Si sono svolte, cinque anni dopo quelle precedenti, le elezioni amministrative in Turchia: i commenti occidentali in merito sottolineano impietosamente “la sconfitta”, a volte “la batosta” di Erdoğan e del suo partito AKP e la vittoria “delle opposizioni”.

I dati attestano che c’è del vero in tali commenti, ma un esame maggiormente approfondito rivela il senso dei risultati e forse la loro prospettiva.

I dati, dunque: il maggior partito dell’opposizione, il progressista e laicista CHP, si afferma come primo partito – a livello, ripetiamo, amministrativo – con il 37,8 % dei voti (30,1 % nel 2019) a fronte del 35,5 % (44,3 % nel 2019) dell’AKP. Un notevole successo elettorale, cui si aggiunge l’avere largamente prevalso nelle grandi città, in particolare a Istanbul (51,1 % contro 39,6 %, con la conferma del sindaco uscente Imamoğlu) e soprattutto ad Ankara, dove il candidato del CHP Yavaş (che paradossalmente in turco significa “lento”…) ha strapazzato quello dell’AKP con quasi 30 punti percentuali di vantaggio.

Nel complesso il CHP ha conquistato 35 province, l’AKP 24, i filocurdi dell’Hakların Eşitlik ve Demokrasi Partisi (DEM) 10, il nazionalista MHP 8, il tradizionalista e antioccidentale Yeniden Refah Partisi (YRP) 2 mentre una provincia a testa hanno conquistato il centrista e occidentalista İyi Partisi e il sovranista Büyük Birlik Partisi (BBP).

Indubbiamente il peso degli argomenti di carattere amministrativo e locale – come in genere succede in questo tipo di elezioni – è consistente; tuttavia vanno tenute in conto anche considerazioni di ordine più generale, a partire – sul fronte interno – dalla forte preoccupazione per l’inflazione, non sufficientemente bilanciata dall’aumento di stipendi e pensioni (e i pensionati rappresentano in Turchia quasi un quarto degli elettori). Il capo del CHP, Özgür Özel, ha affermato che il messaggio dell’elettorato punisce “il cattivo servizio e la malafede”, “chi schiaccia la democrazia e mina lo Stato di diritto”. Il clamoroso risultato di Ankara dimostra che l’AKP non ha saputo contrastare efficacemente la propaganda laico-kemalista, nonostante il particolare impegno profuso da Erdoğan nel corso della campagna elettorale, mentre il CHP ha saputo collegare le sue parole d’ordine alla denuncia di politiche insufficienti da parte governativa.

Tuttavia la notevole affermazione dello YRP di Fatih Erbakan – figlio del leggendario Necmettin Erbakan, l’ex Primo Ministro estromesso dai militari filoNATO per le sue coraggiose prese di posizione nella politica interna e in quella estera – fornisce un’altra chiave di lettura delle elezioni. Il segretario dello YRP – che ha conquistato Şanlıurfa e (nel cuore dell’Anatolia) Yozgat, diventando con il 6,2 % il terzo partito nazionale – ha indicato i motivi di tale successo, conseguito a scapito dell’AKP di Erdoğan, responsabile di una politica compromissoria sulla Palestina e sul sionismo. Ad una vigorosa denuncia dei crimini commessi dagli assassini sionisti – sottolinea Erbakan – è corrisposta da parte del governo la compiacenza verso le tante aziende turche che continuano a fare affari nello Stato ebraico. Anche la doverosa espulsione dell’ambasciatore israeliano non ha avuto luogo, mentre il radar installato dalla NATO a Kürecik (Malatya) prosegue la sua attività di spionaggio a favore di Israele. Infine l’YRP ha giustamente lamentato la prosecuzione “dell’economia del debito e degli interessi” e l’incerta risposta alla crisi economica. All’affermazione dell’YRP si può accostare anche la vittoria del BBP a Sivas: si tratta in entrambi i casi di due formazioni alleate dell’AKP nelle elezioni presidenziali e legislative dello scorso anno, le quali adesso esprimono critiche per così dire “migliorative” ed esortano alla coerenza il partito del presidente Erdoğan.

Il ministro degli Esteri israeliano ha da parte sua inviato le congratulazioni di Tel Aviv a “Ekrem Imamoğlu a Istanbul e a Mandur Yavaş ad Ankara; è arrivato un messaggio chiaro a Erdoğan: l’istigazione contro Israele non funziona più”. Le preferenze sioniste circa le scelte elettorali turche sono insomma chiaramente espresse. L’AKP di Erdoğan potrà riflettere su di ciò e sulla sua battuta d’arresto elettorale, valutandone con attenzione le ragioni. I casi di Ankara e di Şanlıurfa, pur così diversi, offrono ampio materiale di discussione.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.