palestinese dell’Italia, dagli anni ‘20 fino alla fine della Guerra Fredda, e di interpretarne la portata in considerazione dei mutamenti intercorsi sul piano internazionale, avendo a mente la centralità del Mediterraneo e del Levante per una nazione che ha fatto di quest’area geografica l’arena entro cui dare espressione alla propria vita politica internazionale.

Il sionismo è l’ideologia basata sul mito del ritorno del popolo ebraico (ammesso e non concesso che di “popolo ebraico” e di “ritorno” si possa parlare) nella Terra che Yahweh avrebbe promessa al “popolo eletto”; è l’ideologia nazionalista che ha promosso la creazione di uno Stato ebraico nella Palestina storica (dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano) e pretende di giustificare i crimini dello Stato d’Israele. In questo articolo cercheremo di mostrare come il sionismo sia una ideologia e una prassi immorale e disumana; e come l’antisionismo, rifiutando una tale ideologia e la prassi che la accompagna, rappresenti una posizione conforme ad un profondo senso di giustizia.

DOCUMENTI

Trascrizione del discorso introduttivo, tenuto da uno studente siriano, al dibattito che si svolse la sera del 27 marzo 1969 a Padova, nella grande sala della Gran Guardia. Il dibattito, organizzato dall’Associazione per l’Amicizia Italo-Palestinese, dall’Unione Studenti Arabi di Padova e dai Gruppi di Coordinamento con Al-Fatah, con la determinante collaborazione del Gruppo di Ar, fu la prima manifestazione pubblica di solidarietà con la lotta dei Palestinesi che si tenne in Italia. Una sintetica cronaca dell’evento apparve sul numero di aprile de “La Nazione Europea”: “Una grande manifestazione antisionista è stata organizzata, insieme con gli studenti arabi, a Padova, dove la sala della Gran Guardia straboccava di pubblico. I commandos filoisraeliani calati da Venezia hanno dovuto battere in ritirata”. Il discorso introduttivo dello studente siriano fu poi pubblicato in appendice al volume L’aggressione sionista di Maurice Bardèche, François Duprat, Paul Rassinier (Edizioni di Ar, Padova 1970, pp. 117-137).

Claudio Veltri, Cecoslovacchia e lobby sionista, Edizioni Barbarossa, Saluzzo 1988 (esaurito); ristampato in: Autori Vari, Questione ebraica e socialismo reale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2011, pp. 61-79 (esaurito).

RECENSIONI E SCHEDE

Annie Lacroix-Riz, Les origines du Plan Marshall. Le mythe de “l’aide” américaine (Matteo Luca Andriola)

Claudio Mutti, Europa, ridéstati! (Daniele Perra)

error: Tutti i diritti sono riservati.
0
    0
    Il tuo carrello
    Il tuo carrello è vuotoRitorna al negozio