PREFAZIONE

di Claudio Mutti

Secondo una definizione complessiva che intende sintetizzare quelle fornite dai vari studiosi, la geopolitica può essere considerata come “lo studio delle relazioni internazionali in una prospettiva spaziale e geografica, ove si considerino l’influenza dei fattori geografici sulla politica estera degli Stati e le rivalità di potere su territori contesi tra due o più Stati, oppure tra diversi gruppi politici o movimenti armati”1.

Per quanto grande sia il peso attribuito ai fattori geografici, permane tuttavia il rapporto della geopolitica con la dottrina dello Stato, sicché viene spontaneo porsi una questione che finora non ci risulta aver impegnato la riflessione degli studiosi. La questione è la seguente: sarebbe possibile applicare anche alla geopolitica la celebre affermazione di Carl Schmitt, secondo cui “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”2? In altre parole, è ipotizzabile che la stessa geopolitica rappresenti un’eco moderna, se non una derivazione secolarizzata, dei concetti teologici connessi alla “geografia sacra”?

Se così fosse, la geopolitica si troverebbe in una situazione per certi versi analoga non soltanto alla “moderna scienza dello Stato”, ma alla generalità delle scienze moderne. Per essere più espliciti, ricorriamo ad una citazione di René Guénon: “Separando radicalmente le scienze da ogni principio superiore col pretesto di assicurar loro l’indipendenza, la concezione moderna le ha private di ogni significato profondo e perfino di ogni interesse vero dal punto di vista della conoscenza: ed esse son condannate a finire in un vicolo cieco, poiché questa concezione le chiude in un dominio irrimediabilmente limitato”3.

Per quanto riguarda in particolare la “geografia sacra”, alla quale secondo la nostra ipotesi si ricollegherebbe in qualche modo la geopolitica, è ancora Guénon a fornirci una sintetica indicazione al riguardo. “Esiste realmente – egli scrive – una ‘geografia sacra’ o tradizionale che i moderni ignorano completamente così come tutte le altre conoscenze dello stesso genere: c’è un simbolismo geografico come c’è un simbolismo storico, ed è il valore simbolico che dà alle cose il loro significato profondo, perché esso è il mezzo che stabilisce la loro corrispondenza con realtà d’ordine superiore; ma, per determinare effettivamente questa corrispondenza, bisogna esser capaci, in una maniera o nell’altra, di percepire nelle cose stesse il riflesso di quelle realtà. È per questo che vi sono luoghi particolarmente adatti a servire da ‘supporto’ all’azione delle ‘influenze spirituali’, ed è su ciò che si è sempre basata l’installazione di certi ‘centri’ tradizionali principali o secondari, di cui gli ‘oracoli’ dell’antichità ed i luoghi di pellegrinaggio forniscono gli esempi esteriormente più appariscenti; per contro vi sono altri luoghi che sono non meno particolarmente favorevoli al manifestarsi di ‘influenze’ di carattere del tutto opposto, appartenenti alle più basse regioni del dominio sottile”4.

Non è detto che una traccia della “geografia sacra” non sia individuabile in alcune caratteristiche nozioni geopolitiche, che potrebbero essere perciò schmittianamente considerate “concetti teologici secolarizzati”. Si pensi, ad esempio, a termini mackinderiani come Heartland e pivot area, i quali, richiamando in maniera esplicita il simbolismo del cuore ed il simbolismo assiale, ripropongono in qualche maniera quell’idea di “Centro del Mondo” che gli antichi rappresentarono attraverso una varietà di simboli, geografici e non geografici. Più volte ci si è offerta l’occasione per osservare che, se la scienza delle religioni ha mostrato che l’homo religiosus “aspira a vivere il più possibile vicino al Centro del Mondo e sa che il suo paese si trova effettivamente nel centro della superficie terrestre”5, questa concezione non è scomparsa con la visione “arcaica” del mondo, ma è sopravvissuta in modo più o meno consapevole in contesti storico-culturali più recenti6.

D’altra parte, fra i termini geografici e geopolitici ve ne sono alcuni che le culture tradizionali hanno utilizzato per designare realtà appartenenti alla sfera spirituale. È il caso del termine polo, che nel lessico dell’esoterismo islamico indica il vertice della gerarchia iniziatica (al-qutb); è il caso di istmo, che nella forma araba (al-barzakh) indica quel mondo intermedio cui si riferisce anche l’espressione geografica d’origine coranica “confluenza dei due mari” (majma’ al-bahrayn), “confluenza, cioè, del mondo delle Idee pure col mondo degli oggetti sensibili”7.

Ma è lo stesso concetto di Eurasia che può essere assegnato alla categoria dei “concetti teologici secolarizzati”.

È infatti il più antico testo teologico dei Greci, la Teogonia esiodea, ad annoverare “Europa (…) ed Asia”8 tra le figlie di Oceano e di Teti, la “sacra stirpe di figlie (thygatéron hieròn génos) che sulla terra – allevano gli uomini fino alla giovinezza, insieme col Signore Apollo – e coi Fiumi: questa sorte esse hanno da Zeus”9.

È il caso di notare che tra le sorelle di Europa e di Asia figura anche Perseide, il nome della quale è significativamente connesso non solo a quello del greco Perseo, ma anche a quello di Perse, figlio di lui e progenitore dei Persiani. Ascoltiamo ora il teologo della storia: “Ma dopo che Perseo, figlio di Danae e di Zeus, giunse presso Cefeo figlio di Belo e sposò la figlia di lui Andromeda, gli nacque un figlio, al quale mise nome Perse; e lo lasciò lì, perché Cefeo si trovava ad esser privo di figliolanza maschile. Da lui dunque [i Persiani] ebbero nome”10.

La stretta parentela dell’Asia con l’Europa è proclamata infine anche dal teologo della tragedia, il quale nella parodo dei Persiani ci presenta la Persia e la Grecia come due “sorelle di sangue, di una medesima stirpe (kasignéta génous tautoû)”11, mostrandoci “gli assolutamente distinti (i Due che, in Erodoto, non possono non muoversi guerra) come alla radice inseparabili”12. Tale è il commento di Massimo Cacciari, al quale l’immagine eschilea, rappresentativa della radicale connessione di Europa e di Asia, ha fornito lo spunto per concepire il progetto di una “geofilosofia dell’Europa”.

Fabio Falchi intende andare oltre: in questo volume egli traccia le linee di una “geofilosofia dell’Eurasia”. Accogliendo la prospettiva corbiniana dell’Eurasia quale luogo ontologico della teofania13, l’Autore ambisce a fare della posizione geofilosofica il grado di passaggio a quella “geosofica, la quale è compiutamente intellegibile se, e solo se, sia posta in relazione con la prospettiva metafisica”14.

 

 

 

 

 

1. Emidio Diodato, Che cos’è la geopolitica, Carocci, Roma 2011.

2. Carl Schmitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, trad. it. di P. Schiera, in: C. Schmitt, Le categorie del politico, a cura di G. Miglio – P. Schiera, Il Mulino, Bologna 1972, p. 61.

3. René Guénon, La crisi del mondo moderno, Edizioni dell’Ascia, Roma 1953, p. 66.

4. René Guénon, Il regno della quantità e i segni dei tempi, Edizioni Studi Tradizionali, Torino 1969, pp. 162.

5. Mircea Eliade, Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino 1967, p. 42.

6. Claudio Mutti, La funzione eurasiatica dell’Iran, “Eurasia”, 2, 2012, p. 176; Geopolitica del nazionalcomunismo romeno, in: Marco Costa, Conducǎtor. L’edificazione del socialismo romeno, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2012.

7. Henry Corbin, L’immagine del Tempio, Boringhieri, Torino 1983, p. 154. Sul barzakh, cfr. Glauco Giuliano, L’immagine del tempo in Henry Corbin, Mimesis, Milano-Udine 209, pp. 97-123.

8. Esiodo, Teogonia, 357-359.

9. Esiodo, Teogonia, 346-348.

10. Erodoto, VII, 61, 3.

11. Eschilo, Persiani, 185-186. Su questa immagine, cfr. C. Mutti, L’Iran in Europa, “Eurasia”, 1, 2008, pp. 33-34.

12. Massimo Cacciari, Geofilosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1994, p. 19.

13. “L’Eurasia è, oggi e per noi, la modalità geografico-geosofica del Mundus imaginalis” (Glauco Giuliano, L’immagine del tempo in Henry Corbin, cit., p. 40).

14. Glauco Giuliano, Tempus discretum. Henry Corbin all’Oriente dell’Occidente, Edizioni Torre d’Ercole, Travagliato (Brescia) 2012, p. 16.

 

 

 


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