A partire dalla crisi del 2008, è stata devoluta grande attenzione da parte dei regolatori del sistema finanziario al rischio sistemico, ovvero la possibilità che qualche evento potesse causare la crisi dell’intero sistema bancario e non solo di una singola banca. Migliaia di pagine di regolamentazioni finanziarie sono state stese in proposito, e un gran numero di discorsi sono stati fatti sull’argomento, in particolare su come adesso abbiamo appreso il pericolo della filosofia “too big to fail” (Troppo grande per fallire) e pertanto il rischio di un crash finanziario come quello del 2008 non possa ripetersi nuovamente. Non c’è bisogno di dire che queste tesi sono senza senso; il rischio sistemico è più elevato ora rispetto al 2008. In aggiunta, la prossima crisi sarà quasi certamente peggiore dell’ultima.

Il problema principale addotto dalla legislazione del “Troppo grande per fallire” è l’idea che alcune banche sono così espanse che il loro fallimento possa causare un collasso economico catastrofico che debba poi essere pagato a tutti gli effetti dai contribuenti con le loro tasse. Non vi sorprenderà, però, sapere che per me questa non è la questione centrale.

Un gran numero di rischi nel sistema bancario dei giorni nostri sono presenti in un vasto numero di enti, tutti altamente interconnessi tra loro e sempre più dipendenti l’uno dall’altro. In tal maniera, il fallimento di un’istituzione di media grandezza, se sufficientemente connessa al sistema nella sua globalità, potrebbe avere implicazioni sistemiche. Allo stesso tempo, più o meno tutte le banche usano sistemi di management del rischio molto simili (e spuri), mentre la leva finanziaria, sono entrambe aperte ma più pericolosamente nascoste, è elevata in tutto il sistema. Una politica monetaria folle risulta folle per tutti e se dovesse accadere un disastro tecnologico, questo si ripercuoterebbe anche sui software usati da una gran parte dei sistemi bancari nella loro totalità. Ci sono un buon numero di ragioni per dissolvere i grandi agglomerati di banche, ma dissolverli in una maniera fine a se stessa, non risolverebbe il problema del rischio sistemico.

Il rischio sistemico è stato esacerbato dalla finanza moderna per diverse ragioni: l’interconnessione elevata del sistema è una di queste ragioni, dal momento che è un intreccio di contratti derivativi che arrivano ad un totale nominale di 710 miliardi di $, che si interseca per tutti gli enti mondiali (dato aggiornato a dicembre 2013 secondo i calcoli della BIS – Bank for International Settlements, ndt).

Alcuni di questi contratti come quello relativo ai 584 miliardi di $ di interest rate swaps (CDS) e options hereon, hanno un rischio potenziale quasi elevato come il loro ammontare nominale. In aggiunta, ci sono 25 miliardi di $ di contratti “non allocati”. Il mio sonno e reso irrequieto dal pensiero che il 150% del prodotto interno lordo degli USA (GDP) è situato in contratti che i regolatori del sistema non riescono a “definire”

Il problema è anche reso peggiore dalla non liquidità di molti di questi strumenti. Un tipo di derivati esotici con una maturazione a lungo termine che è probabile scambiare davvero raramente una volta che il flusso di creazione iniziale è terminato. Questi rischi sono alleviati dai contratti standard trading relativi ai cambi. Ma anche se il management di rischio delle banche fosse buono, il fallimento, Dio non lo voglia, di una maggiore controparte o di un exchange, causerebbe un disastro sistemico a causa delle strette interconnessioni.

Un altro rischio sistemico reso potenzialmente peggiore dalla moderna finanza è quello relativo ad un inadeguato management di rischio. Il management di rischio non è per nulla differente rispetto a quello del crash del 2008. Più di tre anni dopo il crash (e quasi due anni dopo che Kevin Dowd e io avevamo analizzato i suoi fallimenti nel management risk in “Alchemists of Loss”), J.P. Morgan stava ancora utilizzando una variazione sul Value-at-Risk per amministrare le posizioni dei suoi indici CDS nel disastro di London Whale. J.P. Morgan riuscì a “sopravvivere” a quell’episodio, ma da una prospettiva di risk-management, per nessuna logica ragione, le perdite avrebbero potuto essere di 100 miliardi di $, come anche di 2 miliardi di $, cosa che non avrebbe permesso loro di “sopravvivere”. I regolatori del sistema non hanno fatto niente per risolvere la questione. Invero, la nuova regolamentazione Basel III continua a permettere alle più larghe banche di disegnarsi da sole il proprio sistema di risk-management, una ricetta per il disastro sicuro.

Potreste pensare che il management di rischio, sia almeno un problema esacerbato dalla stazza delle banche “troppo grandi per fallire”: in realtà, non è del tutto così. Ogni banca commetterà i propri disastri di trading, alla stessa maniera un ritorno a banche più piccole diminuirebbe la grandezza dei disastri di trading, rendendoli però non meno frequenti, sarebbe sicuramente un miglioramento (e i successore della London Whale sarebbero meno portati alla megalomania e ai tentavi di controllo dell’intero mercato). Dall’altra parte, se il mercato nel suo complesso fa cose non contemplate nel sistema di management di rischio – come in David Vinar, Goldman Sachs “25 movimenti di deviazioni standard, in fila per diversi giorni” nell’anno 2007 – dal momento che tutte le banche usano sistemi di rischio simili con simili andamenti, sono tutte portate naturalmente a collassare nello stesso momento, producendo un collasso sistemico. Come spiegherò a breve, credo che il prossimo collasso dei mercati possa aver luogo in simultanea in tutti gli asset, senza possibilità di fuga. Così un collasso globale bancario del sistema di management del rischio, che vada ad impattare sulla stragrande maggioranza degli asset, causerà perdite a tutte le banche più importanti. Nessun accumulo di regole potrà mettere ordine in questo campo.

La finanza moderna ha anche reso il sistema di rischio peggiore, a causa della sua incomprensibilità, opacità e velocità. Né i trader e neppure gli analisti quantitativi che disegnano nuovi secondi e terzi ordini di contratti derivativi hanno idea di come quei contratti si comporteranno in una situazione di crisi, dal momento che sono sopravvissuti al massimo ad una crisi e il loro comportamento è stato sia quello di far da leva, ma anche separato dall’attività sottostante o dal gruppo di attività. Le banche non conoscono i rischi delle loro controparti e così non possono valutare la solidità dell’istituzione con cui stanno avendo a che fare. Per quello che riguarda le aree di “fast-trading”, i computer sviluppano algoritmi di trading a velocità elevatissima, così producendo inaspettati “flash-crash” in cui la liquidità scompare e i prezzi salgono in maniera vertiginosa.

L’opacità delle operazioni bancarie è resa peggiore dalle operazioni di tipo “Market to market”, che fanno riportare in maniera assurda alle banche enormi profitti mentre le loro operazioni si deteriorano con la qualità del credito dei loro debiti e il valore di questi debiti diminuisce. Ciò fa sì che i metodi operativi attuali delle banche portino ad una fase discendente, incomprensibile agli occhi degli investitori.

Il problema del “leverage” non è ancora risolto, nonostante tutti i tentativi di controllarlo fatti nel
2008. In aggiunta, gran parte del rischio del sistema finanziario è stato “emarginato” in istituzioni non bancarie come i fondi del mercato monetario, veicoli di cartolarizzazione, veicoli di titoli di credito supportati dagli asset e specialmente, mutui ipotecari REITs (Real Estate Investment
Trusts, ndt), che sono cresciuti molto a partire dal 2008. Questi veicoli sono ancor meno regolamentati delle stesse banche, e ogniqualvolta ci sia stato un tentativo di regolamentazione, è stato fatto in modo errato. Per esempio, sono stati fatti grandi sforzi, con l’appoggio della lobby delle banche, per creare confusione nei Money Market Fund, che da sempre ha solo avuto una perdita inferiore all’1% del valore del fondo. Al contrario, i giganteschi tassi di interesse dei mutui ipotecari REITs, che acquistano mutui ipotecari a lungo termine e si rifinanziano col mercato dei riacquisti, sono più incontrollate e costituiscono un rischio maggiore per il sistema.

Non dobbiamo dimenticare neppure grande ruolo della tecnologia, un sostanziale e crescente contributore del rischio sistemico. Ai nostri giorni le grandi banche sviluppano poco software per loro stessi affidandosi invece a “pacchetti” grandi e piccoli forniti da sviluppatori esterni. Il bug “Heartbleed” dell’aprile 2014 ha mostrato che anche piccoli programmi come OpenSSL, universalmente utilizzato, possono essere attaccati in diverse maniere e risultare molto difficili da difendere e portare così vulnerabilità all’intero sistema bancario. Un hacker con cattive intenzioni nella vasta sfera di influenza russo-cinese, o anche un ragazzo da casa propria, potrebbe produrre un bug in qualsiasi momento in grado di intrufolarsi nei sistemi di protezione comuni alla maggior parte delle banche, danneggiando o anche compromettendo definitivamente il sistema nella sua globalità.

Comunque, il più grande fattore che determina il rischio sistemico e la ragione per cui è peggiore oggi rispetto al 2008, è la politica monetaria: questa si è espansa al di sopra delle proprie possibilità a partire dal 1995, e come effetto ha avuto un boom della finanza ipotecaria tra il 2002-2006, anomalo anche che nelle aree meno prospere e le persone più povere ricevessero più finanze sul mutuo rispetto alle persone ricche. In ogni caso, questo incoraggiamento alla “leva” non è mai stato così grande come nel periodo a partire dal 2009. Come conseguenza i prezzi degli asset sono cresciuti a livello globale e il “leverage” sia aperto, e in maggior parte anche quello nascosto, è aumentato di dimensioni.

In generale, i tassi di interesse molto bassi, incoraggiano a prendersi dei rischi. I regolatori delle politiche monetarie teorizzano fantasiosamente che tutto ciò produrrà molti più “imprenditori da garage”. In realtà, le banche non faranno prestiti agli imprenditori, così, più semplicemente, si produrranno più artisti della speculazione in giacca e cravatta. Il risultato è un incremento del rischio. Quando la politica monetaria è così estrema per molto tempo, il risultato è più rischio sistemico. E’ molto semplice.

Di preciso, sotto quale forma si presenterà il collasso e quando arriverà, non è ancora chiaro. E’ probabile che sarà altamente inflazionistico. Se i 2.7 miliardi di $ di riserve in eccesso nel sistema bancario USA cominciano ad essere dati in prestito, il contraccolpo inflazionistico sarebbe molto rapido. In ogni caso, è anche possibile che la montagna di investimenti errati, conseguenza della politica monetaria scellerata degli ultimi cinque anni, possano collassare sul loro peso senza un aumento dell’inflazione. In qualsiasi caso, il crash del sistema bancario che accompagnerebbe la regressione economica, sarebbe molto più pesante dell’ultimo, perché il prezzo degli asset che lo causa non sarà solo confinato al mercato immobiliare, ma sarà, in misura maggiore o minore, a livello globale.

Dopo tutto ciò, il rischio sistemico sarebbe molto ridotto, principalmente a causa del fatto che non resterebbe molto del sistema bancario.

(Traduzione di: Marco Nocera)

Fonte: http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/GECON-01-170614.html

Articolo completo:
http://www.prudentbear.com/2014/06/the-bears-lair-systemic-risk-isworse.html#.U9Y_Ll69fL8


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