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LVIII – Mare nostrum o mare alienum?

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“Mi rivolgo a voi Italiani ed a tutti i popoli che si affacciano sulle coste del Mediterraneo. È giunta l’ora che il Mediterraneo torni ad essere il Mare Nostrum, nel senso che deve appartenere unicamente alle nazioni stanziate sulle sue rive. Non possiamo più consentire che potenze geograficamente lontane conservino la supremazia sul nostro mare. Dobbiamo liberarcene, perché i tempi sono maturi per una svolta strategica”. (Mu‘ammar Gheddafi, 30 VIII 2010)

Descrizione

DOTTRINA GEOPOLITICA

Il lago è un elemento morfologico della geografia che ci invita a riflettere su alcune caratteristiche della disciplina geopolitica. Com’è stato ampiamente affermato nell’ambito degli studi geopolitici, un punto centrale di questi è anche il rapporto cognitivo che si instaura tra l’uomo e il suo ambiente, sicché la comprensione di uno spazio determina in un modo o nell’altro il futuro politico e sociale di uno o più popoli. Il Mediterraneo finora è stato considerato nella sua qualità di mare, ma l’influenza che ha esercitato sui popoli che ne hanno abitato le sponde è, per molti versi, analoga a quella che avrebbe avuto su di loro un lago, seppure allargato. Ripensare il Mediterraneo con altre figure e immagini può aiutarci a rinnovare i nostri schemi interpretativi.

DOSSARIO: MARE NOSTRUM O MARE ALIENUM?

La penetrazione statunitense nel Mediterraneo si avvale oggi di nuove basi militari impiantate in Grecia e rivolte a oriente, in funzione sia antirussa sia antiturca. Ma a muovere la nuova politica estera Usa non è il recupero di un’impossibile guerra fredda, bensì la determinazione a imporre ovunque l’egemonia americana, come dichiarato da Donald Trump nel discorso sullo stato dell’Unione. A farne le spese, in un futuro sempre più prossimo, saranno i Paesi che si affacciano sulle acque di un mare sempre meno nostro.

Il conflitto libico si inserisce in un complesso intreccio di interessi energetici e geopolitici che coinvolge non solo i principali Stati regionali, ma anche potenze più propriamente globali. Qualora l’esito di tale conflitto dovesse provocare la progressiva erosione del ruolo di attori extramediterranei nell’area, il processo di formazione di un ordine globale multipolare non potrebbe che trarne giovamento. Tuttavia tale progetto, proprio per la suddetta complessità degli interessi in gioco e per il più che ambiguo influsso dei diversi attori, risulta di difficile attuazione. Questa analisi si concentrerà principalmente sul ruolo che in questo scenario svolgono di alcuni di loro: in particolar modo Russia, Turchia, Stati Uniti, Egitto e Qatar.

Dopo aver proclamato la vittoria nel 2018, il governo di Damasco ha parlato più volte delle possibilità di ricostruire il proprio Paese, organizzando alcuni incontri internazionali ad hoc. Le nazioni che più sono state vicine alla Siria negli ultimi anni, Iran, Russia e Cina, partono da una posizione di vantaggio rispetto agli altri possibili investitori. Tuttavia numerosi segnali indicano che i perdenti della “guerra civile siriana” sono tutt’altro che rassegnati alla sconfitta; approfittando delle sacche di resistenza gihadista ad Idlib e nel nord-est del Paese, Stati Uniti, Israele e i loro alleati europei tentano di rimettere in discussione gli esiti del conflitto attraverso una nuova guerra di logoramento.

Prima l’epoca ottomana, in cui il Mediterraneo (Akdeniz = Mar Bianco) assunse grande importanza, considerata l’estensione dell’impero in questo bacino; poi la Repubblica turca, che ridimensionò notevolmente l’interesse della Turchia per una politica mediterranea, rivolgendo semmai la propria attenzione verso altri spazi, quelli turco foni. Ma con l’avvento della “Turchia di Erdoğan”, all’inizio del 2000, la scelta di una rinnovata “profondità strategica” ha rilanciato la politica mediterranea turca, fatto perfettamente normale trattandosi di un Paese che sul Mediterraneo si affaccia con oltre 4.300 chilometri di coste. L’importanza di tale politica si manifesta soprattutto oggi, allorché le ingenti risorse energetiche rinvenute attorno all’isola di Cipro e nei pressi del litorale mediterraneo meridionale hanno scatenato un conflitto geopolitico e rinsaldato un asse antiturco che vede Israele ed Egitto in prima fila. Intanto la mancata soluzione dell’annosa questione cipriota si traduce in un altro motivo di contrapposizione fra Unione Europea e Turchia, con la prima che rifiuta di prendere atto della presenza turca nell’isola e la seconda che avverte una volta di più l’ostilità ideologica nei propri confronti.

Sarebbe opportuno – i tempi, ormai, sono maturi – che le scienze sociali e le dottrine politiche cominciassero ad approfondire in maniera critica e circostanziata una delle più evidenti peculiarità della politica estera statunitense e del suo modo di porsi sullo scenario della geopolitica planetaria sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello più marcatamente militare o che comunque sottende l’utilizzo e l’esibizione della forza: quello di avere poca dimestichezza col fattore del tempo.

Il “piano del secolo” proposto il 28 gennaio 2020 da Donald Trump e dal suo consigliere-genero Kushner prevede il congelamento della Palestina, condannata a subire l’occupazione israeliana senza soluzione di continuità. Le istituzioni internazionali si sono limitate a una blanda riprovazione dell’arroganza israelo-americana, mentre Israele continua nella sua politica genocida e il dramma dei nativi palestinesi si consuma nella solita indifferenza.

La cosiddetta “questione palestinese”, che per decenni ha costituito uno spartiacque decisivo tra le posizioni in politica estera dei diversi partiti italiani, è progressivamente scomparsa dal discorso pubblico per finire nel dimenticatoio. I motivi di tale oblio sono spiegati sinteticamente in quest’articolo.

I quadri normativi di riferimento dell’attività della Marina Militare Italiana sono, dal punto di vista della dottrina d’uso, il Libro Bianco della Difesa Italiana (DDL del Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2015)  e, dal punto di vista della costruzione e sviluppo, la cosiddetta “Legge Navale” del 2014 – in realtà uno stanziamento pluriennale di 5,4 miliardi di euro approvato nella Legge di Stabilità del medesimo anno . A questi fondamentali indirizzi – parte del quadro normativo dello Stato Italiano – è necessario aggiungere la produzione dottrinaria interna allo Stato Maggiore della Marina, riassunta nelle “Linee di Indirizzo Strategico 2019-2034”. Mentre nei documenti ufficiali – normativi e non – la locuzione “Mediterraneo Allargato” è assente (le si preferisce quella di “Euro-Mediterraneo”), essa è ben presente nel dibattito pubblico e politico. Finalmente si fa largo anche nel nostro paese un dibattito di merito su cosa fare del nostro strumento militare in chiave di interesse nazionale.

Convergente e parallela al tempo stesso alla sfida tra Stati Uniti e Russia per il mercato del gas naturale, la partita euro-mediterranea dell’oro blu vede attivi dei contendenti spregiudicati e agguerriti. Erdogan e Israele sono sempre più protagonisti. L’Italia, per ora, latita incerta sulla strategia da adottare. E paga gli sbagli del presente e del passato, dalla decisione di rinunciare a SouthStream per avere EastMed all’insensata decisione di castrare il sistema estrattivo nazionale attraverso il blocco delle trivellazioni nell’Adriatico. Entrambi questi errori contribuiscono ad aumentare la dipendenza nazionale dai fornitori energetici esterni”.

Nell’identità albanese sono confluite molteplici influenze, ma attualmente questo paese appare soggetto, come molti altri stati che compongono l’ecumene mediterranea, alle spinte omologatrici esercitate dall’egemonia atlantica impostasi nel Mediterraneo all’indomani del Secondo conflitto mondiale.

Già in passato la Chiesa ortodossa ha assunto la guida di sollevazioni popolari, per esempio in Cossovo. Nell’attuale caso montenegrino, anche se a prima vista la materia del contendere è data dalle proprietà della Chiesa, la questione dell’appartenenza dei beni religiosi nasconde una questione più importante, che è ancora una volta la questione nazionale serba. Ecco perché, con la sua determinazione e i suoi accenti mistici, questa rivolta in difesa del sacro – “Ne damo Svetinje! (Non cediamo il sacro!)” – potrebbe sfociare in una rivoluzione. Contro la legge che vuole trasferire i beni della Chiesa ortodossa serba ad una Chiesa di fantasia, o, come dicono alcuni, nella cassaforte di Milo Đukanović e dei suoi amici, dal dicembre 2019 manifestazioni popolari di dimensioni mai viste agitano un paese in cui è stata notata la mancanza di contromanifestazioni di piazza e le ambasciate occidentali sostengono il potere locale. Il presidente statunitense Donald Trump ha lasciato addirittura intendere che “il Montenegro, un minuscolo paese abitato da gente molto aggressiva” potrebbe provocare “la Terza Guerra Mondiale”, qualora, in base all’articolo 5, dovessero intervenire gli altri membri dell’Alleanza Atlantica. In una recente immagine di una riunione della NATO, si vede Trump che sposta brutalmente il presidente di un Montenegro che non si trovava al suo posto. Al di là della frase di Trump, questo minuscolo paese ha una sua importanza per via dei vincoli storici che lo legano alla Serbia e alla Russia, mentre l’adesione alla NATO è recente e fragile. Si può dunque capire che dietro le manifestazioni religiose si profila un braccio di ferro geopolitico tra il mondo atlantico e il mondo eurasiatico. Un proverbio montenegrino afferma: “Noi e i Russi siamo duecento milioni”.

Nel 1992, ad Algeri, “L’Hebdo libéré” pubblicava in prima pagina cinque domande che sono rimaste fino ad oggi senza risposta: “Chi ha assassinato Boumedienne? Chi ha insediato Chadli? Chi ha organizzato il 4 ottobre 1988? Chi ha giustiziato Boudiaf? Chi ha fatto esplodere la bomba all’aeroporto di Algeri?” Accusata, in filigrana, la Francia. Oggi, ci si pone questa domanda: esiste negli uffici segreti dell’ex potenza coloniale un piano di riconquista dell’Algeria, in una forma o nell’altra? Rispondere in maniera affermativa equivarrebbe a far di tutto per farsi passare da complottista.

Paese che, negli anni, ha costituito una delle colonne portanti dell’anima laica della politica araba, la Tunisia si trova attualmente ad affrontare una fase di forti e importanti cambiamenti. L’instabilità politica interna e il posizionamento geografico ne minacciano la stabilità. Sullo sfondo una complessa situazione economica.

Le nazioni tecnologicamente avanzate investono risorse nella ricerca di metodologie volte ad assicurare l’acquisizione dei dati in funzione dell’ascesa dello spionaggio digitale. Il 90% dei documenti viaggia in fibra ottica attraverso i cavi che nelle profondità marine collegano i paesi di ogni continente. Diciotto di questi solcano il Mediterraneo centrale ed approdano in Sicilia. Il controllo militare del Mare Nostrum passa attraverso l’Italia con la rete operativa integrata nella catena di comando, controllo, comunicazione ed intelligence dell’Alleanza Atlantica.

CONTINENTI

Si è soliti interpretare la crisi ucraina come uno spartiacque che ha segnato un profondo cambiamento del modo in cui Federazione Russa ed Unione Europea si percepiscono reciprocamente, segnando l’inizio di un periodo di mutua sfiducia e relativo confronto fra i due attori. In realtà, ad una analisi attenta si può notare che sin dal crollo dell’URSS la Russia ha cercato di instaurare una profonda cooperazione paritaria con la UE e che la sfiducia verso la reciproca interdipendenza ha la sua genesi nella rinazionalizzazione delle imprese energetiche fatta all’inizio del nuovo millennio. La UE, invece, oltre ad aver confusamente accettato l’attuale situazione di reciproca inimicizia ed aumentato le proprie capacità di resilienza e di azione autonoma, non sembra aver ancora deciso che cosa vuole e come comportarsi con il vigoroso vicino.

La morte di tredici soldati francesi, tra Gao e Menaka, nel corso di un’operazione nel Mali, ha fornito l’occasione per molti dibattiti in Francia sui rapporti fra questo paese e l’Africa e sulla giustificazione del mantenimento della presenza militare nel continente africano. 

Il punto di vista di un ex diplomatico italiano sull’attuale situazione del Vicino Oriente. Alberto Bradanini è stato Ambasciatore d’Italia in Iran dall’agosto 2008 al dicembre 2012.

Per lo Yemen, paese da cinque anni straziato da una guerra civile che ha causato la più grave crisi umanitaria del mondo, il 2019 si era chiuso con speranze di pace e una relativa calma sul campo. L’anno nuovo ha infranto con drammatica violenza tali speranze, mentre il conflitto fra Stati Uniti ed Iran rischia di aggravare ulteriormente la situazione del paese.

L’attivismo e la dinamicità della politica estera tedesca nel Vicino Oriente, con particolare riferimento alla monarchia irachena, subito dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, non costituiscono solo oggetto di interessante analisi per via della penuria di materiale di carattere accademico e scientifico al riguardo. Anzi, ciò offre anche un utile spunto di riflessione circa le implicazioni che l’intervento diplomatico tedesco ebbe nell’aver saputo cogliere e catalizzare le istanze provenienti dal panarabismo e dal desiderio di emancipazione dal dominio inglese nell’area. Se ci si sofferma, ad esempio, sull’importanza successivamente rivestita dal panarabismo e dai paesi del Vicino Oriente nel contesto della Guerra fredda, è interessante osservare che il primo Stato ad aver saputo efficacemente sfruttare e far emergere le rivendicazioni delle popolazioni arabe fu proprio il Terzo Reich. Come si avrà modo di analizzare, infatti, dagli sforzi profusi dalla Wilhelmstraße e da Fritz Grobba nel costruire un autentico legame d’intesa politica con il Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini ed i principali movimenti nazionalisti arabi, scaturì tanto una profonda vicinanza ideologica tra la Weltanschauung nazionalsocialista ed il panarabismo quanto un’autentica dimostrazione di forza nel territorio iracheno, non appena fu attuato il colpo di stato.

DOCUMENTI

Articolo apparso nel 1937 sul “Popolo d’Italia” e ripubblicato dall’autore in: Goffredo Coppola, …con la testa sullo zaino, Cappelli, Bologna 1939, pp. 7-10.

Les Arabes et l’Europe, “La Nation Européenne”, n. 29, Novembre 1968, pp. 10-13.

 

INTERVISTE

Intervista rilasciata al periodico “Rébellion” da Yannick Sauveur, autore di una biografia di Jean Thiriart e collaboratore di “Eurasia”.

 

Michele Geraci è stato Sottosegretario di Stato al Commercio internazionale e all’Attrazione degli Investimenti presso il Ministero dello Sviluppo Economico. È un ingegnere elettronico, ex banchiere di investimento, docente universitario di finanza ed esperto di economia cinese. Ha vissuto in Cina dal 2008 al giugno 2018.

RECENSIONI

Daniele Perra, Essere e Rivoluzione (di Claudio Mutti)

Matteo Luca Andriola, La Nuova Destra in Europa (di Amedeo Maddaluno)

Lorenzo Disogra, L’Europa come rivoluzione. Pensiero e azione di Jean Thiriart (di Daniele Perra)

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