Più passa il tempo e più Israele appare incontrollabile, mentre la comunità internazionale sembra incapace di trovare un modo efficace per contenere il crescente nervosismo di Tel Aviv, costretto a fare i conti con un calo di gradimento a livello internazionale

 

Dal 7 ottobre qualcosa è cambiato. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, Tel Aviv ha visto calare le sue quotazioni a livello internazionale: le sempre più numerose manifestazioni che si tengono ovunque a sostegno della Palestina dimostrano che Israele non gode più così tanto del favore popolare, mentre le diplomazie di tutto il mondo non nascondono l’irritazione nei confronti della politica genocida pervicacemente perseguita da Netanyahu. Di pari passo, si moltiplicano episodi che solo pochi mesi fa sarebbero apparsi a dir poco sconcertanti, ma che oggi sembrano far parte di una realtà distopica con la quale si fatica a fare i conti.

Così, il 26 ottobre 2023 Dror Eydar (ex ambasciatore israeliano in Italia), intervenuto come ospite della trasmissione di Rete 4 “Stasera Italia” condotta da Nicola Porro, ha dichiarato: “Noi non siamo interessati a discorsi razionali. Ogni persona che minaccia un ebreo, che vuole uccidere un ebreo, deve morire. L’obiettivo è distruggere Gaza, questo male assoluto”.

Così, il 5 novembre 2023 Amihai Eliyahu, ministro del Patrimonio di Israele, ha sostenuto che “una bomba atomica su Gaza potrebbe essere una possibilità, anche se ne andasse della vita dei 240 ostaggi israeliani, perché le guerre hanno un loro prezzo” (persino Netanyahu non ha gradito, infliggendogli una pena atroce – sospensione a tempo indeterminato).

Così, nel dicembre 2023 l’attrice israeliana Tzofit Grant, in un’intervista rilasciata alla televisione israeliana, ha detto che per lei i palestinesi sono “schifosi falliti dai sandali puzzolenti, disgustosi, stupratori, ributtanti. Non ci vedo nulla di umano. ‘Siamo tutti esseri umani’… No! No! Le persone sono il prodotto del modo in cui crescono. E se sono cresciuti come parassiti, ecco cosa diventano. Parassiti repellenti, stupratori ripugnanti, una disgustosa lercia sozzura”[i].

Così, il 21 gennaio 2024 il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz, nel corso del suo intervento al Consiglio Ue, ha rilanciato l’idea (risalente al 2017) di costruire davanti a Gaza un’isola artificiale in cui far vivere i palestinesi della Striscia. Va detto che la quasi totalità dei ministri europei ha ignorato la proposta.

Così, il 25 febbraio 2024 il controverso rapper e attore statunitense Kid Rock, partecipando al podcast “The Joe Rogan Experience”, ha affermato che “Israele dovrebbe cominciare a uccidere 30 o 40 mila palestinesi alla volta fino al rilascio degli ostaggi”.

Nella stessa giornata Aaron Bushnell, un aviatore americano di 25 anni, si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington dopo aver annunciato sui social di “non voler essere più complice del genocidio” e di essere pronto ad una “estrema protesta che, se si guarda alle sofferenze della gente di Gaza per mano dei suoi colonizzatori, è tutt’altro che estrema”. Le sue ultime parole, ripetute fino alla morte, sopraggiunta il 26 febbraio, sono state “Free Palestine”[ii]. Sul web gira un fermo immagine che ritrae il giovane agonizzante tra le fiamme e soccorso da una guardia con l’estintore, mentre un agente in borghese (israeliano o americano) gli punta contro una pistola.

Intanto circolano video dai quali emergerebbe la diretta responsabilità delle forze armate israeliane nell’uccisione di numerosi civili israeliani il 7 ottobre, mentre il “New York Times” avvia un’inchiesta interna sulla giornalista israeliana Anat Schwartz: la donna è accusata di aver violato la politica del giornale condividendo sui social diversi post inneggianti alla violenza contro i palestinesi, e segnatamente uno che esortava l’esercito israeliano a trasformare Gaza in un “mattatoio” se agli ostaggi di Hamas fosse stato “torto un capello”. La Schwartz ha scritto per il quotidiano statunitense alcuni articoli, tra cui un reportage incentrato sulle violenze sessuali commesse dai guerriglieri di Hamas in occasione dell’attacco del 7 ottobre, e che a quanto pare sarebbe stato inventato di sana pianta dalla stessa Schwartz. Ora è emerso che la giornalista sarebbe in realtà una regista, e che in passato avrebbe prestato servizio nell’intelligence israeliana[iii].

L’impressione generale, insomma, è che non soltanto la cosiddetta “questione palestinese” sia sfuggita di mano alla comunità internazionale, ma che il tutto stia scivolando in una dimensione sempre meno razionale, almeno per quanto riguarda l’entità nota come Stato di Israele e i suoi sostenitori. E non posso fare a meno di pensare a quello che scriveva lo psicoanalista junghiano James Hillman nel 1985, quando c’erano ancora l’Urss e la Guerra fredda. In uno studio sulla paranoia, Hillman faceva alcune considerazioni tragicamente attuali: dopo aver ricordato che il concetto di paranoia come deviazione dal pensiero razionale è ben presente nel mondo antico[iv], l’autore richiama la platonica “metafora radicale della relazione tra psiche e polis, tra anima e città, l’analogia esistente tra lo stato dell’anima e l’anima dello Stato. Se esiste […] uno stato paranoide dell’anima […] possiamo aspettarci di trovare un’analoga psicologia paranoide nello Stato”.

E, di seguito, elenca una serie di caratteristiche convenzionalmente attribuite all’anima paranoide che a suo avviso possono essere lette anche come descrizioni dell’anima dello Stato paranoide:

  • “Sospettosità e diffidenza pervasive e infondate”;
  • “Il soggetto è ipervigile e prende precauzioni contro le minacce percepite”;
  • “Percepisce una gamma eccezionalmente vasta di stimoli”;
  • “Tende a non assumersi la colpa anche quando essa è dimostrata”;
  • “Mette in dubbio la lealtà altrui”;
  • “Insiste sulla necessità della segretezza”;
  • “È severo e critico nei confronti del prossimo”;
  • “Tendenza a reagire attaccando”;
  • “Non è disposto ad accettare compromessi”;
  • “Intensa rabbia repressa”;
  • “Competitivo, ambizioso, aggressivo, e ostile e distruttivo più della norma”;
  • “Provoca negli altri disagio e paura”;
  • “Evita le attività di gruppo se non detiene il ruolo dominante”;
  • “Evita le sorprese cercando di anticipare”;
  • “Teme una resa passiva”;
  • “Mette continuamente alla prova gli amici […] finché questi si allontanano o diventano antagonistici”;
  • “Smodata paura di perdere la facoltà di determinare gli eventi secondo i suoi personali desideri”;
  • “Trasformazione della tensione interna in tensione esterna”;
  • “Continuo stato di mobilitazione totale”;
  • “Il cedere a una supremazia esterna o alle pressioni interne è visto come un potenziale pericolo”;
  • “Paura di manovre che lo inducano a rinunciare a qualche elemento di autodeterminazione”;
  • “Non è amichevole; vuole solo sembrarlo”;
  • “Disprezza le persone che considera deboli, concilianti, malate o minorate”.

Ancora, Hillman elenca i sintomi che indicano come uno Stato si avvii a percorrere la china paranoide – “le polizie segrete, i giuramenti di fedeltà e le macchine della verità, i controlli elettronici, la paura della debolezza, difesa e previsione elevate a sistema (teoria del domino)” – e descrive i tratti caratteristici di uno Stato intrinsecamente paranoico:

  • “bisogno di un fantasticato nemico creato dalla proiezione e quindi di fantastiche difese contro il fantasticato nemico. Le situazioni saranno sempre valutate secondo costrutti di forza-debolezza, vittoria-sconfitta. Saranno in primo piano la richiesta di resa incondizionata e la paura di esservi a propria volta costretti. Risulterà pressoché impossibile stipulare trattati basati sul compromesso”;
  • “I rapporti con l’estero, anche quelli più scrupolosamente condotti, tenderanno a provocare negli altri disagio e paura [si farà ricorso all’] uso di sempre più numerose difese”;
  • “Il benessere dei cittadini e le istituzioni che sono al servizio del bene comune diventano secondari, a causa della primaria confusione tra benessere e sicurezza, tra bene comune e potenza nazionale, o ‘esigenze militari’”;
  • “Ossessionato dal suo delirante bisogno di sicurezza, lo Stato paranoide fa ricorso ai meccanismi di difesa della proiezione e della formazione reattiva, vale a dire a una sempre più accanita caccia al nemico, al terrorista, al disertore, applicando misure […] razionalizzate come reazioni ‘puramente’ difensive a una minaccia”.

Consideriamo, poi, che la dottrina militare d’Israele contempla un singolare impiego dei dispositivi nucleari (la cui esistenza è nota da tempo anche in assenza di conferme ufficiali), denominato “Opzione Sansone”, in omaggio all’eroe biblico che fece crollare un edificio morendo insieme agli odiati Filistei: in caso di pericolo estremo (o percepito come tale), Tel Aviv potrebbe decidere di lanciare un attacco nucleare contro vari obiettivi in Europa e nello stesso Medio Oriente, accettando – oltre a quella di buona parte del pianeta – anche la propria rovina pur di vendicarsi sia dei nemici sia degli eventuali amici o alleati colpevoli (ai suoi occhi) di “tradimento”. Benché ritenuta da molti esagerata, l’ipotesi non appare del tutto priva di fondamento. La teorizzazione di una rappresaglia nucleare “costi quel che costi” sembra risalire già a Ben Gurion, padre fondatore di Israele, ossessionato dalla necessità di prevenire un ipotetico “secondo Olocausto”. Secondo alcuni osservatori, la minaccia di un attacco nucleare servirebbe invece a Israele per costringere la comunità internazionale a prevenire situazioni geopolitiche tali da minacciare la sopravvivenza dello Stato stesso.

Del resto, diceva il generale Moshe Dayan (il trionfatore della guerra del 1956), Israele ha un’unica chance di sopravvivere: “agire come un cane pazzo, troppo pericoloso per essere infastidito”.


NOTE

[i] “Disgusting losers stinking with sandals on, truly repellent, rapist, repulsive. There’s nothing human about this. ‘We’re all human beings’… No! No! People are the product of the education they grow up with. And if they’re raised like vermin, that’s what you become. Vermin in squalor, a repulsive rapist, disgusting filth of filth”: https://www.middleeastmonitor.com/20240225-actress-dehumanises-palestinians-calling-them-vermin-on-israeli-tv/

[ii] Sembra che nel dicembre 2023 un altro soldato statunitense si sia dato fuoco ad Atlanta, per lo stesso motivo, ma la cosa non ha avuto risonanza.

[iii] https://mondoweiss.net/2024/02/extraordinary-charges-of-bias-emerge-against-nytimes-reporter-anat-schwartz/

[iv] “Secondo Eschilo (I sette a Tebe, v. 756), fu la paranoia a far accoppiare Giocasta ed Edipo. Secondo Euripide (Oreste, v. 822 [in realtà 821 – N.d.R.]), l’assassinio di Clitennestra fu paranoia. Nel Teeteto di Platone (195 a), il dialogo che riguarda il retto pensare, si usa il termine paranoia in riferimento a chi in ogni occasione vede, sente e pensa in modo erroneo, sbaglia a classificare le cose. Per Plotino (VI, VIII, 13), l’aggettivo paranoēteon indica l’allontanarsi o il distrarsi dal ragionamento rigoroso”: James Hillman, La vana fuga dagli Dei, Adelphi 2015, edizione elettronica senza numeri di pagina, “Sulla paranoia”.


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Alessandra Colla si è laureata in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con una tesi su Il problema dello Stato nel Commento di Giovanni Buridano alla Politica di Aristotele; giornalista pubblicista dal 1980, ha insegnato materie letterarie nei licei e pubblicato centinaia di articoli su varie testate, oltre a diversi saggi di argomento umanistico. Dal 2005 collabora con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, di cui ha assunto la direzione responsabile nel 2012. Collabora con le riviste "Conoscere la storia", "Medioevo meraviglioso" e “Terra insubre”; svolge attività di traduttrice. Fra i suoi scritti più recenti, il libro Grigioverde rosso sangue. Combattere e morire nella Grande Guerra del ’15-18.