La maggiore intelligibilità dei grandi rivolgimenti geopolitici che si stanno dipanando sotto i nostri occhi, oltre il loro impatto di “superficie”, passa dalla calibrazione di opportuni strumenti di osservazione e di interpretazione della fase storica, grazie ai quali saremo in grado di leggere, con meno incertezza, il dipanarsi degli eventi davanti a noi.

In questo momento l’analisi teorica e la ricerca scientifica devono essere ben puntate su quella sfera sociale nella quale i cambiamenti stanno originandosi. È in quest’ultima che “precipitano” quegli avvenimenti dirompenti che, a breve, potrebbero trasfigurare la morfologia dell’intero mondo capitalistico rendendolo irriconoscibile al vecchio sguardo.

Il motore della storia si è rimesso in moto nella sfera politica ed è da essa che oggi si diramano gli impulsi trasformativi che poi si estendono via via a tutti gli altri ambiti sociali.

In una frase di V. Putin, pronunciata nel 2000, con riferimento alla situazione del suo Paese, ma che va estesa ad ogni singola formazione sociale, viene chiarito più che mai il quadro sociale generale: “la chiave della rinascita e del rinnovamento della Russia si trova nella sfera [geo]politica”.

La partita si gioca a questo livello, cioè al livello del conflitto mondiale per gli spazi di “sopravvivenza” e di “sicurezza” che sta accelerando il processo di dissolvimento dei precedenti equilibri sistemici. Abbiamo già descritto questa fase come passaggio dall’unipolarismo, caratterizzato dall’assoluto predominio statunitense, al multipolarismo, contrassegnato dal recupero in potenza di alcuni paesi che si accreditano quali possibili concorrenti degli Usa, fino al prossimo policentrismo che sarà contraddistinto dallo scontro aperto per la dominanza tra aree e blocchi di paesi in crescente competizione.

Dal punto di vista ideologico, il conflitto per la supremazia assume le sembianze di uno scontro di civiltà, ma sotto questa percezione “etica” e culturale si cela una ben più pregnante alterazione sociale attinente al passaggio tra la cosiddetta formazione capitalistica dei funzionari del capitale di matrice americana ad un’altra tipologia riproduttiva, sulla quale ancora poco si può dire sennonché  anch’essa si baserà sullo sviluppo dell’impresa e del mercato, combinate però con un maggiore decisionismo politico (secondo il modello russo e cinese).

Stando così le cose, si coglie maggiormente la portata della posta in palio nella disputa strategica che si è aperta lungo le direttrici degli approvvigionamenti e della distribuzione delle materie prime e delle risorse energetiche. Nelle zone dove queste sono concentrate, l’instabilità arriva al parossismo scoprendo i punti nevralgici e gli snodi conflittuali che favoriranno lo sbilanciamento dei rapporti di forza tra le potenze, fino a tracciare distintamente i confini di quel teatro geopolitico dove lo scontro policentrico potrà portare finalmente in scena la trasformazione del mondo.

Nulla a che vedere, dunque, con quella dettatura “a tavolino” delle regole d’aggiustamento sistemico auspicate dai principali attori internazionali di fronte alla crisi (che è tanto economica che politica), quale base per un diverso sistema di governance internazionale. Quest’ultimo, nei fatti, sta già nascendo, indipendentemente dalla loro volontà, essendo il prodotto di quel conflitto strategico interdominanti che va lentamente spostando il centro del predominio mondiale dagli Usa verso altre formazioni.

E non è casuale che i grandi paesi protagonisti dell’assalto al cielo si stiano preparando anche militarmente alla nuova situazione. La recente dottrina di sicurezza russa – pubblicata nel maggio 2009 – definisce apertamente la corsa per il controllo delle fonti energetiche quale elemento cruciale per la solidificazione di differenti assetti di potere ed individua nelle zone del Caspio e dell’Asia centrale quelle prossimamente coinvolte nella più intensa instabilità geopolitica.

L’ultima concezione strategica della NATO, per gli stessi motivi, ha integrato la variabile energetica tra i fattori strategici principali della fase a venire, tanto da orientarsi alla massima securitizzazione degli spazi dell’area post-sovietica attraverso l’allargamento della NATO e l’impianto di basi militari nei paesi dell’estero prossimo russo. Benché Obama abbia annunciato di voler rinunciare allo scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca,  ciò non significa che vi è un generale arretramento dell’aggressività statunitense nei confronti di Mosca. Esistono tante altre strade per ottenere gli stessi risultati con meno dispendio di forze militari ed economiche.

Ma i russi sembrano al momento in vantaggio sul versante della politica energetica, come elemento per veicolare interessi geopolitici, e non accennano ad abbassare la guardia sulle aree strategiche di loro pertinenza, come ribadito dal presidente dell’Accademia delle scienze militari di Mosca, generale Gareev: “Les facteurs…énergétiques constitueront, dans les dix ou quinze prochaines années, la principale cause des conflits politiques et militaires. La lutte pour les ressources sera portée à son paroxysme, générant une confrontation politique et économique. On ne peut exclure, sur ce terrain, la possibilité d’une confrontation militaire” .

Per queste ragioni, gli statunitensi puntano ad isolare Mosca dal resto del mondo e, soprattutto, dai paesi europei che possono diventare una sponda efficace per tali programmi. Il Cremlino, attraverso gli accordi bilaterali (ed è l’unica maniera per aggirare le burocrazie dell’UE completamente schiacciate sulla partnership con gli Usa) con paesi come l’Italia, la Germania, ed ora anche la Francia, sta ottenendo buoni risultati, almeno in materia di energia. Si tratterà col tempo di convertire il potenziale accumulato per via economica in strategia politica comune, e nel comune interesse di tutti i partner i quali dovranno far fronte alla crescente ostilità degli Usa che si inasprirà in conseguenza della loro debolezza e della loro impossibilità a dominare un’architettura mondiale non più corrispondente ai reali rapporti di forza tra le nazioni.

Il vecchio ordine, a dominanza statunitense, ha dimostrato di non poter ancora reggere per molto, ma gli Usa non vogliono rinunciare (com’è ovvio che sia) alla costruzione geopolitica che li ha proiettati alla testa del pianeta per più di mezzo secolo (compresa la parentesi della condivisione del globo con l’URSS). E’ questo il dato principale che farà del mondo un posto sempre meno sicuro.



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