L’assalto dei sostenitori del presidente uscente Jair Bolsonaro alle sedi istituzionali a Brasilia richiama quanto avvenuto due anni prima a Washington, consegnando nuovamente l’immagine di un uomo ossessionato dal voler replicare le azioni dell’ex presidente Usa Donald Trump. D’altro canto, però, uno sguardo alle vicende dell’intero subcontinente evoca ben altri spettri con le ripetute (e talvolta vittoriose) rivolte aventi come fine il sovvertimento dell’ordine precostituito in nazioni che il voto popolare aveva consegnato a governi non affini agli interessi degli Stati Uniti.

 

Karl Marx sosteneva che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Le immagini giunte dalla capitale brasiliana domenica 8 gennaio hanno ricordato la farsa inscenata dai sostenitori del tycoon statunitense Donald Trump ma anche la tragedia che numerosi popoli limitrofi a quello verde-oro hanno vissuto nel recentissimo passato.

Se i fuochi della rivolta in Perù risultano ancora fumanti, non appaiono così lontane le barricate innalzate nei quartieri beni di Caracas e Managua contro i legittimi governi e ancor meno lontano è il colpo di Stato subito da Evo Morales in Bolivia, che ha aperto, nell’unico modo possibile, la strada del governo della nazione andina alle oligarchie della destra liberale, seppur per breve tempo.

Approfittando della connivenza della polizia locale, dell’assenza del neoeletto Lula, recatosi nel dipartimento di San Paolo per mostrare vicinanza alla popolazione delle aree alluvionate, nonché del giorno festivo, alcune migliaia di sostenitori bolsonaristi hanno fatto il loro ingresso nei palazzi che fungono da centro nevralgico della democrazia sudamericana devastando uffici e arredamento.

L’ambiguità di Bolsonaro e il ruolo dei militari

Davanti alle immagini che non lasciano alcun dubbio sugli avvenimenti l’ex presidente ha preso le distanze dalla violenza, tentando, però, di mettere in relazione questo attacco al cuore dello Stato agli scioperi generali degli scorsi anni proclamati dai corpi intermedi di sinistra.

Le parole di Bolsonaro sono giunte direttamente dalla Florida, dove si è recato, non a caso, due giorni prima della consegna della fascia presidenziale a Lula. La stessa Florida è residenza prediletta di Donald Trump e del suo cerchio magico. Se la motivazione fornita, quella relativa a cure mediche di cui il sessantasettenne Bolsonaro avrebbe bisogno ciclicamente in seguito all’attentato che lo ferì all’addome, appare verosimile, è inevitabile pensare che si sia trattato di un escamotage per evitare una legittimazione nel passaggio di testimone a Palácio do Planalto all’uomo identificato fin dalla prima campagna elettorale nel 2018 come il suo principale avversario.

Non bisogna dimenticare nemmeno che Bolsonaro si è sempre rifiutato di riconoscere la sconfitta elettorale patita al secondo turno delle elezioni presidenziali lo scorso 30 ottobre, sostenendo ripetutamente di essere a conoscenza di “evidenti brogli” di cui, però, non ha mai offerto la benché minima prova e che persino il Tribunale Elettorale ha smentito.

Se Bolsonaro appare il mandante morale degli avvenimenti, è seguendo il filone dei finanziamenti giunti ai manifestanti che sarà possibile fare luce su chi ha innescato la miccia.

Fin dal primo momento i sospetti si sono orientati verso i militari, da sempre colonna portante del potere politico in terra lusofona, i quali fin dall’esito elettorale hanno permesso ai fan della coalizione liberale di accamparsi davanti al loro quartier generale a Brasilia. A non muovere un dito, però, è stata anche e soprattutto la polizia locale, che ha lasciato campo libero agli attivisti senza opporre alcuna resistenza.

Questi atteggiamenti hanno comportato delle conseguenze immediate: Lula, rientrato nella capitale, in accordo con Flavio Dino, nominato al dicastero della Giustizia, ha posto l’intero distretto sotto l’intervento federale che, una volta entrato in azione, ha eseguito oltre 1.500 arresti. Di pari passo Alexandre De Moraes, giudice della Corte Suprema Federale, ha rimosso per i prossimi 90 giorni il governatore dello Stato Ibaneis Rocha, le cui scuse per l’immobilismo dimostrato sono apparse del tutto tardive e irrilevanti.

La solidarietà al governo di Lula rilancia una visione multipolare

Anche se la condanna ufficiale delle violenze è giunta in maniera più o meno formale da varie capitali, assumono maggior peso, alla luce dei primi passi mossi dal reinsediamento di Lula, le parole degli altri membri dei BRICS. Tra questi, la Federazione Russa, che tramite Dmitrij Peskov, addetto stampa del presidente, ha espresso il pieno sostegno di Mosca al governo di Lula.

Il Brasile, che nel corso della presidenza Bolsonaro aveva quasi del tutto trascurato il campo dell’acronimo che riunisce le principali potenze regionali del pianeta, è destinato ad assumere un ruolo guida nel trainare nuovi componenti per allargare l’intesa a Stati che hanno già fatto richiesta di adesione al partenariato. Per quanto attiene strettamente al mondo sudamericano, fin dalla vittoria di fine ottobre Lula ha posto in evidenza la necessità di rilanciare il Mercosur aprendo all’ingresso della Bolivia e annunciando la ripresa delle relazioni diplomatiche con il Venezuela di Nicolas Maduro.

Restano da chiarire i ruoli avuti nella vicenda da Steve Bannon, probabilmente la mente dell’operazione giunta ad un secondo fallimento dopo il tentativo di esportare sul suolo europeo il proprio progetto, e dall’apparato della Cia. Il sogno statunitense di riaffermare la dottrina Monroe nell’ex cortile di casa sta subendo continue sconfitte per mano del voto popolare, che ha sottratto agli USA il più popoloso stato sudamericano, nonché gli antichi fortini cileno e colombiano, e garantisce un ottimo stato di salute ai governi di “nazioni canaglia” quali Venezuela, Nicaragua e Bolivia.


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Luca Lezzi nasce a Salerno il 22 febbraio 1989, laureato in Scienze politiche si è specializzato in Storia contemporanea e geopolitica dell’America Latina. Collabora con diverse testate, fra le quali ElectoMagazine e Diorama letterario oltre ad aver fondato, nell’autunno 2019, la rivista di approfondimento politico-culturale Il Guastatore, di cui è editore e coordinatore di redazione. Coautore del libro “Il socialismo del XXI secolo. Le rivoluzioni populiste in Sudamerica” (Circolo Proudhon edizioni, 2016), è autore del saggio biografico “Juan Domingo Perón” (Fergen, 2021). Cura per le case editrici milanesi Oaks e Iduna una collana sulle guide dell’antimperialismo. Studioso del sindacalismo e delle tematiche ad esso affini è autore del saggio storico "Filippo Corridoni. La vita e le idee dell'Arcangelo Sindacalista" (Passaggio al Bosco, 2021) e caporedattore della testata “Partecipazione”, organo dell’istituto Stato e Partecipazione.