Claudio Mutti, L’unità dell’Eurasia, Effepi, Genova 2008

Con L’unità dell’Eurasia Mutti prosegue quel percorso che aveva intrapreso tre anni prima col libro intitolato Imperium. Epifanie dell’idea di impero. Si tratta di saggi (undici saggi dopo i sei del volume precedente) aventi ciascuno una sua validità autonoma, ma tutti insieme costituiscono un complesso contributo all’idea di Eurasia.

Il concetto di Eurasia dell’autore – quanto meno sulla base di gran parte di questi saggi – ci risulta più simpatico che non quello dei rappresentanti del cosiddetto neoeurasiatismo, sebbene anche lui venga spesso annoverato fra questi ultimi. Nel caso suo si tratta di un eurasiatismo fondato su basi di filologia classica, dove però la filologia non si restringe entro i limiti del mondo greco-romano. Saggi come questi, riguardanti Giuliano Imperatore, Attila, Alessandro Magno (sulle tracce di un’opera di Benedetto Antelami), Federico II, quindi i Persiani, gli Sciti, i Sarmati, gli Alani, gli Avari, gli Unni, i Magiari, l’Islam europeo, i temi indiani nel capolavoro di Dante e poi ancora Alessandro Magno, non hanno nulla a che fare con un eurasiatismo chimerico. Come abbiamo osservato, essi posseggono spessore filologico, trasmettono informazioni attendibili, le quali, se anche sono note agli studiosi, si trovano composte in un quadro organico destinato ad un pubblico non specialista e a volte presentano vedute originali. Per quanto concerne lo studio su Attila ed altri argomenti, l’odierna intelligencija ungherese dovrebbe veramente vergognarsi di non essere in grado di scrivere in maniera così interessante ed equilibrata come un autore italiano.

Accanto a tutto ciò, sono un po’ troppo bizzarri i rimandi a Thiriart e a Trubeckoj o a Savickij, i quali – accanto ad altri – hanno degradato il concetto di Eurasia trasformandolo in un tema eccessivamente russo. Anche se gli ultimi due, esponenti dell’eurasiatismo russo degli anni Venti del secolo scorso, non erano nazionalisti nella stessa misura in cui lo è oggi in Ungheria, per fare un nome, Gabor Pap, nei loro scritti eurasiatisti l’avversione per il mondo indogermanico nasce, in maniera analoga, dal pregiudizio nazionalista.

D’altra parte, anche altrove gl’iniziatori dell’eurasiatismo sono spesso tali che fin da principio non possono produrre un’idea profonda, pura, spirituale. L’antiamericanismo, per quanto necessario, è troppo poco per questo; la geopolitica non è una base sufficiente; l’orientamento filocinese, filonordcoreano o filosovietico sono fattori semplicemente immondi e torbidi. Purtroppo l’idealismo di Mutti, come risulta in questo libro in relazione alla Russia o al presunto eurasiatismo di Eliade, è spesso incontrollato; manca quel metidealismo che, come scriveva Evola, “regna al di sopra delle idee e della forza dell’idea”.

“Eszaki Korona” (Budapest), luglio 2009, pp. 102-103.


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