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XXI – USA: egemonia e declino

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Gli USA si trovano sul crinale di una decisione epocale: accantonare il progetto di supremazia mondiale oppure insistere nel disegno egemonico e rischiare la loro stessa sopravvivenza come nazione. L’una o l’altra opzione sarà dettata dai rapporti tra i gruppi di pressione che condizionano la politica estera statunitense e dall’evoluzione del processo multipolare.

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Descrizione

EURASIATISMO

Questo saggio si propone di mostrare, anche tramite una sintetica esposizione della filosofia teoretica di Giorgio Colli, non solo che al pensatore torinese si deve il merito, grazie alle sue doti di “filologo meditante”, di avere compreso il nesso profondo tra misticismo e logica nella “sapienza greca”; ma anche e soprattutto che il modo in cui Colli interpreta il pensiero dei Presocratici – un’interpretazione non a caso caratterizzata da molteplici e significativi riferimenti alla filosofia indiana – è di fondamentale importanza per l’eurasiatismo, se è vero che “Eurasia” è in primo luogo un “concetto spirituale”. In questa prospettiva, poco importa che Colli non possa essere definito un “eurasiatista”, o il fatto che, con ogni probabilità, lui stesso avrebbe rifiutato di definirsi tale. Ciò che conta è il cammino che il suo discorso filosofico indica, di modo da potersi lasciare definitivamente alle spalle obsolete ed “incapacitanti” dicotomie.

DOSSARIO: USA

Lo scopo di questo saggio è individuare i vari elementi propri della geopolitica classica degli Stati Uniti d’America. Nel suo percorso si riflette sulle caratteristiche spaziali ritenute maggiormente rilevanti, allo scopo di delineare gli aspetti tradizionali della geopolitica nordamericana, più che focalizzarsi sugli attuali affari internazionali; ciò malgrado si conclude con alcune osservazioni circa la geopolitica statunitense e mondiale contemporanea.

Gli odierni Stati Uniti d’America, in origine, erano un insieme slegato di colonie d’una piccola isola sottosviluppata; eppure, nel giro di pochi secoli, sono divenuti la prima ed unica superpotenza mondiale. In questo saggio si ripercorrono le ragioni geopolitiche e strategiche che condussero alla nascita delle tredici colonie originarie, alla loro indipendenza ed espansione in Nordamerica; si esamina quindi l’ascesa degli USA e del loro impero informale, e come il passaggio dall’isolazionismo all’egemonismo, che non era ineluttabile, li stia portando a perderlo.

Alla fine della prima decade del XXI secolo, è opportuno situare gli Stati Uniti d’America nel contesto della realtà politica, economica e soprattutto geopolitica del mondo. A tutti gli osservatori imparziali è chiaro che quel colosso emergente che, nel 1941, l’editore di “Time-Life” Henry Luce proclamò essere all’alba del “Secolo Americano”, è oggi, nel 2010, una nazione ed una potenza i cui fondamenti stessi stanno sgretolandosi. In questa breve rassegna si esamina la precisa natura di questa disgregazione e le sue implicazioni.

Gli Statunitensi non sono più in grado di riconoscere le loro carenze e vulnerabilità: si comportano come se ancora controllassero il mondo intero, quando in realtà hanno perso gran parte della loro autonomia di fronte a corporazioni multinazionali che controllano l’economia e ad entità nazionali o transnazionali con cui sono indebitati. Ai debiti finanziari si aggiungono quelli politici, contratti con nazioni rese insicure dalla politica di forza degli USA: l’Iraq, l’Afghanistan, Israele, la Palestina, la Somalia, il Ruanda ed anche l’Europa. In questo saggio si spiega come il potere sia la droga che sta distruggendo gli USA, e come il “Nuovo Secolo Americano” sia finito ancora prima di cominciare.

L’idea – su cui già Keohane richiamò l’attenzione – che la potenza, piuttosto che sui tradizionali attributi della forza militare e della ricchezza, si basi ora sull’influenza delle idee, sull’abilità nell’impiego di mezzi quali la persuasione e la cooptazione, nonché sull’abilità di manipolare la comunicazione di massa, è utile ai fini dell’analisi proposta in questo saggio, nel quale si cerca di comprendere come, dopo la fine del sistema bipolare, si siano sviluppati ed evoluti i rapporti fra le due ex superpotenze mondiali, USA e Russia, passando per le tappe di 4 trattati sul disarmo atomico.

L’inizio dello sviluppo di una flotta militare moderna da parte della Repubblica Popolare di Cina ha sollevato una seria inquietudine a Washington ed aggiunge un ulteriore elemento di tensione alle relazioni reciproche. All’orizzonte si profila il potenziale pericolo di un antagonismo navale tra i due giganti che potrebbe rappresentare uno degli elementi più seri e significativi per l’ordine internazionale del XXI secolo. In questo saggio si dà conto della scelta cinese di proiezione marittima, delle tappe della modernizzazione della flotta, dell’importanza che può assumere l’antagonismo navale sino-statunitense nel prossimo futuro.

Le relazioni israelo-statunitensi sembrano di nuovo al bivio: ago della bilancia i nuovi negoziati per raggiungere la tanto auspicata pace nel Vicino Oriente. A Washington si respira un’aria tesa, la previsione di dodici mesi di trattative allontana il pericolo di un eventuale immediato esito fallimentare, ma pone problematiche attuali in merito allo stato del confronto internazionale. Gli Usa saranno finalmente in grado di far valere la loro posizione di forza come mediatori risolutivi? L’isolamento regionale di Israele rischia di acuirsi a seguito del cieco perseguimento di strategie nazionalistiche? Siamo davvero vicini al “grande compromesso” e alla quiete dopo una tempesta lunga decenni?

La presidenza di G.W. Bush Jr. è stata fortemente influenzata da un movimento politico, comunemente noto con il termine di neoconservatorismo, sorto a partire dagli anni sessanta e già influente durante la presidenza di Ronald Reagan. I neoconservatori hanno ispirato in particolare la recente politica nordamericana nel Vicino Oriente. L’ultimo decennio, per quanto concerne la politica israeliana, è stato caratterizzato dal rafforzamento del partito di destra, il Likud, fin dalla sue origini poco incline a una qualche forma di compromesso con il mondo arabo. Questo saggio propone un confronto tra neoconservatorismo statunitense e neorevisionismo israeliano, individuandone le numerose affinità.

Questo articolo presenta un’interpretazione critica della “lotta alla droga” condotta dagli Stati Uniti in Afghanistan dal 2001, in contrasto con la visione convenzionale proposta da alcuni autori più rappresentativi. Mentre l’interpretazione convenzionale dà per assodato che gli Stati Uniti stanno portando avanti in Afghanistan una lotta alla droga finalizzata a ridurne il consumo in Occidente e ad indebolire i Talebani, che sono intrinsecamente legati al traffico di narcotici, nel corso dell’articolo si argomenterà che in realtà ci sono pochi segni di una reale e concreta lotta alla droga da parte di Washington. La retorica della lotta alla droga è perlopiù motivata dalla necessità di giustificare l’intervento militare in Afghanistan e la lotta ai gruppi insurrezionali che si oppongono all’egemonia americana nella Regione, piuttosto che da una genuina preoccupazione per le droghe in sé.

La regione sudamericana oggigiorno è uno scenario geostrategico di grande importanza, e sempre di più lo sarà in futuro, per la corsa alle risorse (petrolio, gas e acqua dolce) e il decollo del Brasile come potenza regionale e mondiale. Il Sudamerica deve guardare con preoccupazione alla ritirata degli Stati Uniti da quelle regioni nelle quali ha difficoltà, come l’Iraq e l’Afghanistan, e da quelle nelle quali la Russia e la Cina hanno praticamente sconfitto la sua influenza, perché ciò riapre la possibilità che torni a guardare verso il suo cortile di casa e il suo mare nostrum (i Caraibi).

L’offensiva contro l’euro, attuata dai mercati finanziari durante i mesi di aprile e maggio 2010, non è semplicemente un episodio della guerra economica tra i due Continenti. Essa è in realtà il sintomo di un mutamento geopolitico. L’iniziativa degli USA, volta a destabilizzare l’UE, è stata condotta con la partecipazione delle istituzioni europee stesse che hanno sacrificato l’euro al fine di ristrutturare il debito greco. Questa convergenza conferma, da parte dei due protagonisti, la scelta già effettuata di integrare l’Unione Europea in un futuro grande mercato transatlantico.

Il gasdotto “Nabucco”, voluto dagli USA, risponde a scelte più di carattere politico che economico, ed ha in sostanza come precipua finalità quella di evitare il territorio russo e quindi contrastare gl’interessi di Mosca; ma la scelta del “Nabucco” potrebbe essere pericolosa per la stessa sicurezza energetica dell’Unione Europea. La scelta del “South Stream” da parte dell’Italia assume una valenza strategica oggettiva. Il saggio valuta sul lungo termine il peso strategico di questa opzione nel complesso del dialogo UE-Russia.

A più di 60 anni dalla fine della II Guerra Mondiale, l’Europa stenta a recuperare la propria autonomia politica e militare. Ciò è principalmente dovuto all’occupazione forzata che ancora subisce da parte degli Usa tramite la Nato, l’alleanza militare sorta nel 1949 e che con il passare del tempo è diventato il vero e proprio braccio armato del Pentagono. Durante gli anni della Guerra Fredda Washington giustificava questa presenza con la necessità di difendere i propri interessi contro eventuali attacchi della Armata Rossa e del Patto di Varsavia. Oggi che questo pretesto appare sempre più anacronistico, dalla Casa Bianca continuano a sostenere la necessità di questa militarizzazione forzata trincerandosi dietro lo spauracchio rappresentato dal presento terrorismo islamico. Questa presenza determina anche vari problemi, riassunti in questo saggio.

Stando ad alcune fonti, nei primi mesi del 1992 il governo statunitense elaborò una sofisticata operazione economico-finanziaria, servendosi dei fondi dei contribuenti americani, per scopi non confessabili. Il denaro, teoricamente stanziato per un’operazione “umanitaria” nella Bosnia Erzegovina, sarebbe poi stato utilizzato in gran parte per finanziare la campagna elettorale di Bill Clinton e per pagare i debiti contratti dal finanziere saudita Adnan Kashoggi con l’ufficio di approvvigionamento del JNA (Armata Popolare Jugoslava), ma ritornò poi in circolazione per essere impiegato nelle più svariate operazioni economico-finanziarie.

All’origine dell’aspirazione nordamericana di “assicurare la democrazia nel mondo” c’è soprattutto il messaggio biblico. Checché ne dicano molti critici europei degli USA, gl’interventi militari statunitensi non hanno mai avuto quale unico obiettivo l’imperialismo economico, bensì piuttosto il desiderio di diffondere nel mondo la democrazia nordamericana. Chiunque osi sfidare militarmente gli USA corre il rischio d’essere espulso dalla categoria d’umanità o, quanto meno, d’essere bollato come terrorista. Una volta che la si sia dichiarata estranea al genere umano o terrorista, d’una persona come d’una nazione si può disporre a proprio piacimento. L’elemento ideologico nella storia della politica estera statunitense è descritto in questo saggio, versione riveduta e corretta dell’omonimo capitolo del libro Homo Americanus: Child of the Postmodern Age (2007).

In questo saggio si affrontano tre questioni: la prima riguarda le origini dell’ideologia occidentale, un’ideologia segnata dall’individualismo possessivo, dalla libera impresa, dallo sfruttamento intensivo della natura e che, con zelo missionario protestante, rivendica validità universale per questi princìpi. Dopo di che ci si rivolge ad osservare come il neoliberalismo sia emerso quale espressione più radicale dell’ideologia occidentale, ed abbia permesso al capitalismo di divenire una macchina da truffa in cui è stata tratta l’intera economica mondiale degli ultimi trent’anni, e che solo ora ha subito una battuta d’arresto. Infine, sono proposti alcuni lineamenti di sviluppo tramite i quali l’Ucraìna, e forse Russia, Bielorussia, Kazakistan ed altri, potrebbero rompere coll’attuale strategia di pedissequo adattamento all’economia neoliberale, che ha fatto loro sì gran danno, e smetterla d’assorbire l’ideologia occidentale così aliena dalle loro tradizioni, per avviare invece una strategia comune che unisca la loro esperienza unica con la forma d’uno Stato multinazionale e con elementi d’economia pianificata, di cui loro più di chiunque altro conoscono pregi e difetti.

Negli Stati Uniti l’idea (assolutamente minoritaria) che il diritto internazionale non esista e quella (più diffusa) che le norme internazionali consuetudinarie vincolino solo gli Stati che le accettino trovano una radice comune nell’improprio paragone tra realtà (e diritto) internazionale e realtà (e diritto) interno che, a sua volta, è diretta conseguenza del positivismo austiniano che, non cogliendo l’autonomia della realtà politica e giuridica internazionale rispetto a quella interna, erroneamente usa logiche, metodologie e categorie del diritto interno per analizzare quello internazionale. Un esempio di questo modus procedendi viene da J. Bolton, che nel domandarsi se «Is There Really “Law” in International Affairs?» conclude che «international law is not law». In questo saggio si sviluppa una critica teorico-generale ed empirica della sua tesi.

Le forze strategiche statunitensi, non costituendo più dal 1990 la spina dorsale della potenza militare statunitense, ruolo passato invece alle forze di proiezione (Portaerei, divisioni aerotrasportate e dei marines, aviazione tattica), ha subito un notevole ridimensionamento qualitativo e soprattutto quantitativo. Ma tale riduzione è stata venduta efficacemente sul tavolo delle trattative internazionali sul disarmo nucleare. Con la recente ratifica del trattato START II, le forze strategiche statunitensi si stabilizzano su 500 ICBM a testata singola; su 14 SSBN dotati ognuno di 24 SLBM; e infine su 96 bombardieri strategici. Il deficit di bilancio, le spese per le guerre in Iraq e Afghanistan, la priorità ad altri programmi, tra cui il cosiddetto scudo antimissile di teatro, e la crisi finanziario-economica degli USA, probabilmente stroncheranno i già residuali programmi di ammodernamento dell’arsenale strategico degli USA.

Intervenendo nel dibattito parlamentare che avrebbe conferito un crisma democratico all’adesione italiana al Patto Atlantico, il segretario del PSI faceva osservare come l’inclusione dell’Italia tra i Paesi atlantici violasse le più elementari norme della geografia e della storia. Egli contestava inoltre le giustificazioni politiche di tale adesione: associandosi alla superpotenza statunitense, l’Italia, che è “in confronto agli USA ciò che San Marino è in confronto all’Europa”, anziché trovare una garanzia d’indipendenza avrebbe ulteriormente ridotto la propria sovranità, già gravemente limitata dallo statuto internazionale che i vincitori del secondo conflitto mondiale le avevano imposto.

Nei vent’anni trascorsi dalla Prima Guerra del Golfo ad oggi amministrazioni diverse si sono susseguite alla Casa Bianca, imprimendo diverse direzioni alla politica estera americana. A parte ciò, questi sono stati anni determinanti di un nuovo corso storico, che dalla Guerra Fredda si è aperto le porte su una realtà le cui sfaccettature furono a lungo nascoste, e alimentate, dalla cortina di ferro che divise il mondo. Per gli Stati Uniti si aprirono ampie prospettive: essi si comportarono come se sapessero di poter raggiungere un primato, fino a spingere quella condizione nella ricerca quasi spasmodica di un potere globale. La multipolarità della scena internazionale è emersa con forza nella riaffermata presenza di altri attori, tra cui russi, cinesi, europei, e così la prospettiva è ora quella di difendere un vantaggio e non di guidare il mondo.

INTERVISTE

Roberto Pelo è il direttore dell’ufficio di Mosca dell’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE) e coordinatore della rete degli uffici ICE in Russia, Armenia, Bielorussia e Turkmenistan.

Livio Filippo Colasanto è primo direttore generale aggiunto di Rusenergosbyt-Enel.

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