Nel 2001 la banca d’affari statunitense Goldman Sachs fu tra le prime a rendersi veramente conto del mondo che stava cambiando. Coniò il termine BRIC per indicare i quattro principali Paesi emergenti (Brasile, Russia, India e Cina), e da allora, anche se non ce ne rendiamo conto, un po’ le nostre vite sono cambiate. La centralità nel mondo dei Paesi sviluppati (USA, Europa e Giappone in particolare) non è venuta meno, ma ci siamo resi conto di non essere poi così soli al mondo: anche e soprattutto nelle scelte di geopolitca che investono le dinamiche internazionali.
E, come già affermato, forse con sorpresa e preoccupazione, osserviamo che il fenomeno della globalizzazione non per forza significherà americanizzazione o predominanza dei Paesi industrializzati sul resto del mondo.

Le nuove economie (in Asia, i Sud America e in Est Europa) hanno sui sistemi economici delle economie evolute impatti non trascurabili.
In senso negativo, si pensi agli effetti delle crisi finanziarie dei mercati asiatici, ai rincari e alla scarsita’ delle materie prime (ad esempio acciaio, alluminio, rame,…) e risorse naturali (petrolio e derivati), dovuti alla forte domanda proveniente dai Paesi emergenti. In senso positivo i tenori di vita alti e le inflazioni relativamente basse nei Paesi sviluppati, nonostante un livello di consumi alto è in buona parte spiegabile con la delocazzazione delle produzioni in Paesi dal costo decisamente inferiore. Se, per esempio, il cittadino americano medio, ma anche l’europeo, può mantenere alti livelli di qualita’ della vita (precisando che si intende solo dal punto di vista dei consumi), lo deve non solo alla sua ‘generosa’ propensione all’indebitamento, bensì alla nuova fattispecie del ciclo acquisti: comprando la stragrande maggioranza dei prodotti di uso quotidiano presso le grandi catene distributive low-cost (si pensi a Walmart), sta acquistando all’ 80% manufatti realizzati in Cina.

I Paesi del BRIC all’interno del gruppo delle economie emergernti rappresentano le realtà più importanti e tra le più dinamiche. I loro PIL aggregati sono passati da una quota del 16% nel 2000 al 22% nel 2008 della produzione mondiale. Insieme rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale (42%). Detengono il 40% del valore delle riserve valutarie mondiali (circa 2,8 miliardi di dollari, anche se in realtà la maggior parte appartiene alla Cina). Le aspettative per il futuro sono parimenti impressionanti. Ci si attende che raggiungano i 2 miliardi di cittadini (di cui la maggioranza sarà la nuova classe media entro il 2030). E sempre Goldman Sachs prevede che il PIL dei Paesi BRIC superi quello dei G7 entro vent’anni (o addirittura dieci, secondo le analisi previsionali).

Tuttavia occorre riflettere sulla valenza intriseca del termine BRIC. Rappresenta un aggregato stabile di Paesi con una visione comune, obiettivi e strategie condivise e omogeneita’ di caratteristiche oppure una pura semplificazione di realtà eterogenee e disgiunte?
Il tema è sicuramente dibattuto. I Paesi del BRIC hanno manifestato la volontà di coalizzarsi e svilupppare politiche comuni. Per promuovere lo sviluppo e la crescita economica e combattere la povertà interna hanno realizzato una dichiarazione congiunta nella quale si afferma il desiderio di “sviluppare una cooperazione tecnica e finanziaria con il fine di realizzare uno sviluppo sociale ed economico sostenibile (includendo welfare state, protezioni sociali, tutela dei lavoratori e in generale politiche del lavoro )”
Il tema di condivisione degli intenti e la vera sfida da affrontare e’ proprio questa: porre le condizioni per uno sviluppo economico sostenibile con focus sul miglioramento delle condizioni sociali dei propri cittadini. Traghettare modelli sociali superati verso economie moderne e creare una nuova classe sociale, il ceto medio, benestante e con garanzie di tutela sociale.
Per sviluppare una proficua cooperazione in tale direzione i Paesi del BRIC si sono incontrati ancora in aprile a Brasilia per il loro secondo Summit.

I più critici commentatori vedono però in tali azioni una mancanza di visione comune e l’assenza delle pre-condizioni per poter realizzare progetti comuni.
Fra gli altri Joseph S.Nye. L’ illustre professore di Harvard ed ex assistente al segretario della difesa statunitense afferma che “BRIC è solo un termine enfatizzato e continuamente riproposto dai giornalisti, ma privo di un concetto e valore intrinseco. E’ stato inventato da Goldman Sachs con l’unico scopo di portare alla attenzione dei più le profitable opportunitites nei mercati emergenti”, E forse anche per ricordare i rischi connessi all’affermarsi delle nuove economie. E continua: “A seguito del loro primo incontro nel giugno del 2009 a Ekaterinburg con l’obiettivo di trasformare un acronimo in una forza politica internazionale, a parte poche dichiarazioni di intenti, fra cui la critica al sistema finanziario mondiale, dominato e determinanto da una unica valuta, poco e’ stato realmente fatto”.
Alcuni importanti argomenti sono in realtà stati messi sul tavolo, tra cui prime discussioni sui sistemi finanziari, su come affrontare congiuntamente la lotta al terrorismo, il tema delle risorse alimentari, energia, cambiamenti del clima e ambiente, e sviluppo sostenibile. Tuttavia accordi e piani attuativi non sono stati realizzati ancora.

Inoltre i Paesi BRIC rimangono fortemente divisi ed eterogenei. India e Cina, pur presentando notevoli differenze per quanto riguarda la stuttura politica e sociale, cultura di appartenenza e costumi, sembrano simili per molti aspetti: la velocita’ di crescita e l’approccio allo sviluppo tipico da Paese emergente. Per converso, secondo il Prof. Nye ha poco senso includere la Russia nel gruppo preso in considerazione. Non e’ un Paese in via di sviluppo bensi’ una ex super-potenza. La sua popolazione non e’ cosi’ numerosa, il livello educativo medio e’ decisamento superiore e il reddito pro-capite e’ molto piu’ alto. Inoltre a sua economia non sarebbe in crescita bensi’ in declino e secondo le parole dello stesso presidente Medvedev, “necessita urgentemente di una politica modernizzatrice”.
Il Brasile è stato invece una sorpresa, dall’introduzione delle riforme degli anni novanta, la crescita è stata sostenuta (intorno al 5%). La sua inclusione a suo tempo nell’acronimo BRIC rappresenta una felice intuizione di Goldman Sachs.

Che il termine BRIC sia appropriato e corretto nell’unire popoli di cultura e obiettivi diversi, rimane una questione aperta. Il prof. Nye direbbe che serve solo come indicatore di opportunita’ economiche (e che addirittura sarebbe piu’ corretto sostituire la Russia con l’Indonesia).

Conclusioni
A nostro avviso, accanto alle forti diversità, nei BRIC sono presenti elementi in comune importanti: territori sterminati e popolazioni numerose con ampi margini di miglioramento in termini di condizioni sociali, tenore di vita e dove non va dimenticata la presenza ancora oggi di gravi disugualglianze .
Non è sicuro se vorranno e riusciranno a delineare un percorso comune di crescita e ad affermarsi come entita’ unica nello scacchiere internazionale.
In ogni caso, la valenza del termine coniato servira’, quasi sicuramente, a ricordarci le iniziali dei Paesi che unitamente o per conto proprio, al fianco di USA, Europa e Giappone (alcuni addirittura affermano in sostituzione) sempre piu’ incideranno sulle dinamiche internazionali. In sintesi, e’ un monito a non sottovalutare l’influenza sui sistemi economici e sociali occidentali dello sviluppo di queste economie. Ed e’, come inteso da nella sua definizione originaria, anche uno stimolo a ricordarsi delle opportunita’ che si stanno aprendo.


Pechino – 22 Giugno 2010


*Emanuele C.Francia, manager e consulente, ha seguito per diverso tempo le operazioni cross-border per numerose imprese italiane in Europa e Stati Uniti. Da alcuni anni vive a Pechino ed e’ co-fondatore e partner di Emasen Consulting, una societa’ di consulenza specializzata nei processi di internazionalizzazione e supporto alle imprese italiane. Scrive su alcune riviste scientifiche di geopolitica, economia e managemnt e collabora con alcune universita’ sia in Italia che in Cina nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento


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