Buongiorno, colleghi.

Penso che la forma più appropriata per esporre fondamentali tesi ideologiche sia sottoporre a valutazione la storia più recente anche dal punto di vista che corrisponde appieno al corso del Presidente, e attraverso questo formulare i nostri principali approcci al passato e a ciò che ci accompagnerà nel futuro.

Mi permetto di prenderla un po’ alla lontana, con alcune osservazioni che potrebbero sembrare astratte. Premetto subito che non parlerò oggi di attualità. Oggi parleremo propriamente delle opzioni ideologiche del partito attraverso l’analisi della storia del passato recente, del presente e del vicino futuro.

Prendendola alla lontana voglio dire che lo sviluppo della civiltà europea, della quale la civiltà russa fa parte, dimostra che l’individuo ha sempre aspirato al benessere materiale, cercando di raggiungere una condizione di vita in cui essere libero e circondato da un mondo giusto. Proprio il successo materiale, la libertà e la giustizia costituiscono i valori fondamentali che condividiamo con i popoli del passato. C’è molto altro, ma tutto deriva da queste tre premesse. Non mi dilungherò sulla storia dell’Europa, anche se ciascuno di voi sa che le fasi evolutive della società europea sono quelle che hanno contraddistinto tutti i popoli. Un numero sempre maggiore di persone ha conquistato l’accesso alle conoscenze, si sono sviluppate le comunicazioni di massa, i sistemi di trasporto e i collegamenti. Un numero sempre maggiore di persone ha cominciato a prendere parte al processo decisionale, evoluzione che ha avuto il proprio culmine nella comparsa delle democrazie di massa, un secolo fa, non molto lontano nel tempo. Vi ricordo che il suffragio universale, il diritto universale di prendere parte alla vita politica, è una conquista recente. Ma siamo tutti d’accordo sul fatto che questa conquista è stata un progresso, e che in queste condizioni la vita è più facile e interessante. Naturalmente, l’individuo che ha accesso alle conoscenze, che può partecipare in misura maggiore o minore (chi più, chi meno) al processo decisionale secondo regole democratiche, questo individuo ha anche una maggiore possibilità di scelta e una maggiore coscienza della propria dignità e del proprio valore. La tecnologia sociale, la tecnologia del potere e la tecnologia dell’organizzazione della società diventano così sempre più complesse, e se vogliamo anche sempre più sfumate e raffinate. La società si sposta gradualmente dalla coercizione alle tecnologie della persuasione, dalla repressione alla collaborazione, da una struttura gerarchica a una rete di collegamenti orizzontali. Ciò non significa che un elemento escluda l’altro, ma in ogni caso l’equilibrio della civiltà contemporanea si sta spostando verso la capacità di persuasione e di convincimento, per far sì che il maggior numero di persone accetti consapevolmente e possibilmente di buon grado questa o quella decisione. In ogni caso non è pensabile una società moderna, costituita – lo ripeto – da persone istruite, intelligenti, evolute, che possa semplicemente essere comandata senza alcuna spiegazione.

Voglio subito porre una domanda: cosa centriamo noi, qui? Nel frattempo gli eventi che descrivo stanno avvenendo. Semplice: la democrazia in Russia è una cosa seria e duratura, e la vita sociale russa inevitabilmente diventerà più complessa con lo sviluppo delle istituzioni democratiche, e sarà necessario che la nostra attività politica dia un’importanza sempre maggiore ai metodi di persuasione e di delucidazione. Per quanto sia paradossale, la società democratica è a mio parere super-ideologizzata, di gran lunga più ideologizzata di quelle totalitarie in cui la paura prende il posto delle idee. Perché laddove diminuisce il potere della forza, aumenta il potere della parola.

E i fondamentali valori della democrazia sono dei “chiodi fissi” piantati in testa ai cittadini degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Francia. Svegliateli nel mezzo della notte e cominceranno a raccontarvi dei diritti dell’uomo e via dicendo. Cosi anche nella nostra e nella vostra vita di tutti i giorni avranno un’importanza sempre maggiore i valori comuni e la capacità di trasmetterli e di sconfiggere l’avversario nello scontro ideologico diretto, contando sempre meno sulle risorse amministrative, alle quali molti amano ricorrere. Tutto questo nel tempo si concluderà, e per riuscire a conservare la propria posizione dominante nel sistema politico (questo è il nostro problema fondamentale) il partito dovrà imparare a padroneggiare più attivamente le consuetudini della lotta ideologica.

Per cominciare sarebbe bene ripercorrere ciò che è accaduto a tutti noi. Noi tutti abbiamo conosciuto l’Unione Sovietica, i difficili anni Novanta, e oggi viviamo e ci prepariamo al futuro. Non abbiamo sviluppato un consenso sociale sulla valutazione degli accadimenti recenti. Di conseguenza, neanche il nostro approccio al futuro è ancora stato elaborato. Propongo di cominciare da noi perché le valutazioni fondamentali diventino un elemento comune, del quale possiamo avvalerci senza esitazioni.

Non svelerò alcun segreto dicendo, ancora una volta ripetendomi, che la Russia è un paese europeo. E per quanto speciale tutti noi la consideriamo, e per quanto strana la considerino coloro che la guardano da fuori, come ha indicato il Presidente nei suoi interventi, noi abbiamo compiuto lo stesso cammino delle altre nazioni europee. Se gettiamo uno sguardo ai secoli passati, sì, vedremo per esempio che nella società occidentale c’è stata la riforma. Ma anche da noi esattamente in quell’epoca vi fu un significativo fermento nella Chiesa, il movimento dei nestjazhateli [settore del monachesimo russo tra il XV e XVI secolo che rivendicava il principio della povertà monacale e della spiritualità ascetica: il termine significa letteralmente “non possessori”, “non avidi”, N.d.T.], e tutto questo si riflette nei documenti storici. L’assolutismo russo raggiunse il culmine contemporaneamente a quello francese. In nulla, qui, siamo migliori o peggiori degli altri. Basti dire che la Russia abolì il commercio degli schiavi perfino prima degli Stati Uniti d’America. Anche il nostro sistema parlamentare non è molto più giovane di quello di altri paesi. Per quanto riguarda il fatto che da noi nel XX secolo nacque uno stato totalitario abbastanza strano, anche qui va ricordato che non eravamo soli, perché anche l’Europa vide la nascita della Germania nazista, dell’Italia fascista, della Spagna franchista… e potrei continuare a lungo. In questo senso non siamo unici e non dobbiamo considerarci alla stregua di reietti ai quali non succede ciò che succede agli altri.

Berdjaev, nostro grandissimo pensatore, già agli inizi del secolo passato disse: “È necessario tendere a una società libera e giusta. Senza libertà non può esserci giustizia. La giustizia esige che ci sia libertà per tutti”. Questo è un pensiero russo, non l’abbiamo preso né da Marx né da Hegel: è nostro. E a tale proposito sarebbe importante capire cosa rappresentava l’Unione Sovietica. Indubbiamente dobbiamo guardare con rispetto a ciò che fecero i nostri padri e i nostri nonni. In nessun modo l’Unione Sovietica merita condanne indiscriminate: fa parte di tutti, dei nostri parenti stretti, e di fatto, anche di noi stessi.

Direi che l’Unione Sovietica è stata protagonista di due grandissime conquiste: da un lato, un potente lavoro ideologico esteso su scala mondiale, nel quale l’Unione Sovietica si basò anche sul concetto di libertà e giustizia. Benché il prezzo che abbiamo pagato sia molto alto, questa potente forza militare, materiale e anche semplicemente morale ha esercitato nel mondo un’enorme influenza della quale oggi ci dimentichiamo. Dimentichiamo come l’Unione Sovietica fosse popolare tra gli intellettuali occidentali più democratici. L’Unione Sovietica grazie ai suoi potenti sforzi ideologici stimolò la lotta al colonialismo, accelerò l’armonizzazione delle relazioni sociali negli stessi paesi occidentali e grazie a questo esercitò un influsso benefico sulla storia mondiale.

Dall’altro lato vi fu l’industrializzazione. Non dimentichiamo che stiamo vivendo dell’eredità lasciataci dall’Unione Sovietica e che finora noi abbiamo fatto ben poco. Le nostre ferrovie, i nostri condotti, le nostre strutture urbane e abitative, le nostre fabbriche, le nostre forze nucleari: tutto questo è stato ereditato dall’Unione Sovietica.

Ciononostante, la società che avevamo allora difficilmente può essere definita libera o giusta. Su questo credo che non sia necessario discutere a lungo: ci troviamo tutti d’accordo.

Il grande problema era anche nel fatto che una tale società chiusa, nella quale i risultati venivano valutati più dal punto di vista partitico e dogmatico che da quello pragmatico, riprodusse una classe dirigente inefficace. In generale, non sorprende che in uno dei momenti più drammatici dello sviluppo dell’Unione Sovietica, ai vertici del potere si trovassero persone di livello non sufficientemente alto. Quando sarebbero stati necessari uomini della statura di Pietro il Grande andò al potere un gruppo di compagni impreparato e poco consapevole delle proprie azioni. Fu una “mina” piazzata all’interno del sistema: non fu in grado di riprodurre un’altra élite.

Il Segretario di Stato Schultz scrive nelle sue memorie di essere stato sconvolto dall’incompetenza dei dirigenti sovietici. Usa dei termini che ora non ripeto per non offendere persone che un tempo governarono il nostro paese.

Questa società non solo non era né libera né giusta. Non ha risolto neanche le questioni concrete, si è apertamente allontanata dai paesi occidentali nel soddisfare le necessità della gente in merito alla qualità della vita. E a chi poteva servire un simile impero che non riusciva a dare ai suoi cittadini né panemcircenses? Appare perfettamente logico che sia crollato.

Il rifiuto di una tale società era inevitabile. Per spiegare il crollo dell’Unione Sovietica non serve tirare in ballo gli intrighi della CIA o un complotto ai vertici del partito. Sarebbe una fuga dalla realtà. Si trattò di un processo oggettivo che, come sappiamo, si mise in moto. Bisogna dire che fu lo stesso popolo russo a scegliere il proprio destino: rifiutò quel modello sociale quando si accorse che lì non c’erano né libertà né democrazia. E tentò di ritornare ai valori democratici, che – faccio notare – erano dettagliatamente sanciti dalla costituzione sovietica. In quel senso l’Unione Sovietica costituì indubbiamente un grandissimo progetto di democratizzazione. Aveva già in sé i rudimenti della democrazia, poiché la dichiarava e la formulava a parole.

E prima o poi queste parole dovevano essere reclamate. Ne conseguirono la perdita di territori, la perdita di popolazione, la perdita di una parte enorme della nostra economia: queste furono le vittime, questo fu il prezzo. Ed è impossibile dire se fu grande o piccolo, ma è quello che il nostro popolo pagò per intraprendere un cammino più sicuro.

Penso che questo cammino non potesse essere semplice, soprattutto perché il paese non era e non poteva essere pronto a vivere secondo le regole di una democrazia moderna. Citerò al proposito Ivan Il’in, che già negli anni Quaranta previde il crollo del potere sovietico e tentò di descrivere cosa sarebbe seguito. Scrisse: “Quando il crollo del sistema comunista sarà un fatto compiuto e comincerà a risorgere la vera Russia, il popolo russo si ritroverà senza una classe dirigente. Certamente il posto di quella classe dirigente verrà occupato temporaneamente da persone destinate a restare o semplicemente di passaggio, ma la loro presenza non risolverà la questione“. La crisi era inevitabile perché la classe dirigente era praticamente scomparsa. Naturalmente in condizioni di mercato i superstiti della vecchia nomenklatura strinsero rapidamente legami con le più attive e smaliziate realtà finanziarie. Il potere dello stato arretrava ovunque, in una fuga disordinata dalla responsabilità. Si diceva perfino che lo stato era il male. Adesso tendiamo a dimenticarcelo, ma allora si dichiarava in tutta serietà che più lo stato era assente e meglio era. E che se si fosse azzerato lo stato sarebbe andato tutto meglio. Naturalmente questo vuoto fu riempito, e naturalmente proprio quegli imprenditori attivi e ambiziosi finirono in molti casi per sostituire il potere. Non è un segreto per nessuno che interi ministeri, regioni e partiti si trovavano sotto il controllo di certi gruppi finanziari, sotto il controllo più diretto e letterale. Forse non ci sarebbe stato nulla di male in questo, se non ci fosse stata un’assoluta sostituzione di concetti. Vale a dire che invece di progredire verso la democrazia abbiamo avuto quello che giustamente viene definito oligarchia.

In cosa consiste, di fatto, il problema dell’oligarchia? Innanzitutto è illegittima per costituzione, perché il controllo di un ministero da parte di un uomo d’affari non è prevista dalla Costituzione, dove non è scritto neanche che coloro che sono stati eletti dal popolo debbano lavorare per coloro che hanno più soldi. Questo non sta affatto scritto nella costituzione. In secondo luogo il problema è che questo è in effetti un potere di pochi. E non è neanche il potere di migliaia di persone. È il potere di singoli. Li si può contare sulle dita di una mano. Non solo questi pochi non rappresentavano la maggioranza, che sicuramente aveva sofferto molto per le riforme ed era sopravvissuta a esse con grandi sacrifici, ma non rappresentavano neanche, per quanto strano possa sembrare, la minoranza che si era arricchita. Perfino gli uomini d’affari, perfino coloro che avevano cominciato a fare rapidamente carriera in quel periodo, non ebbero alcuna garanzia che almeno i loro interessi fossero rappresentati. E infatti così non era. Queste figure screditarono invece tutta la categoria con le loro ambizioni smisurate.

Il risultato fu che tutte i principi fondamentali della democrazia furono distorti. Invece di un dibattito pubblico abbiamo avuto continui intrighi di corte. La manipolazione si è sostituita alla rappresentanza. Ricordiamo le elezioni del 1996, forse qualcuno dei presenti ha avuto l’occasione di lavorarci, e come tra un turno elettorale e l’altro in alcune regioni all’improvviso le preferenze cambiarono magicamente, e in maniera radicale. Non commenteremo qui come questo accadde: lo sappiamo, come. Per di più la cosa fu giustificata pubblicamente. Ecco cosa scrisse il corrispondente del Washington Post nel 1997: un noto liberale russo “mi ha detto che qualsiasi violazione durante la campagna elettorale era giustificata. Se avesse vissuto 75 anni sotto il comunismo, cosa non farebbe per impedirne il ritorno? – mi ha chiesto“. Non si può non sottolineare: “qualsiasi violazione durante la campagna elettorale era giustificata“. Lo si disse pubblicamente ai rappresentanti della stampa straniera. Dov’era finita la legge e cosa stava alla base di questa società, su cosa si fondava? E oggi queste persone ci danno lezioni di democrazia e ci parlano delle sue distorsioni. Se allora c’era democrazia, non so proprio cosa sia la democrazia.

La corruzione si sostituì alla concorrenza. Ancora una volta citerò una fonte occidentale di allora, il Maresciallo Goldman: “I grandi fondi di investimento erano nelle mani di gruppi mafiosi, di direttori corrotti di società e catene commerciali, di un’élite di governanti e amministratori che erano riusciti a impadronirsi per tempo di ciò che prima era proprietà dello stato e del partito…“. E anche questo risponde alla domanda se ci fosse vera concorrenza, se ci fossero reali rapporti di mercato o se tutto questo fosse frutto di scelte strettamente intrecciate con atteggiamenti corrotti.

Anche la libertà di parola aveva un significato particolare:  i principali canali televisivi divennero armi nelle mani di noti gruppi oligarchici e furono in gran parte usati per appropriarsi di beni dello stato e partecipare alla loro spartizione.

L’entità del collasso economico vi è nota: il nostro prodotto lordo praticamente si dimezzò. Per sottolineare la drammaticità di quella situazione posso dire che lo scorso anno abbiamo portato i salari degli insegnanti al 60% rispetto ai parametri del 1989. Tanto per capire dove eravamo finiti, se un nostro insegnante viene ancora pagato meno che ai tempi dell’Unione Sovietica.

La privatizzazione, un fenomeno complessivamente salutare, in una serie di casi è stata compiuta secondo strani schemi, e naturalmente risulta molto difficile e praticamente impossibile a chiunque spiegare cosa furono le privatizzazioni selvagge. Come qualcuno ha giustamente osservato, i milionari nominarono un gruppo di amici, cioè praticamente ti chiamavano e dicevano: “Sei stato nominato miliardario”.

Nei rapporti federativi regnava il caos. Per esempio, la costituzione della Repubblica di Tyva fissò il diritto di questa repubblica di uscire dalla Federazione Russa. Alcuni soggetti si definirono stati sovrani associati alla Federazione Russa. Così fu in moltissimi casi. Anche sulle stravaganti leggi economiche locali e sugli stravaganti modelli economici adottati qua è là si potrebbero raccontare molte cose divertenti. In nessun luogo la legge federale veniva più considerata superiore a quella regionale. L’apoteosi degli umori centrifughi fu la rivolta nella Repubblica Cecena, sollevata da una banda di criminali, che portò innanzitutto a grandi sofferenze e poi all’infame capitolazione di Chasavjurt. In base agli accordi di Chasavjurt la definizione dello status della Repubblica Cecena fu messo da parte per alcuni anni. E cioè alla domanda se la Repubblica Cecena dovesse far parte o no della Federazione Russa non abbiamo potuto dare una risposta affermativa. Cos’era questo, se non una violazione dell’integrità territoriale della Russia?

Per quanto riguarda i prestiti esteri, accertarne l’entità è difficile ancora oggi. E neanche oggi si capisce perché fossero così tanti e a cosa servissero, e perché a così breve termine e così cari. Per questo bisognava far approvare il nostro bilancio federale al Fondo Monetario Internazionale. Di fatto il paese era sul punto di perdere la sovranità nazionale.

Se quello che ho descritto è democrazia o è una società libera e giusta, qual è Sodoma e qual è Gomorra? Di certo non c’era alcuna traccia di liberà. Oggi molti dicono che allora c’era la libertà. Il povero era forse libero? Cos’è la libertà? Oltre a essere un’idea dovrebbe anche servire a qualcosa. Forse che una persona dimenticata e ridotta in miseria è in grado di usare la sua libertà? Forse solo in senso criminale. Per quanto riguarda le persone ricche, molti di voi allora si occupavano di affari e ricorderanno che il numero di omicidi e di reati su commissione dava agli imprenditori la sensazione dell’instabilità e della precarietà di ciò che facevano per sé e per la propria famiglia. E questa è forse libertà? Forse è ancora una volta libertà di commettere reati: “o la va o la spacca” e così via. Ma questa bestialità di certo non poteva essere considerata libertà nel senso normale, civile della parola. E un tale regime non era in grado di sopravvivere, era condannato. Però il dilemma era semplice: o l’oligarchia, crollando, avrebbe portato con sé tutto il popolo e tutta la Russia, e saremmo affogati tutti insieme, oppure sarebbe passata come una febbre di crescita e sarebbe decantata, e il paese avrebbe intrapreso la strada della normalità. Poteva sembrare che la Russia fosse già alla fine e che quello che vedevamo fosse soltanto l’agonia prolungata del sistema sovietico.

In generale la questione era: essere o non essere. La Russia, come sempre era stato tipico del popolo russo, rispose: “Essere!”. E rispose, tra l’altro, per mezzo delle elezioni: fu eletto presidente Vladimir Vladimirovič Putin, che dovette letteralmente impegnarsi nella normalizzazione della situazione del paese.

È molto importante sottolineare che gli anni Novanta (anche se si trattò effettivamente di un regime oligarchico) non vanno affatto considerati sprecati per la Russia, né un periodo di continue vergogne. Non dobbiamo dimenticare che negli anni Novanta furono avviate enormi riforme e moltissime cose positive e, soprattutto, perfino in quelle condizioni deviate e difficili furono poste le basi di nuove pratiche sociali, la gente si abituò alle elezioni, imparò a lavorare in un’economia di mercato. E una delle conquiste più importanti degli anni Novanta, mi sembra, fu che in quell’epoca abbastanza zoologica del nostro sviluppo si fecero strada nelle classi dirigenti persone veramente attive, tenaci, motivate e forti, che fornirono la materia prima per la formazione del nuovo ceto dirigente della nazione.

Per quanto riguarda i primi passi del Presidente Putin, ricorderemo che fu dichiarata la dittatura della legge. Ricorderemo che fu dichiarata una politica di stabilizzazione. Definirei tutto questo politica di democratizzazione. Voglio sottolinearlo perché quando vi dicono che qualcuno sta abolendo la democrazia si tratta di un’assoluto spostamento e distorsione dei concetti. Ho appena descritto quello che ci era capitato: tutto ciò che si vuole, ma non democrazia.

Il Presidente restituisce il significato reale della parola “democrazia” a tutte le istituzioni democratiche.

Cominceremo dal fatto che la sua politica si avvale dell’appoggio della maggioranza della popolazione. Com’è noto, questo è il principio fondamentale della società democratica: essa si fonda sull’opinione della maggioranza. Questo non si poteva dire del regime degli anni Novanta.

Per quanto concerne i suoi passi successivi, possono essere descritti in base a un approccio molto semplice: eseguite quello che sta scritto qui, questa è la Costituzione, qui c’è scritto “questo”, eseguite “questo”. Mi sembra che non ci sia niente di più democratico di questa richiesta, non bisogna inventarsi niente perché a tutti è stato semplicemente proposto di attuare la legge e di non distorcerne il senso. Questa è la base della società democratica. Deve fondarsi sul diritto e sulla legge.

Per esempio (elencherò alcuni dei momenti più discussi della stabilizzazione), la riforma del Consiglio della Federazione… “Perché l’hanno fatta? Come mai?” Molte erano le ragioni, ma ce n’è una in particolare che non può essere discussa: la Costituzione fissa la divisione dei poteri. Del Consiglio della Federazione facevano parte i capi del potere esecutivo, facevano cioè parte dell’organo legislativo. Questa è una diretta violazione della Costituzione. Tutte le motivazioni aggiuntive – dimostrare che il centro federale è più importante e che poi vengono le regioni, e tutto il resto… sono tutte sciocchezze. C’è una sola ragione sufficiente a spiegare perché questa riforma fosse indispensabile. Ed è molto strano che finora la si ricordi come qualcosa di discutibile. Non c’è niente di discutibile. Dal punto di vista giuridico la riforma è impeccabile.

Sono state fatte leggi sulla responsabilità dei capi delle regioni. Anche questo è stato interpretato come un tentativo di contrastare e limitare alcuni poteri e così via. Bene, ma perché il capo dell’organo direttivo non dovrebbe rispondere di azioni illecite e della violazione dei diritti dei cittadini? Perché dovrebbe continuare a occupare la sua posizione, se infrange brutalmente queste o quelle leggi? Anche questa, a mio parere, è stata una decisione assolutamente normale nel contesto della Costituzione vigente.

Fu ingiunto a tutti di mettere ordine negli statuti perché gli articoli che ho citato nelle costituzioni e negli statuti locali non venissero osservati. Fu ripetuto ancora una volta che la legge federale è superiore a quella regionale. Ma per dimostrarlo e convincere la gente dell’ovvio ci vollero ancora alcuni anni.

Gli oligarchi. Vorrei ricordare che gli oligarchi non sono solo potenti affaristi. Non tutti i potenti affaristi sono oligarchi, come oggi chissà perché si è cominciato a ritenere. Gli oligarchi compaiono quando e laddove la grande finanza cerca di sostituirsi allo stato.

Si propose di prendere eque distanze, di non gironzolare per il Cremlino, di non vagare per i ministeri e di non risolvere problemi che esulavano dalle proprie competenze. E dunque, nel complesso, di dedicarsi insieme a delineare le questioni generali per lo sviluppo generale delle relazioni di mercato. Si propose di pagare le tasse. Tutti sappiamo delle imprese esentasse in cui lavoravano 50 invalidi, e attraverso le quali passavano tutti i profitti delle maggiori compagni petrolifere. Ne fu segnalata l’illegalità. Cos’era? Si soffocava il business? È noto a tutti un altro scandalo, quello legato a un’importante compagnia petrolifera. Pare che dalle profondità del sottosuolo siberiano non estraessero petrolio, ma “liquidi contenenti petrolio” che miracolosamente si trasformavano in petrolio, giungendo in raffineria. Dov’è qui il problema? Chi ha ragione, chi è il colpevole? Una simile elementare questione in qualsiasi paese del mondo sarebbe stata risolta spietatamente, in modo brutale, perché se si estrae il petrolio non bisogna raccontare a tutti che si estraggono liquidi contenenti petrolio. Bisogna dire invece: “Estraggo petrolio”, e pagare onestamente le tasse. Perché nel nostro paese vivono altri 140 milioni di persone che non hanno un pozzo petrolifero nel cortile e che hanno ugualmente la necessità di guadagnarsi da vivere. La giustizia sociale non esige l’ennesima ridistribuzione della proprietà privata (perché aggiungere a un’ingiustizia un’altra ingiustizia?), ma l’onesto pagamento delle tasse.

Capita spesso che la comunità mondiale pianga il destino dei mezzi di informazione di massa. Ricordo che il governo ha sempre detenuto, anche negli anni Novanta, il pacchetto azionario di controllo del Primo Canale. Coloro che hanno influenzato la sua politica dall’esterno lo hanno fatto illegalmente. Quel canale era dello stato e lo è rimasto. Non è mai stato né pubblico, né privato. E neanche qui si capisce dove stia il problema. Un altro noto canale privato ha raccolto da compagnie di stato somme superiori alla sua stessa capitalizzazione, senza l’intenzione di restituirle. Gli hanno detto: “O restituisci i crediti oppure ti metti a disposizione del creditore…”. Questa è una normale pratica di mercato, del tutto comprensibile, indiscutibile. Cosa c’è di politico in questa decisione? Sarebbe stata una decisione politica lasciare il canale in quella situazione in cui, definendosi come struttura di mercato, si era messo operando al di fuori del mercato. Non restituire i debiti va contro le leggi. Se non li restituisci, ti metti a disposizione del creditore. Il creditore risultava essere una struttura dello stato, e allora… ? Si era rivolto allo stato perché nessuna banca privata avrebbe dato a questa società crediti superiori all’entità della sua capitalizzazione. Solo uno stato nella fase della sua dissennatezza oligarchica avrebbe potuto farlo. Ed è tutto! Dove sta il problema? Dove sta qui la libertà d’espressione? E dove sta l’ingiustizia?

Si è cominciato a pagare puntualmente gli stipendi e le pensioni. È risultato che non è molto difficile da fare. Ma prima di Putin, per chissà quale motivo, nessuno l’aveva fatto. Anche questo è derivato dall’attuazione della legge, perché solo da noi negli anni Novanta si poteva concepire che una persona guadagnasse dei soldi ma non li ricevesse. Ma come? Ho lavorato in una fabbrica. Mi immagino se andassi a ritirare lo stipendio e mi dicessero: “Sa, oggi niente soldi”. Due settimane dopo sarei morto. Com’è potuto succedere che a qualcuno sia passata per la testa una cosa del genere? Eppure è successo. E rimettendo ordine abbiamo anche in questo caso portato la situazione nell’ambito della legislazione corrente, che non ordina che non si paghino le persone con il denaro, ma ordina per l’appunto che si dia a una persona quello che ha guadagnato. Cosa, tra l’altro, garantita anch’essa dalla Costituzione. È stata interrotta la pratica dei prestiti esteri insensati e, come si è visto, non ci è successo niente di spaventoso.

Momento molto importante: nella Repubblica Cecena si è svolto un referendum, è stata ristabilita l’integrità territoriale della Federazione Russa e minimizzata l’attività delle canaglie che sterminavano il popolo russo e attaccavano altre regioni del paese. È stata di fatto riaffermata la sovranità del popolo russo su tutto il territorio della Federazione Russa. Su tutto il suo territorio hanno cominciato a operare le sue leggi.
Mi sembra che tutte queste azioni siano eccezionalmente democratiche, perché dirette appunto a far sì che vengano applicate le leggi dello stato democratico.

Non parlerò delle cifre che esprimono questi risultati: compaiono, lo ricordo, nei discorsi del Presidente e della dirigenza del partito. Dirò soltanto che dal 1999 al 2004 i redditi reali dei cittadini sono aumentati del 76%. È molto. Ma perché nessuno cominci a montarsi la testa dirò anche se secondo le valutazioni degli esperti costituiscono l’88% del livello dei redditi del 1991. È stato fatto moltissimo, ma di certo non tutto. Mi ripeterò: non siamo nemmeno tornati al livello di benessere che regnava negli ultimi anni del potere sovietico.

Di ciò che è stato abbiamo parlato in abbondanza. Naturalmente è importante e interessante ciò che sarà. La politica del Presidente Putin è molto chiara. È esposta sia nei suoi messaggi, sia nei suoi discorsi sui temi più diversi. Come può svilupparsi, la Russia, che nazione dovrà essere in futuro? Innanzitutto dovrà essere una nazione prospera, dove le persone possano vivere felici. È ovvio che chiunque può limitarsi a dichiararlo. La questione è come realizzarlo e cosa sia necessario per ottenere questo risultato.

Ritengo che siano due  le condizioni strategiche che devono accelerare uno sviluppo stabile e a lungo termine: la democrazia e la sovranità.

La necessità della democrazia è evidente, giacché solo una società fondata sulla competizione e sulla collaborazione di persone libere può essere efficace e competitiva. Perché se in una società si riduce il livello di competitività, se non si riproduce costantemente una classe dirigente efficace, quella società non riuscirà in nulla.

Oltre a ciò, c’è un aspetto pragmatico non secondario: se non saremo una società aperta e democratica, se non ci integreremo ampiamente nell’economia mondiale, nel sistema mondiale di conoscenze, non guadagneremo l’accesso alle moderne tecnologie dell’Occidente, senza le quali non immagino possibile una modernizzazione della Russia.

Infine, a me sembra che nella società democratica sia più facile vivere. Forse il mio punto di vista è troppo soggettivo. Ma mi sembra che sia molto piacevole viverci.

Per quanto riguarda la sovranità: perché insomma dovremmo ricordarcene sempre e preservarla? Esiste questo fenomeno, la globalizzazione. Oggi si dice che lo stato nazionale è obsoleto, che è troppo grande per risolvere piccole questioni e troppo piccolo per risolvere grandi questioni. Questi ragionamenti sono attualmente di moda. Effettivamente nei processi della globalizzazione – lo scambio di tecnologie, di prodotti, un mercato aperto mondiale – sono coinvolti, volenti o nolenti, in misura maggiore o minore, tutti i popoli del mondo. Ma non bisogna per questo pensare che si tratti di un nuovo comunismo. I benefici della globalizzazione sono distribuiti in modo ineguale. Non voglio dire che sono distribuiti in modo ingiusto, anche se molti lo pensano, ma che sono distribuiti in modo ineguale.

A conferma delle mie parole citerò un grande poeta russo. Anch’egli, a quanto pare, aveva riflettuto su questo tema. Iosif Brodskij, “Uno sguardo dalla giostra”, 1990: “L’autentico equivalente della terza guerra mondiale è rappresentato dalla prospettiva della guerra economica. L’assenza di una legislazione internazionale antitrust assicura la prospettiva di una competizione assolutamente illimitata, dove tutti i mezzi sono buoni e la sensazione del successo è la condizione dominante. Le battaglie di questa guerra potranno assumere un carattere sovranazionale, ma… importante, più avanti: “… ma il trionfo sarà sempre nazionale, cioè il suo luogo di residenza sarà quello del vincitore. Il potere finanziario assume spesso diverse forme di espansione: economica, politica, culturale.  Comprare è più semplice che uccidere. Il debito nazionale, come forma di occupazione di un paese, è più affidabile di una guarnigione militare. Appare del tutto verosimile che i paesi dell’Europa Orientale liberi dal giogo comunista si troveranno nella condizione di stati-debitori”… cioè sottoposti a un’occupazione con un altro nome. Questo diceva il poeta Iosif Brodskij, che non era affatto un sostenitore delle teorie del complotto. Penso che avesse ragione. Con buona pace della globalizzazione, conti chiari amici cari, come si suol dire: e infatti gli americani contano da soli i propri dividendi, i canadesi i loro, e dobbiamo ammettere che anche noi lo facciamo, mentre la maggioranza conta le perdite… Ecco perché quando ci dicono che la sovranità è una cosa obsoleta, come lo stato nazionale, dobbiamo chiederci se non ci stiano prendendo in giro.

Essere una nazione indipendente tanto per cominciare è semplicemente vantaggioso. Se non ci amministriamo da soli, ma deleghiamo tutto alle compagnie transnazionali, alle potenti organizzazioni non governative che aspettano come più astutamente aiutarci e costosamente farci del bene, non ci sarà niente da fare… Mi sembra che in questa situazione ci lasceranno solo quello che ritengono necessario per sé, e non quello che vorremmo conservare noi. Un noto politologo ha detto acutamente che vorrebbero trasformarci in un servizio di sicurezza per fare la guardia ai loro gasdotti e oleodotti sul nostro territorio. Credo che sia tutto sommato così. Ciò non significa che sono nemici. No, sono concorrenti. Vedo che qui ci sono uomini d’affari: loro sanno come vanno queste cose. Niente di personale. Ci si deruba fino all’ultimo soldo, correttamente, con tutto il rispetto. È normale. Dobbiamo mantenere la calma e non prendercela. Dobbiamo semplicemente diventare noi stessi competitivi.

La sovranità non è una fortezza, come giudicano alcuni di coloro che ci criticano. Non è che prendiamo e ci chiudiamo nelle nostre casette, beviamo vodka da mane a sera, spranghiamo la porta e non vogliamo avere a che fare con i vicini, no!

La sovranità à aprirsi, uscire nel mondo, prendere parte alla lotta in campo aperto. Direi che la sovranità è  l’equivalente politico della competitività.

La Russia, senza dubbio, deve restare nel numero delle potenze che prendono le decisioni in merito alle questioni dell’ordine mondiale. Anche qui il motivo è molto semplice. C’è tutta una corrente del pensiero liberale che suggerisce alla Russia di uscire dalla politica globale. “Stiamocene a casa e badiamo ai fatti nostri”, ci dicono molti. Non siamo contrari a badare ai fatti nostri. In primo luogo, però, la nostra casa si estende tra tre oceani, e anche se volessimo starcene tranquilli gli altri verrebbero comunque da noi e non ci permetterebbero di dormire. In secondo luogo, io credo che se la Russia esce dalla politica globale e smette di pesare sulle decisioni mondiali, probabilmente queste decisioni saranno prese a suo scapito. È praticamente ovvio. Che te ne fai di chi non può obiettare? I suoi interessi vengono per ultimi, e ancora una volta la questione non è che le persone sono buone o cattive. Le persone sono quello che sono, e non possiamo farci niente.

C’è anche una ragione squisitamente romantica per conservare la sovranità popolare: i russi, il popolo russo, sono già da 500 anni un popolo costituito come stato, siamo una nazione abituata all’organizzazione statale. E diversamente dai nostri molti amici dei tempi sovietici e molti altri paesi siamo sempre stati portatori dell’idea dello stato. È chiaro che alcune nazioni la cui idea nazionale coincide dichiaratamente con l’ingresso nell’Unione Europea, sono paesi molto felici: non hanno molto a cui pesare. Per loro è tutto semplicissimo. I moskali [nomignolo usato in Ucraina, Bielorussia e Polonia per indicare i russi, N.d.T.] sono cattivi, hanno la colpa di tutto, mentre noi adesso corriamo a Bruxelles dove andrà tutto bene. Bisogna ricordare che queste nazioni non sono mai state per un solo giorno sovrane, non hanno alcuna esperienza di vita statale. Perciò è perfettamente comprensibile che quando a Mosca le cose non vanno o non vanno come dovevano andare, questi paesi corrano senza esitare da un altro padrone. È normale. Erano province di un paese, diventano province di un altro paese. Non riesco a figurarmi i russi che pensano “Adesso ci facciamo assorbire da qualcuno, corriamo da qualcuno e lì ci accoglieranno con mille premure e attenzioni e ci guideranno”. Noi non possiamo incolpare nessuno, tranne noi stessi, per ciò che ci succede. E non abbiamo dove scappare, se non a casa nostra. Ecco un altro motivo, per me importantissimo, per cui la Russia debba essere uno stato indipendente capace di influenzare la politica mondiale.

La Russia deve partecipare all’elaborazione di regole giuste per la globalizzazione. Bisogna impedire il monopolio di uno o due paesi in qualsiasi settore di importanza vitale, appoggiare la creazione di nuove valute di riserva, nuovi sistemi di trasporto e di informazione, nuovi centri internazionali di alte tecnologie. Sviluppando la democrazia nel nostro paese siamo interessati alla democratizzazione delle relazioni internazionali. In esse non dovrebbe esserci spazio per i diktat. I paesi liberi devono competere e collaborare secondo giuste regole.

Certamente noi stiamo ristabilendo la nostra posizione nella comunità mondiale. Ma vorrei ricordare in che modo. La Russia è uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e come è noto ha diritto di veto. Quanto sia efficace tutto ciò è un’altra questione, ma si tratta di uno status di grande riguardo. Vorrei ricordare che quello status non è merito nostro: è il risultato della seconda guerra mondiale, dalla quale uscirono vittoriosi i nostri padri e i nostri nonni. È l’eredità che abbiamo ricevuto da loro.

Siamo anche membri del G8, del quale quest’anno abbiamo assunto la presidenza. Vorrei anche ricordare che sulla base degli indicatori economici la Russia non rientra appieno nel G8, e in questo senso ci hanno dato un acconto, per non perderci di vista.

Viviamo così tra le eredità del passato e gli acconti del futuro. Credo che il problema della nostra generazione sia nel fatto che non abbiamo dato ancora seriamente il nostro contributo.

Stiamo solo passando da una politica di stabilizzazione a una politica di sviluppo. La nostra generazione non ha fatto una sola conquista economica o sociale.

Questo va ricordato. Si è già diffuso un atteggiamento di sufficienza, già i miliardari fanno a gara e dicono “Noi siamo i più intelligenti e capiamo tutto”. Non sappiamo più dove mettere i miliardari. Gente presuntuosa, manco avesse inventato la polvere da sparo. Ma non hanno inventato nulla. E non mancano neanche morti di fame ambiziosi che pensano di essere i padroni dell’universo, non si sa su quale base. Finora non siamo riusciti a guadagnarci da soli, con il nostro lavoro, lo status di potenza mondiale leader.

Se vogliamo che la nostra società sia costruita su basi democratiche, che possieda la sovranità e sia protagonista della politica mondiale, dobbiamo sviluppare la nostra democrazia, e  qui la direzione fondamentale è rappresentata dal rafforzamento delle strutture della società civile. Tra queste metterei innanzitutto i partiti come strumenti della società civile, come strumenti di partecipazione della società alla vita politica e al potere; e, naturalmente, le organizzazioni non-profit autogestite dei tipi più diversi; i sistemi di autogoverno locale, che non consiste nell’autorità statale, come ricorderete, ma piuttosto in un’istituzione della società civile e dell’autogestione dei cittadini. E qui noi facciamo molto. Anche le riforme del 13 settembre, che furono annunciate dal Presidente dopo l’attentato terroristico di Beslan, sono volte a rafforzare queste istituzioni democratiche basilari.

Mentre si garantisce il principio costituzionale dell’unità del potere esecutivo, la procedura di conferimento di pieni poteri ai governatori prevede che le loro candidature siano in armonia con l’organo legislativo. In questo modo cresce radicalmente il ruolo del settore parlamentare del nostro sistema democratico, il ruolo dei partiti politici. Sono certo che nella formazione del potere esecutivo locale aumenteranno le iniziative dei partiti, di diversi partiti: quelli che vinceranno le elezioni, naturalmente, poiché la nuova legge conferisce ai partiti questo privilegio.

C’è anche il passaggio al sistema elettorale misto nelle regioni, al sistema proporzionale per le elezioni della Duma, che anch’esso incrementa radicalmente il ruolo dei partiti nel sistema politico.

Avete sentito parlare molto anche dei sistemi di autogoverno locale: attualmente ci troviamo in una fase di transizione, nella quale le regioni stanno ampliando questa base di autogestione della nostra società.

Vorrei ricordare che l’introduzione del sistema proporzionale ci rende le cose più complicate per il 2007. Perché il partito abbia anche solo la maggioranza semplice, bisogna prendere più voti di tutti le restanti liste elettorali messe insieme. E, come comprenderete, anche questo è stato un passo verso lo sviluppo della competizione politica, il rafforzamento dell’opposizione.

Il 13 settembre nessuno ha assicurato che facendo così avremmo subito sconfitto il terrorismo. Siamo partiti dalla considerazione che una società in cui le istituzioni democratiche siano salde, che poggi su una solida base politica come l’autogoverno locale e come i partiti politici, sia maggiormente in grado di resistere alle minacce come l’estremismo e la sua forma più banditesca, il terrorismo. Questa è una riforma istituzionale, e non una qualche pezza pensata dal ministero di turno. E allora si dice: “Come contribuisce, questo, alla lotta contro il terrorismo?” Proprio con il fatto che non sarà come negli anni Novanta, caratterizzati da un miliardo di partiti “da divano”, com’erano chiamati per le loro dimensioni, dal completo caos, dalla frammentazione e atomizzazione della società. E in quel disordine, naturalmente, si infiltravano microbi di tutti i tipi, e ogni genere di contagio poteva attaccare quell’organismo in decomposizione.

Il nostro compito è sanare la società, rafforzare le sue fondamenta, senza con questo perdere i vantaggi della democrazia, la competitività, le complessità della nostra identità culturale e la separazione dei poteri.

Ecco l’obiettivo di quelle riforme. Esso si sta realizzando, e sono certo che porterà risultati positivi, anche nella lotta contro l’estremismo e il terrorismo.

Con quelle stesse riforme, per favorire lo sviluppo delle organizzazioni non governative è stata prevista la creazione della Camera Pubblica. La partenza di questa attività è stata molto buona. Perfino la nostra amata stampa, che ha accolto l’iniziativa con grande cautela, oggi nel complesso guarda favorevolmente all’attività di questo nuovo organo per la realizzazione e lo sviluppo delle possibilità di collaborazione tra strutture governative e organizzazioni pubbliche.

La democrazia ha un grande nemico: la corruzione. E anche qui c’è ancora molto da fare oltre in aggiunta al lavoro della polizia. Lo scorso anno si è indagato su 7000 casi di corruzione. Quando vi dicono che la nostra società è più corrotta delle altre, non credeteci. Cercano di ficcarcelo in testa per screditare le autorità e convincerci che siamo gente poco portata per la vita civile. Non è così. Questo è un male che penetra tutti i sistemi del nostro organismo sociale.

Naturalmente la povertà non è tra i vantaggi della democrazia. Se non abbasseremo seriamente il livello di povertà nel nostro paese, la nostra società non potrà certamente essere stabile. Per ora la redditività della democrazia non è evidente a tutti. Essa deve essere conveniente per suoi cittadini nel senso più diretto del termine. Deve garantire l’ottenimento di benefici materiali, il guadagno e via dicendo. La nostra democrazia deve ancora dimostrare la sua efficacia in questa direzione. L’evasione fiscale e la corruzione minano la base economica della democrazia. Lo sviluppo stabile di una società libera e di una libera economia permette una ridistribuzione più equa del prodotto nazionale.

Cosa minaccia la sovranità come parte integrante del nostro modello politico attuale e futuro? Le principali minacce alla sovranità del nostro paese sono il terrorismo internazionale; la minaccia (fortunatamente finora assai ipotetica) di uno scontro militare diretto; l’assenza di competitività della nostra economia; la conquista soffice della Russia per mezzo di “metodi arancione” in un’epoca di diminuita immunità nazionale agli influssi esterni. Mi soffermerò ora su ciascuno di questi aspetti.

La lotta contro il terrorismo internazionale è una delle principali direzioni del lavoro del Presidente e del vostro. Naturalmente qui il ruolo dei nostri servizi speciali riveste particolare importanza. È inoltre fondamentale operare sui piani umanitario ed economico. Si è già parlato molto della socializzazione del Caucaso, del ripristino delle normali basi di funzionamento della società, dell’occupazione, della ricostruzione della comunione culturale tra i nostri popoli. È una questione complessa che esiste da decenni, ma bisogna credere nella sua realizzazione e credere nella nostra capacità di affrontarla. Non sarà una cosa rapida, ma non si può arrendersi ad ogni fallimento del programma, e noi e voi abbiamo dimostrato di essere coerenti nel perseguire questo obiettivo. Un aspetto importantissimo è rappresentato dalla cooperazione internazionale nella lotta contro il terrorismo, che è una minaccia per tutti e ha radici non solo in Russia ma in tutto il mondo.

Per quanto riguarda le minacce militari esterne, ripeto che oggi questa questione fortunatamente non si pone, ma siamo realisti e purtroppo dobbiamo riconoscere che tutto è possibile e naturalmente il nostro esercito e la nostra flotta sono alla base della nostra sovranità nazionale, e in particolare le forze nucleari. A questo tema verrà riservata la più grande attenzione sia oggi che nel futuro. Sapete, sono stati perfezionati con successo alcuni nuovi tipi di armamento, incluse le armi di carattere strategico.

L’economia. Non avremo un esercito, non sconfiggeremo il terrorismo, insomma non concluderemo nulla con un’economia “traballante”. La nostra crescita economica è grande, piuttosto impressionante, ma ancora una volta bisogna ricordare da quale livello siamo partiti ed evitare di montarci la testa. Secondariamente, non sempre si riesce a capire come evolverà la situazione. Sapete, esistono brutte malattie, qualcosa comincia a crescere e poi le cose vanno a finir male. Mi riferisco al fatto che la ristrutturazione dell’economia si è protratta mostruosamente e prima o poi, gradualmente o bruscamente, questo problema si farà sentire. Le enormi spese statali, un bilancio pubblico inefficace e uno sviluppo debole dei settori avanzati dell’economia sono dei problemi. Naturalmente se ne discute e se ne dibatte molto. Gli adepti di un certo oscurantismo liberale suggeriscono di limitarsi a liberalizzare tutto al massimo grado, e tutto si sistemerà. Naturalmente non è così. Così non sarà, e la società deve ideare ed elaborare un modello realistico di ulteriore sviluppo. Di fatto il Presidente Putin ha già tracciato questo modello, benché siamo solo all’inizio del viaggio. Bisogna sfruttare i propri vantaggi competitivi e svilupparli. Perché se si hanno delle gambe potenti è meglio dedicarsi al salto in lungo che al gioco degli scacchi. E se si ha una bella testa forse è meglio giocare a scacchi. Quando parliamo di alte tecnologie e via dicendo, ci dimentichiamo di dire da dove saltano fuori. Credo che si debba prendere ciò che abbiamo e che ci riesce, e semplicemente farlo meglio.

La concezione della Russia come superpotenza energetica, mi sembra, corrisponde perfettamente a questo atteggiamento. Quello energetico è nostro principale complesso economico, che fa la parte del leone nel nostro prodotto nazionale. Naturalmente non si tratta in alcun modo di restare unicamente esportatori di materie prime. non si tratta di diventare grandi esportatori di materie prime, ma di impiegare al massimo il nostro potenziale, di svilupparlo e portarlo a un nuovo livello qualitativo. Forse per cominciare dovremmo imparare a estrarre il petrolio e il gas con sistemi più moderni. Non è un segreto che non siamo capaci di farlo, e che non siamo capaci di estrarre da soli il petrolio dalla piattaforma continentale, per esempio, e che non abbiamo a mio vedere un solo stabilimento petrolchimico che risponda ai requisiti attuali di qualità dei prodotti petroliferi (con buona pace dei nostri giganti del petrolio e delle dichiarazioni sui nostri risultati). Per cominciare dovremmo migliorare qualitativamente il nostro complesso petrolifero, peraltro non solo mediante l’acquisto di macchinari dall’Occidente, perché allora diventeremmo davvero dei semplici servizi di sicurezza a guardia dei loro condotti. Dovremmo ottenere l’accesso alle tecnologia, esportando gas, petrolio e prodotti petroliferi. A mio avviso dovremmo pensare non solo a quanti soldi ci costerà (viene da sé che a questo bisogna pensare), ma i soldi, scusate l’espressione, sono carta. Del resto noi abbiamo a che fare con i centri di emissione monetaria mondiali. Cosa sono questi soldi per gli americani? Tanti ne servono, tanti ne “dipingono”.

Abbiamo bisogno di conoscenze. Abbiamo bisogno di nuove tecnologie. Allora non ci saranno più i problemi del Fondo di stabilizzazione, in cui far confluire le entrate.

Se otterremo l’accesso (cooperando con il paesi occidentali, in un’atmosfera positiva di collaborazione) alle nuove tecnologie, anche se non quelle dell’ultimissima ora, in seguito saremo in grado di sviluppare un nostro sistema di formazione (nel complesso non siamo gente stupida) e di arrivare noi stessi a quelle alte tecnologie. Abbiamo costruzioni meccaniche per il settore energetico, che sono certamente arretrate, ma abbiamo le risorse, abbiamo le persone, abbiamo gli specialisti, abbiamo la base da cui partire. E questo va necessariamente utilizzato. Certo, bisogna sviluppare anche tecnologie di risparmio energetico, nuove tecnologie nel settore del trasporto dell’energia, per ora fortunatamente non sono andate perdute le nostre potenzialità nel settore dell’energia atomica, che è molto richiesta. La Russia, in cooperazione con altri paesi, dovrebbe pensare al combustibile del futuro: approfittando del fatto che abbiamo tante materie prime dobbiamo già pensare a cosa succederà quando si esauriranno. E se la Russia grazie alle sue attuali risorse riuscirà a entrare in un consorzio internazionale in grado di creare il combustibile del futuro, i nostri figli vivranno tranquilli. Se invece oggi ignoriamo questo problema e sprechiamo i nostri soldi, chi ci ringrazierà?
Abbiamo anche indiscutibili competenze professionali nell’esplorazione spaziale. Abbiamo il settore militare. Negli ultimi anni sono considerevolmente aumentati i finanziamenti della ricerca scientifica nell’industria bellica. Anche qui non dovremmo sprecare le nostre possibilità, tanto più che perfino in alcune aree dell’industria bellica possiamo collaborare con altri paesi.

I trasporti e i collegamenti. La posizione della Russia fa di lei un’ottima via di comunicazione tra l’Oriente e l’Occidente. Anche qui abbiamo una base di partenza e degli obiettivi a cui tendere.

Ho chiesto a un conoscente: “Perché costruiamo così poche strade?”. Mi ha risposto: “Perché costruirle, se non le usa nessuno?” Allora ho detto: “Ma se le costruisci qualcuno magari le userà?” Questo mi sembra il problema dell’uovo e della gallina. Certo, quando sta a casa uno pensa: “Adesso esco in macchina, è pieno di buche, cado da qualche parte e mi ammazzo”. Ma se la strada è buona e attorno c’è una bella infrastruttura esce di casa tranquillo. La stessa cosa vale per il trasporto delle merci: bisogna creare buone infrastrutture, e verranno usate. Bisogna solo dimostrare che è tutto normale, confortevole, privo di pericoli, comodo.

Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, solo la partecipazione diretta delle compagnie russe alla creazione delle reti di informazione globali può garantirle un posto nella buona società. È da questo che dipende la nostra sovranità ed è questo che decide se nella ragnatela mondiale saremo il ragno o la mosca.
In alcuni settori per il bene della sovranità è indispensabile che prevalga l’influenza del capitale nazionale. Nazionale non significa necessariamente statale. Ma il complesso energetico, le comunicazioni strategiche, il sistema finanziario, la sfera militare dovrebbero essere prevalentemente russi. Gli altri settori vanno aperti al massimo agli investimenti stranieri e a una profonda modernizzazione.

Dovremmo mirare alla partecipazione all’economia mondiale in forma di corporazioni multinazionali. Proprio multinazionali, non trans-, sovra-, super- o extranazionali. Il futuro economico non sta nella scomparsa delle grandi nazioni, ma nella loro capacità di cooperazione.

Per quanto riguarda l’invasione soffice, questa è un’altra minaccia perfettamente reale alla sovranità. Come avvenga è noto: si erodono i valori, viene dichiarata l’inefficacia del governo, si provocano conflitti interni. I metodi “arancione” lo dimostrano in maniera del tutto evidente. Non posso dire che questo punto non sia più all’ordine del giorno, perché se sono riusciti a farlo in quattro paesi perché non dovrebbero farlo in un quinto? Credo che questi tentativi non saranno confinati agli anni 2007–2008. I nostri amici stranieri possono anche cercare di riprovarci in futuro. Qui la medicina è una sola, in base ai criteri più rigorosi: la formazione di uno strato dirigente della società a orientamento nazionale.

Di fatto la nostra finanza è cresciuta nei tempestosi anni Novanta ed è nata in epoca sovietica, quando per un’eccedenza di 100 rubli si rischiava 100 anni di carcere, e dominava una morale completamente diversa. Da un lato dunque era spaventata. E dall’altro, pure. Si era formato quel genere di psicologia chiamata “aristocrazia offshore”, che consisteva nell’essere padroni della propria vita, ma di vedere il proprio futuro e quello dei propri figli fuori dalla Russia. Uno di loro ha scritto: “Percepivamo la Russia come una zona di caccia libera…” Una zona di caccia. “E adesso vado a vedere come se la cavano nella piantagione”. Il fatto non è che questa persona ha il conto in un paradiso fiscale, che lo abbia pure. Ma mentalmente non vive qui, non in Russia. Le persone di questo tipo non resteranno legate al loro paese, né ne avranno cura. Perché all’estero non tengono solo i conti, ma anche la testa.

A meno che la nostra comunità degli affari non si trasformi in una borghesia nazionale non avremo certamente alcun futuro. Inoltre, pur chiamando molte di queste persone “aristocrazia offshore”, non è affatto necessario considerarle dei nemici: tutti questi conti delle Bermuda e principi dell’Isola di Man sono nostri cittadini che hanno tutta una serie di motivi per comportarsi così. Questo problema non può essere risolto con una qualche iniziativa, una legge. Si può discutere quanto si vuole su cosa sia la proprietà privata, e via dicendo. Ma finché questo non entra nella testa delle persone, finché non crederanno che qui si può lavorare a lungo, per tutta la vita, e lasciare qui i propri figli, perché anche qui vivranno bene e che nessuno verrà mai a portargli via nulla, e nessuno dirà loro: “Eccoti qui, canaglia! Ti abbiamo trovato, finalmente!”. Qui serve la collaborazione del mondo degli affari e della restante gran parte della società. Intenzionalmente non parlo di “stato”. Lo stato è il metodo con cui la società si organizza. Quando si parla dei contrasti tra gli affari e lo stato, si fa l’errore più grande. Gli affari entrano in contrasto con la società perché il funzionario percepisce i segnali della società. Non è solo il funzionario ad avere delle pretese. Queste pretese sono molto più diffuse. Di fatto in questo non c’è niente di buono, perché se i rapporti tra i ricchi e i meno ricchi nel nostro paese non si normalizzeranno esso non avrà un futuro. E noi e voi dovremmo sempre fare in modo che questi rapporti siano armoniosi, anche se sarà difficile. È molto più semplice mantenere un punto di vista populista: “Morte ai ricchi! Prendere tutto e spartirlo”. Non si può assolutamente farlo, per quanto possa sembrare allettante. Per guadagnare il 2% aggiuntivo? Mi riferisco al rating. È più la spesa che l’impresa, perché le conseguenze saranno ben peggiori. Dobbiamo proteggere la nostra classe imprenditoriale, coccolarla e prendercene cura, mentre i suoi membri devono pagare e tasse e rispettare la tradizione e la morale pubbliche.

Un’altra importantissima parte della società è costituita, naturalmente, dalla burocrazia. Essa deve ancora trasformarsi da burocrazia semisovietica, semicompetente, abituata alle sconfitte in una efficace, competitiva comunità di servitori dello stato, perché anche qui siamo inferiori ai corrispondenti complessi amministrativi degli altri stati. Mi sembra che il Dipartimento di Stato per tutto ciò che lo riguarda lavori in modo più efficace e rapido, mentre noi, in generale, finora non abbiamo fatto molti progressi. C’è un detto americano: ci sono due tipi di cowboy, quelli veloci e quelli morti. Mi sembra che nella nostra epoca sia necessario fare tutto più velocemente.

Dopo aver trasformato l’aristocrazia offshore in una borghesia nazionale e la burocrazia postsovietica in una burocrazia moderna, efficiente e agile, la nostra società potrà stare tranquilla per il futuro del nostro paese.

Qui servono approcci non lineari e impegni a lungo termine per creare in Russia un clima di collaborazione e teso al successo.

E qui è estremamente importante il problema dell’istruzione e naturalmente della cultura. Questa è la delicata infrastruttura di riproduzione dell’élite nazionale: la formazione e la cultura. E nel campo dell’istruzione abbiamo ancora degli obiettivi davanti. Noi amiamo dire che la nostra istruzione è la migliore del mondo, ma detto tra noi non è affatto così. I nostri istituti non hanno una base materiale sufficiente, non sono sempre ben equipaggiati neanche dal punto di vista del prodotto intellettuale. Francamente io chiamerei anche degli insegnanti stranieri, non porrei limiti a questo. Per noi è molto importante modernizzare l’istruzione, perché coloro che si laureano nelle nostre università siano in tutto e per tutto all’altezza dei laureati di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology. Non dico che da noi vada tutto male, ma qui ancora una volta abbiamo un vantaggio competitivo, abbiamo un buon sistema educativo ma dobbiamo svilupparlo, orientarlo in modo preciso e, cosa molto importante, esso deve riprodurre l’élite orientata in senso nazionale. Provate a fare un salto in alcune delle nostre università: là si sentono certe cose durante le lezioni sulla Russia, e là lavorano, mi permetto di dire, non professori ma organizzazioni non governative che a quanto pare prendono i soldi appena arrivati da qualche consolato.

L’istruzione ha un grande significato. È la formazione dell’individuo e del popolo. È il modo di pensare. È il futuro. L’istruzione è la creazione di un paese, l’organizzazione della sua vita e della sua cultura. L’istruzione permette di far breccia nell’economia della conoscenza. E sono solo alcune delle ragioni per cui l’istruzione, la scienza, la cultura esigono particolare attenzione. “La battaglia di Sadowa fu vinta dall’insegnante prussiano”, disse Bismark. “E quella di Stalingrado dall’insegnante russo”, aggiungiamo noi. Vi ricordo che l’insegnante russo, come ricorderete, riceve il 60% dello stipendio sovietico. Pensateci, è meglio pagare le tasse o aspettare ancora un po’?

Dunque, se riusciremo a risolvere tutti questi problemi, la Russia a mio parere diventerà una democrazia sovrana. Cioè intraprenderà un cammino di sviluppo costante. Sarà economicamente prospera, politicamente stabile, culturalmente avanzata. Eserciterà la sua influenza sulla politica mondiale. Sarà una nazione libera che costituirà con le altre nazioni libere un ordine mondiale giusto.

C’è l’assoluta certezza che sarà così? Assoluta, naturalmente, no. E questo ottimismo sul fatto che abbiamo la stabilità, che abbiamo questo e quello… Talvolta anche tra compagni di partito si sente dire: “Perché non lottate con gli avversari nel vostro distretto?” “Ma noi siamo al di sopra della lotta, noi dimostreremo quanto valiamo con i fatti…”. Colleghi, vi rimando all’inizio del mio discorso: nei limiti dello sviluppo della democrazia la lotta informativa si inasprisce. La lotta per le menti. Sarebbe bene comprenderlo e non contare sul fatto che il vegetarianismo e il rifiuto di usare la forza ci guadagneranno il paradiso. Niente di simile.

Ci sono anche altri possibili approcci al futuro della Russia. Ce ne sono molti, ma nello spettro politico io evidenzierei due tendenze fondamentali che si oppongono a noi e a coloro che lottano con noi. Chi esclude l’altro, chi è in vantaggio? Quello che va indietro.

C’è una forza politica che ci propone di fare un passo indietro. La chiamerei il partito della rivincita oligarchica.

Non bisogna dimenticare che durante il caos degli anni Novanta moltissimi politici, tanti dei quali ancora oggi vediamo prender parte attivamente alla vita politica, vivevano in effetti molto bene. Quelli che si facevano chiamare liberali non facevano che spartirsi di continuo qualcosa. E quelli che si definivano sostenitori di uno stato forte sedevano in parlamento, dove avevano la maggioranza, e anche loro non se la cavavano affatto male.

C’era una tale incredibile simbiosi. Tra di loro c’erano molti contrasti, ma ciononostante andavano d’amore e d’accordo, perché l’opposizione ricavava il suo profitto da tutto quello che accadeva, e la maggioranza, che però chissà perché si trovava nel settore di minoranza dei rivoluzionari, aveva qualcosa di suo. Naturalmente queste persone hanno una selvaggia nostalgia per quei tempi. Ricevevano denaro per risolvere dei problemi. Ci si può solo immaginare quanto sia crollata la capitalizzazione di alcuni partiti, scusate la brutalità. Prima influivano sulle decisioni, adesso francamente non pesano più di tanto. Certa gente ha molti motivi per riportare indietro le lancette dell’orologio. Nostalgia.

Questa tendenza del pensiero politico ha anche potenziali capi politici. E finanziatori stranieri. Di certo non possiamo permettere la restaurazione del regime oligarchico, perché come ho detto è una strada che non porta da nessuna parte, è un sistema privo di vitalità che condurrebbe subito alla perdita della sovranità e della democrazia. Qualsiasi conclusioni abbiano tratto queste figure del passato, di loro si può affermare quello che si diceva dei Borboni: non imparano nulla e nulla dimenticano. Ma sussiste il potenziale pericolo che ritornino, non possiamo non tenerne conto.

La seconda tendenza della restaurazione politica, direi, è il partito dei due passi indietro. Li chiamerò isolazionisti, per non infangare il termine “patrioti” con cui essi stessi si definiscono. Sono quasi dei nazisti, persone che avanzano la dozzinale tesi per cui l’Occidente è terribile, l’Occidente ci minaccia, i cinesi ci attaccheranno e il mondo musulmano ci indebolirò, la Russia ai russi, ed evidentemente per la stessa logica il Tatarstan ai tatari e la Jakuzia agli jacuti… Il Caucaso no, perché pare che vadano d’accordo con Basaev. Credo che, se nel nostro paese andassero al potere i nazionalisti-isolazionisti, ne uscirebbe una brutta copia dello stato sovietico, semisovietico, burocratico, privo però della grandezza sovietica. Sarebbe semplicemente una ridicola parodia, che anche per la sua assoluta inconsistenza porterebbe la nazione alla catastrofe demografica e al crollo politico. E non parlo neanche delle conseguenze che potrebbe avere per i cittadini, perché nel nostro paese è molto pericoloso provocare conflitti interetnici. Per alcuni colpevoli di tutto sono i russi, per altri gli ebrei, per altri ancora i tatari, e via dicendo. Non proverò nemmeno a parlare di amore e di rispetto nelle relazioni umane. Noi e voi non siamo maestri di vita, ma politici di professione. Proporrei dunque di pensare dal punto di vista pragmatico alle conseguenze di tutto ciò. Visto che disponiamo di esempi nel passato recente. Una volta ci hanno instillato che i kazaki, gli ucraini e gli altri compagni erano un peso per la Russia. Ricordo benissimo un articolo apparso su un autorevole giornale all’alba della perestrojka.

L’Ucraina, si diceva, è una repubblica in perdita. E ci spiegavano il perché di questa perdita, e come quelli che fino a poco tempo prima erano stati nostri fratelli ci succhiassero il sangue. Alcuni, di certo, ci credettero. E come è finita? Abbiamo perso mezzo paese, mezza popolazione, mezza economia e via dicendo. Se anche adesso crederemo che questi o quelli siano colpevoli di tutto, perderemo ancora mezzo paese, mezza economia. Si può fare. Come si vuole. Ma io ritengo che noi e voi dovremmo opporci fermamente. Noi siamo per la Russia, che è a sua volta per i russi, per i tatari, per i mordvini, per gli osseti, per gli ebrei, per i ceceni, per tutti i nostri popoli, per tutta la nazione russa.

Queste sono le due tendenze principali, le due fondamentali forze politiche che si contrappongono a noi. Possono prendere forma in diversi partiti, coalizioni e via dicendo. Ma è con loro che avremo a che fare nel vicino futuro, negli anni 2007-2008, e sono loro che dobbiamo sconfiggere.

Non è facile. Le vie della democrazia non sono sempre diritte. E non solo in Russia. La democrazia è minacciata da gruppi oligarchici e nazional-isolazionisti in molte regioni del mondo. E aggiungete il terrorismo, la criminalità internazionale. La difficoltà di instaurare la democrazia nel nostro paese e i doppi standard della politica occidentale stimolano la preoccupazione per i valori democratici. E non contribuiscono certo alla popolarità degli ideali democratici le prigioni segrete della CIA in Europa, l’uso illegale della forza in Iraq, le anticostituzionali rivoluzioni arancione nei paesi vicini. Queste cose fanno per l’appunto il gioco degli antidemocratici di tutti i tipi.

È nota a tutti la leggerezza con cui la repubblica di Weimar permise l’ascesa al potere di Hitler. Democraticamente. Propongo di stare all’erta. E di non permettere ai sostenitori dell’oligarchia di distruggere la democrazia attraverso procedure democratiche. Questo riguarda anche gli ammiratori della dittatura nazionalista. Tutti gli oppositori della sovranità popolare.

Vorrei anche ricordare di cosa sono capaci i nostri avversari. Uno dei capi dell’opposizione oligarchica incita alla presa del potere con la forza, un altro ha dichiarato in Gran Bretagna che il petrolio russo dovrebbe essere venduto a 20 dollari al barile. A tal punto desiderava piacere al pubblico occidentale. Viene voglia di dire a questa persona: “Non saranno gli inglesi a votarla, e a questo punto i russi non la voteranno di certo dopo queste dichiarazioni”. E tutte queste storie sul fatto che la Russia è stata corrotta dal prezzo del petrolio. Immaginate che vi dicano: “Com’è che guadagni 20.000 rubli al mese? Diventerai corrotto. Facciamo che d’ora in poi guadagnerai 2000 rubli al mese”. È un’assurdità. Come si può augurare alla propria gente di guadagnare di meno. Non si deve permettere, naturalmente, che risposiamo sugli allori. Ma auspicare il crollo del prezzo del petrolio russo è come minimo stupido.

Ecco dunque che il nostro obiettivo per il 2007 è impegnativo. E l’obiettivo del partito “Russia Unita” non è semplicemente di vincere le elezioni del 2007, ma di pensare e fare di tutto per assicurare il predominio del partito almeno per i prossimi 10-15 anni. Proprio perché quelle forze di cui ho parlato non facciano deviare la Russia da quel percorso al quale oggi è predestinata. Se lo faranno arretreremo di uno o due passi e già con conseguenze poco chiare. Ricordo che il partito liberal-democratico giapponese ha governato per circa 40 anni e ancora oggi è il primo partito del Giappone. Anche i social-democratici svedesi sono stati al potere ininterrottamente dal 1932 al 1976. Niente di che, normale.

Per quanto concerne i principali obiettivi del partito, innanzitutto vorrei ancora una volta mettere in rilievo e sottolineare questo: assimilate la sua ideologia, la conoscete ma è verbalizza. Invece i nostri avversari non hanno alcuna ideologia. Sebbene vi dicano: “Voi non ce l’avete”. Sono loro a non averne una. Non capisco come possano i partiti di sinistra parlare di democrazia e tenere al contempo i ritratti di Stalin. Come possano i liberali parlare di destino liberale della Russia e al contempo formare uno schieramento con i nazisti. Non lo capisco. Questo indica che non hanno un’ideologia, ma solo paranoie: vogliono tornare al potere con ogni mezzo. O come un noto netturbino politico e i suoi compagni: ora chiedono di proibire tutte le organizzazioni ebraiche, ora invitano gli ebrei per lottare insieme contro la xenofobia, ora lottano con gli oligarchi e con i loro soldi. Decidi per cosa lotti. Ecco la loro ideologia. Ma questa non è ideologia, è cinismo mescolato a una disperata avidità di potere. Invece noi abbiamo un’ideologia, e – lo ripeto – è chiaramente delineata in molti documenti, sia di partito, sia presidenziali. Dovete solo spenderci un po’ di tempo, soprattutto quelli di voi che sono direttamente responsabili dell’attività ideologica.

E siccome nello sviluppo della democrazia la il potere della forza si trasforma in potere della parola, vi chiedo di sviluppare le potenzialità della nostra propaganda in ogni regione. E in particolare di lavorare alle questioni del patriottismo locale. Bisogna che tutti si rendano conto che il partito conosce i problemi locali e reagisce a essi. Bisogna formare tutta una classe di propagandisti che siano capaci in linea di massima, come me oggi, di esporre le nostre posizioni, dibattere, discutere.

Sviluppate la discussione interna, non abbiate paura di parlare tra voi se qualcosa non è comprensibile, confrontatevi. Naturalmente sempre nel rispetto della disciplina del partito. Ma il dibattito interno al partito deve svilupparsi. Se non esiste nel partito non esisterà neanche all’esterno. Se non discutete tra voi, non riesco a immaginare come riuscirete a persuadere gli altri.

Dimenticatevi la questione se siate di destra o di sinistra. Il partito è nazionale e qui si sintetizzano, esattamente come nella società, interessi diversi. Da noi c’è posto per gli imprenditori, per i lavoratori, per gli insegnanti, per i medici, per i militari: per tutti.

Nelle regioni-chiave, nelle regioni più estese, bisogna creare gruppi permanenti per la lotta propagandistica contro gli avversari politici. In tutte le regioni dovrebbero esserci delle persone che vengono pagate per questo e che da mattina a sera pensano a come disturbare gli avversari, come indispettirli, come farli apparire sciocchi. Solo così potremo conseguire la vittoria nella lotta politica.

La “risorsa della piazza”. Non in tutte le regioni il nostro partito ha la strada spianata. Mi ci sono scontrato io stesso e so di cosa parlo. Se c’è anche solo una possibilità su cento che nel nostro paese i suoi nemici possano ricorrere alle tecnologie della piazza, dobbiamo essere in grado di reagire con sistemi pacifici e legali. La piazza deve essere nostra sia a Mosca, sia nelle altre grandi città. Non dimenticate che la piazza è anche un metodo di lotta politica sotto forma di manifestazioni pacifiche, di cortei pacifici, e che questo diritto è garantito dalla nostra Costituzione. Dunque uscite un po’ più spesso all’aria aperta. È utile, ve lo garantisco.

La gioventù. Nel partito ci sono piani per attivare il lavoro con i giovani. Voglio solo sottolineare che se nel 2007-2008 il partito non dimostrerà di essere il partito del rinnovamento, che di riuscire a creare occupazione, di attirare altre persone nelle sue file e di promettere loro nuove possibilità, sarà difficile riuscire a pensare alla vittoria. Il partito dovrebbe essere una porta, non un muro. Purtroppo in alcune strutture si sente chiaramente che i capi di partito sono colati nel bronzo, ed è evidente che il semplice lavoratore con le sue mille domande fa fatica ad arrivare fino a loro. In questo senso bisogna essere, a mio parere, un po’ accessibili e creare nei propri ranghi maggiori possibilità per la gioventù.

Bisogna lavorare con i sostenitori e attirare il maggior numero di persone possibili, purché naturalmente non si tratti di estremisti o di farabutti. Direi che tutti coloro che non sono contro di noi sono con noi. Tale è la specificità del momento politico. Vi chiedo di dedicare maggiore attenzione al lavoro con le organizzazioni esterne non partitiche.

Inoltre, dove è vantaggioso e possibile, vi chiedo di entrare in alleanze e in coalizioni anche con i partiti dell’opposizione: gli uni non interferiscono con gli altri. Bisogna lottare contro di loro, ma quando le nostre azioni possono essere solidali bisogna prendere parte ad azioni congiunte. In questo non c’è niente di terribile; anzi, è utile.

Naturalmente, vi chiedo di non dimenticare neanche la realizzazione dei progetti nazionali. Voglio ancora una volta sottolineare che non si tratta di una distribuzione di denaro, ma del tentativo di elaborare nuovi approcci nella concretizzazione delle principali linee politiche. Sapete: le abitazioni, l’istruzione, la sanità e infine le zone rurali. Dopo tanto tempo hanno smesso di dire che là rubano tutti, e finalmente hanno adottato un atteggiamento più serio nei confronti dell’agricoltura. Nei settori dell’agricoltura, dell’istruzione media e superiore e della sanità dobbiamo far sì che alcuni risultati siano già visibili in questo periodo. E abbiamo tutto per riuscirci.

Ancora una volta vi chiedo di studiare più attivamente i documenti ideologici del Presidente e del partito. Voglio ringraziarvi di essere con noi, e di appoggiare il Presidente Putin. Molte grazie. Auguri a tutti voi.

(Traduzione a cura di Manuela Vittorelli)

* Vladislav Jur’evič Surkov – Vice Capo dell’Amministrazione del Presidente della Federazione Russa – è assistente del Presidente della Federazione Russa.
Il testo originale del presente articolo è in: http://www.edinros.ru/news.html?id=111148


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