Marino Badiale, Massimo Bontempelli
Civiltà occidentale, un’apologia contro la barbarie che viene
Il Canneto Editore, Genova, 2009

Al centro di questo libro, come è scritto nel risvolto di copertina, è posta la nozione di “civiltà occidentale”, la quale è da tempo immemore oggetto di analisi e dibattiti, acquisendo un peso ‘culturale’ sempre maggiore. Tale nozione è sottoposta, nel libro, ad una lunga disamina di carattere storico e filosofico nella quale Marino Badiale e Massimo Bontempelli fanno sfoggio di vasta erudizione citando decine e decine di volumi, dai classici greci alle più recenti opere di storici e filosofi. I due autori, che già hanno firmato insieme l’interessante saggio politico “La Sinistra Rivelata”, in questo nuovo lavoro si concentrano invece sulla “civiltà occidentale” cercando di darne una definizione da un punto di vista storico e filosofico e illustrando il loro punto di vista. La tesi di fondo del saggio, che viene illustrata già nell’introduzione, è che tale nozione pur se contiene elementi di sfuggevolezza e ambiguità incarna anche un grande anelito ‘ideale’ ed escatologico unito ad una forza propulsiva sconosciuta a tutte le altre forme di civiltà apparse sulla Terra. Tale forma di ‘civiltà’, tuttavia, oggi appare in un drammatico e forse irreversibile declino e tale declino è causato da fattori interni all’Occidente stesso.

La riflessione degli autori trae spunto dalle palesi contraddizioni che il concetto di Occidente, inteso comunemente come sinonimo di “civiltà occidentale”, porta in sé e che, per semplificare, include sia il razzismo suprematista del Ku Klux Klan che l’antirazzismo degli attivisti dei diritti umani, sia il colonialismo della fase imperialistica di fine Ottocento che l’ “autodeterminazione dei popoli” di Wilson, sia il ‘fascismo’ italiano, tedesco, romeno, ecc. che l’antifascismo, sia la nascita dello Stato-nazione all’inizio dell’era moderna che l’attuale disgregazione dello Stato-nazione per opera di entità soprannazionali e localismi, ecc..

Secondo gli autori, quindi “non c’è modo di uscire da questo groviglio di contraddizioni se non riconoscendo fino in fondo che la categoria di Occidente è un’invenzione ideologica, e rendendosi conto che in essa sono stati via via inclusi elementi tra loro eterogenei, appartenenti a percorsi di civilizzazione non soltanto diversi, ma reciprocamente incompatibili” (p. 18).

L’Occidente quindi non è né un luogo geografico né una determinata cultura ma, scrivono Badiale e Bontempelli, un’invenzione categoriale nata nel Settecento per includere tutte le civiltà che si sono succedute in Europa (e, dopo lo sterminio dei nativi, anche le Americhe e l’Australia) dall’antica Grecia fino alla rivoluzione francese, designando l’Occidente come luogo della “Modernità” (p. 20, maiuscolo nell’originale). A questo punto però gli autori si guardano bene dal gettare l’acqua sporca e tentano un’operazione di ‘salvataggio del presunto bambino’ spiegando che c’è “nell’ambito della più vasta storia racchiusa nella categoria di Occidente, un nucleo più ristretto di situazioni che rivelano una forza civilizzatrice specifica rispetto ad altre civiltà, ed in linea di principio unitaria. Tali sono il razionalismo moderno, le idee illuministiche, gli ideali connessi alla rivoluzione francese, la formazione degli Stati-nazione, lo storicismo. In questo nucleo può venire identificata qualcosa come una civiltà occidentale” (ibidem).

La ‘civiltà occidentale’ quindi è a tutti gli effetti il ‘bambino’ dell’Occidente e della Modernità. Nella prima parte del libro gli autori illustrano uno ad uno quali sarebbero i pilastri della ‘civiltà occidentale’: i diritti dell’uomo, la libertà individuale, lo stato-nazione e la memoria storica, la razionalità e il progresso. A questi ‘sacri’ principi si contrappongono le ‘eresie’ nate in seno all’Occidente come reazione ai suddetti pilastri. Ecco quindi che alla libertà individuale e ai diritti dell’uomo si contrappone, secondo gli autori, la bestia del cesarismo. Il cesarismo moderno che ha la sua prima incarnazione in Occidente nell’impero di Napoleone Bonaparte e l’ultima nel Terzo Reich si prefigge l’obiettivo di realizzare una società organica attraverso la forma politica, perciò si configura come un processo di sviluppo che nasce dentro la civiltà occidentale e che progressivamente, con il procedere delle sue ‘reincarnazioni’, ne fuoriesce.

Il metro per misurare di quanto un dato regime politico fuoriesce dalla civiltà occidentale è dato, secondo gli autori, dal rispetto della ‘libertà individuale borghese’ (sic). Interessante è la spiegazione che viene fornita per accordare la preferenza, o meglio la minor demonizzazione nella classifica dei cesarismi, all’Unione Sovietica staliniana rispetto al Terzo Reich hitleriano: “Il Terzo Reich hitleriano è del tutto fuori dalla civiltà occidentale perché manomette fino alle radici le libertà borghesi che le sono coessenziali, e ne è fuori molto di più di quanto non lo sia la stessa Unione Sovietica staliniana, che conserva almeno un legame di principio con l’idea di una società in cui il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti. Non è certo casuale, infatti, che negli anni Quaranta del Novecento le democrazie occidentali si siano trovate a combattere, alleate dell’Unione Sovietica staliniana, contro l’Europa fascista guidata dal Terzo Reich hitleriano.

L’Italia mussoliniana, in quanto schierata in guerra a fianco del Terzo Reich, si è trovata fuori dalla civiltà occidentale, fra i suoi nemici, e vi è rientrata attraverso la Resistenza antifascista e la Costituzione repubblicana” (p. 43). Se ne deduce quindi che i valori della ‘civiltà occidentale’ cari agli autori coincidono con quelli della democrazia anglo-americana bombardatrice di Dresda ed Hiroshima e che ci si può fregiare del titolo di membri della suddetta ‘civiltà’ in base all’atteggiamento nei confronti del Nazismo che è visto contemporaneamente come estraneo alla civiltà occidentale e allo stesso tempo ‘espressione estrema’ dell’imperialismo occidentale (una simile schizzofrenia di linguaggio è comune ad altri autori di simile formazione, si veda la recensione di C. Mutti al libro di D. Losurdo, Il linguaggio dell’Impero. Lessico dell’ideologia americana, apparsa sul n. 3/2007 di Eurasia). Ci si aspetterebbe che una tale netta scelta di campo in favore dell’Occidente sia per lo meno suffragata da una qualche disquisizione di ordine geopolitico o politico-ideologico ed invece, come vedremo, tutto il libro si mantiene su di un piano prettamente storico-filosofico.

Come detto, la civiltà occidentale, secondo gli autori, rappresenta il frutto ‘buono’ dell’Occidente da questo generatasi come risultato di una serie di conquiste progressive, principalmente di ordine filosofico-morale e non sempre necessariamente in maniera consapevole da parte dei vari pensatori, filosofi e intellettuali che hanno contribuito alla sua formazione. Tale forma di ‘civiltà’ però ha la singolarità di essere incompleta e contraddittoria, infatti sempre dal suo seno nascono quei tentativi di riformarla o perfezionarla che portano inevitabilmente al cesarismo e agli esperimenti (veri o presunti) per istituire una ‘società organica’ che si rivelano sempre errati e illusori. La società organica infatti è l’esatto opposto della civiltà occidentale perché nega la libertà individuale: alla (teorica) libertà di scelta dell’Occidente si contrappone infatti l’esonero dalla scelta.

L’individuo appartenente alla società organica non può compiere atti con fine se stesso in quanto è solo un mezzo rispetto al fine della riproduzione del gruppo (cfr. p. 44). La civiltà occidentale in quanto ‘civiltà incompiuta’ non può quindi far altro che generare ‘mostri’ i quali non sono altro che tentativi di porre un freno proprio al suo nucleo costitutivo cioè l’individualismo, ma non avendo ancora trovato una regola sociale che risolva il problema dell’inessenzialità della libertà individuale ne consegue che il suo destino si compia nella postmodernità ovvero con “la dissoluzione della libertà individuale nel nichilismo” (p. 45). Secondo gli autori, con l’abbandono dell’hegelismo, il cui intento era portare la libertà individuale al suo pieno compimento, si è prodotta la prima grave frattura tra Occidente e civiltà occidentale che in seguito non potrà che diventare sempre più netta, portando l’Occidente a voltare le spalle alla società dei diritti da esso precedentemente elaborata. Nella seconda parte del libro gli autori passano ad elencare gli aspetti che la civiltà occidentale avrebbe ereditato dalle precedenti civiltà e che avrebbe poi inglobato nel suo sistema di valori, la civiltà occidentale avrebbe nell’ordine le sue radici: nella cultura greca antica, nella cultura ellenistica, nel diritto romano, nel cristianesimo antico, nel cristianesimo medioevale. Va notato che l’uso del termine Occidente, che i due autori fanno è oltremodo ambiguo, volendo distinguere tra Occidente (termine con valenza negativa) e civiltà occidentale (con valenza positiva) si crea solo confusione dato che nel mentre si afferma, giustamente, che l’Occidente è un termine creato appositamente per veicolare una certa ‘visione del mondo’.

Tanto valeva abbandonare del tutto tale termine ideologico per definire l’Europa evitando così i continui equivoci. A parte questo il saggio soffre di una eccessiva volontà di schematizzazione ed incasellamento, soprattutto nella parte centrale, che provoca evidenti forzature, volendo assegnare a questo o a quel personaggio storico il merito di aver introdotto un particolare concetto che è entrato a far parte della civiltà occidentale (come Platone, visto quasi come un precursore dello stile di vita borghese, cfr. p. 129). In realtà una delle caratteristiche dell’Occidente è proprio quella di assimilare ogni cosa e di appropriarsi indebitamente dei lasciti di altre civiltà per crearsi una ‘narrazione autolegittimante’, gli autori fanno la stessa cosa con il ‘bambino buono’ ovvero la ‘civiltà occidentale’ identificata con un idealismo assoluto, scaricando tutto ciò che stona con questa narrazione sulle spalle del ‘padre cattivo’, l’Occidente. È una operazione artificiosa, in quanto si vuole attribuire la qualifica di ‘civiltà’ ad un insieme eterogeneo di tratti estrapolati dai loro rispettivi contesti, con il risultato di accettare il paradigma imposto dall’Occidente e di convalidarlo ulteriormente. A questo proposito vale la pena soffermarsi sulla visione del cristianesimo dei due autori e sul giudizio che ne danno in relazione con la ‘compatibilità’ con i valori della civiltà occidentale. Innanzitutto per Badiale e Bontempelli Gesù Cristo è certamente un personaggio storico realmente esistito ma che ha poco o nulla a che vedere con quello dei vangeli. Il vero Cristo secondo gli autori (che si rifanno alle teorie esposte nei libri di A. N. Wilson e S. Dianich) era si un Messia, ma un messia degli ebrei, un rivoluzionario e sovversivo ebreo in lotta contro l’imperialismo romano. Per “complessi motivi” (p. 150) gli evangelisti e S. Paolo hanno invece deciso di propagandare una versione di Gesù divinizzata ed estrapolata dal suo originario contesto prettamente giudaico, arricchendo il racconto con elementi presi dalla tradizione ellenistica e dai culti misterici, facendone il fondatore di una nuova religione, addossando la colpa della sua morte sugli ebrei invece che sui romani e “dando così inizio alla terribile storia della giudeofobia della Chiesa cattolica” (ibidem). Secondo gli autori il Cristo-Dio della Chiesa rappresenta un “regresso etico” (p. 151) rispetto al messia-ribelle ebreo della storia in quanto “la sua totale destoricizzazione […] ha significato la cancellazione di quelle speranze messianiche, coltivate da Gesù, di una liberazione umana attraverso un nuovo ordine politico-sociale da realizzarsi contestualmente all’abbattimento dei poteri derivati dall’Impero Romano” (ibidem).

A questa trasfigurazione della figura di Cristo gli autori addebitano quindi i successivi accordi tra cristianesimo e Impero e la successiva ‘corruzione mondana’ e ‘cooperazione con il potere’ della Chiesa cattolica. La perdita ‘spirituale’ operata dal cristianesimo quindi è netta, infatti “la rescissione dei legami della fede con il Gesù storico [il sovversivo ebreo anti-romano caro agli autori] ha significato perdere le speranze messianiche, far cadere completamente nell’oblio il senso in cui Gesù intendeva il Regno e non avvertire più alcuna necessità di contrapposizione ai poteri mondani per una liberazione terrena dell’uomo dall’oppressione sociale e morale” (p. 152).

La conclusione che se ne trae è che per i due autori l’Antico Testamento e la religione giudaica, per quanto esclusivista, sono eticamente superiori rispetto al cristianesimo. Tuttavia gli autori aggiungono anche che il cristianesimo, pur rappresentando un ‘regresso spirituale’, ha introdotto un concetto fondamentale per la ‘civiltà occidentale’, quello di “universalità e di eguale dignità degli esseri umani” (p. 153) per ottenere il quale bisognava sottrarre Cristo al suo originario “contesto ebraico” (ibidem). È chiaro il tipo di religione che secondo gli autori è compatibile con la civiltà occidentale: un cristianesimo senza Dio, ridotto al rango di un vago umanitarismo: “la civiltà occidentale è antropocentrica, mentre la civiltà cristiana medioevale è teocentrica” (p. 162).

Questa religione atea dell’umanitarismo moraleggiante che gli autori imprimono in tutte le pagine del libro finisce per trasformarlo, a prescindere dalle loro intenzioni, in una appassionata apologia dell’Occidente stesso, il quale, come è noto, ha sempre utilizzato la retorica della democrazia, del progresso e dei diritti umani, per legittimarsi nelle sue guerre di espansione ai danni soprattutto del continente eurasiatico, comprese le due ‘guerre mondiali’ che andrebbero invece rinominate ‘crociate dell’Occidente (ovvero degli Stati Uniti) contro l’Europa’.

Gli autori in tutto il libro sono troppo occupati a dare patenti di cosa è ‘compatibile’ con la civiltà occidentale per accorgersi che il presunto ‘scontro di civiltà’ attualmente in atto tra Occidente e Islam non è altro che la terza fase di una progressiva espansione economica, militare e culturale che ha visto come tappe precedenti lo scontro con i ‘fascismi’ e quello successivo con il ‘blocco socialista’. Tutto questo non solo per motivi di tipo economico o geopolitico, ma anche perché in questi tre sistemi sono o erano presenti, in misura diversa, elementi che li rendono estranei ed irriducibilmente ostili all’espansione dell’Occidente, il quale del resto ha utilizzato contro di loro sempre le stesse vecchie armi (disumanizzazione, retorica dei diritti umani e della democrazia, ecc.).

Per concludere, è necessario un appunto sul concetto di “capitalismo assoluto” (p. 262) protagonista della terza e ultima parte del libro e indicato da Badiale e Bontempelli come causa della crisi e decadenza della civiltà occidentale. Tale concetto, frutto di una visione puramente economicistica del mondo, è fuorviante. Sarebbe piuttosto corretto utilizzare il termine di ‘individualismo assoluto’ per definire la causa e allo stesso tempo l’origine della civiltà occidentale, la cui crisi quindi è scritta nel suo DNA e non è scongiurabile come vorrebbero idealmente fare gli autori utilizzando le stesse armi del nemico ed esortando a “combattere la barbarie dell’Occidente per salvare i valori della civiltà occidentale” (p. 187). Insomma gli autori pretendono di combattere l’Occidente usando le stesse armi che quest’ultimo usa per distruggere le resistenze che sorgono alla sua avanzata, non volendo capire che sono le armi stesse il veicolo dell’ideologia che intendono combattere, quindi accettando gli astratti valori dell’Occidente (la civiltà occidentale) come superiori a qualunque altra cosa e da difendere ad ogni costo, si accetta il paradigma imposto dal nemico e anzi lo si convalida ulteriormente, e gli Stati Uniti ringraziano.


* Antonio Grego, laureato in Scienze politiche, è autore del libro
Figlie della stessa lupa. Storia dei rapporti tra Italia e Romania alla vigilia della seconda guerra mondiale, Fuoco Edizioni, Roma. Alcuni suoi saggi sono usciti in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, tra cui: L’immigrazione romena in Italia e reti transnazionali europee (nr. 4/2006, pp. 101-114). È socio dell’IsAG – Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie.


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