Nella convulsa fase della storia russa compresa tra l’inizio della perestrojka gorbacioviana e l’accordo di Belaveža del 8 dicembre 1991 si verificò sul piano storico-geopolitico la dissoluzione dell’ultima metamorfosi dell’impero multietnico eurasiatico guidato dalla Russia: quello sorto dalla Rivoluzione d’Ottobre e consolidatosi nell’URSS. Cause endogene ed esogene della dissoluzione del sistema federato dell’Unione sovietica imposero una revisione ideologica, politica e storiografica sulla storia dell’esperienza socialista, sull’identità del PCUS, e sul destino di entrambe. Già dagli inizi della Rivoluzione d’Ottobre tra le file dei suoi protagonisti era iniziata una revisione storica ed ideologica sulla stessa impresa storica bolscevica. Con il trotzkismo e l’ala radicale più internazionalista in seno al partito comunista tale revisione assunse i toni antipatriottici ostili alle sfide che si imponevano alla pars construens del movimento rivoluzionario in Russia al punto che, come sostiene acutamente Domenico Losurdo: «il motivo della rivoluzione tradita accompagna come un’ombra la storia iniziata con l’ascesa al potere dei bolscevichi». (1) Negli anni 90’ la Russia conobbe in seno al suo Partito Comunista l’esigenza di una revisione della storia russa in senso opposto alla litania funebre cantata dal trotzkismo prima e dagli ambienti liberali ed occidentalisti dell’era eltsiniana poi. Tra i protagonisti di questa reazione allo smantellamento dell’eredità storica e geopolitica sovietica, Gennadij Andreevič Zjuganov rappresentò certamente una posizione eminente.

Andrea Panaccione nella sua postfazione all’edizione italiana dell’opera Stalin sconosciuto (2004) dei fratelli Medvedev, rilevava: «già nell’opera del 1994, Deržava (trad. it. G. A. Zjuganov, Stato e potenza, a cura di M. Montanari, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1999) l’esperienza dell’Unione Sovietica, dopo il trauma della rivoluzione e della guerra civile, veniva letta come lo scontro tra un principio di costruzione della potenza statale e nazionale e un principio rivoluzionario-avventuristico di carattere internazionalistico e “cosmopolitico”. La piena ascrizione di Stalin alla prima tendenza può essere considerata compiuta con la pubblicazione del saggio di Zjuganov Stroitel’ deržavy [Il costruttore di potenza] Nas sovremennik, n. 6, 2005, pp. 170-187, secondo il quale la visione geopolitica di Stalin, sintesi della visione imperiale (l’autosufficienza dello stato) e di quella panslavista (il “Grande spazio slavo”) avrebbe prodotto tra il 1944 e il 1953 “un cambiamento dell’ideologia di stato” e la piena affermazione dell’”ideologia del patriottismo”». (2)

Il trapasso del marxismo dalla riflessione sul piano sociologico classista al piano geopolitico interstatale costituisce uno dei cardini della revisione ideologica zjuganoviana fondata sulla rilettura dello Stalin teorico e protagonista storico del State building sovietico. Come ha riconosciuto lo stesso Žores Medvedev, i successori di Stalin non aggiunsero nulla all’edificio statale sovietico eretto nella trentennale esperienza politica del georgiano, lungimirante nella scelta di tutelare l’URSS dai rischi di forze centrifughe con un forte potere centrale.(3) La rappresentazione dei due orientamenti delineati da Panaccione trova un preciso riferimento nella ricostruzione storica proposta da Zjuganov dei “due partiti” in lotta durante il periodo sovietico. Da un lato egli individuava un partito «del nostro Paese» che combatteva per la formazione di un unico fronte patriottico, abbandonando il frazionismo classista per la creazione di stabili condizioni economico-politiche. Dall’altro, stava un «partito di “questo Paese”» (4) che riduceva le vittorie bolsceviche ad un mero successo tattico entro una più ampia strategia internazionalista orientata a sacrificare la patria «sull’altare di Moloch della rivoluzione mondiale».(5) La valorizzazione dell’«eredità culturale presovietica» (6) da parte del PCFR (Kommunistìčeskaja Pàrtija Rossìjskoj Federàcii, 1993) guidato da Zjuganov, e saldamente configuratosi dal 1996 ad oggi come secondo partito della Federazione Russa, poggia sulla rivendicazione di un autonomo spazio storico-culturale della civiltà russa entro una prospettiva geopoliticamente fondata sul suo secolare carattere plurietnico e plurireligioso. Il recupero di una coscienza geopolitica quale condizione per lo sviluppo sociale ed economico indipendente dello spazio post-sovietico costituisce un caposaldo dell’orientamento zjuganoviano: «l’impero è la forma di sviluppo dello stato russo storicamente e geopoliticamente obbligata». (7) Ben lungi dal rappresentare un programma anacronistico, il riconoscimento di una dimensione imperiale per la configurazione giuridico-territoriale della civiltà russa costituisce da un lato un momento strategicamente decisivo per le sfide poste dall’attuale sistema internazionale nella fase di decomposizione dell’unipolarismo, dall’altro una risposta adeguata alla teoria geopolitica classica anglosassone, che già agli inizi del XX secolo elaborò la sua strategia di contenimento dello spazio eurasiatico. L’idea di una continuità geopolitica nella discontinuità ideologica di tale spazio politico era stata già polemicamente espressa da Sir Halford Mackinder: «la nostra vecchia concezione inglese di federazione di comuni e comunità, la concezione americana di federazione di stati e provincie, e il nuovo ideale della Lega delle Nazioni sono tutti loro opposti alle caste politiche nelle formazioni tiranniche dell’est Europa e dell’Heartland, siano esse dinastiche o bolsceviche. […] Contro quest’aquila a due teste del potere continentale gli occidentali e gli isolani devono lottare». (8)

La strategia del PCFR vede dunque arricchita la sua strategia ed il suo programma di sviluppo per la Federazione Russa con l’apporto di un paradigma geopolitico classico rovesciato rispetto all’orientamento mackinderiano.
L’idea di una ricostituzione dell’Unione su una «nuova base volontaria» (9) a partire dall’intimo legame storico-culturale «dei Grandi-russi, dei Piccolorussi e dei Bielorussi», (10) converge con il programma dell’Unione Economica Eurasiatica (ufficializzata dal 1 gennaio di quest’anno) e con la prassi della politica estera del partito in carica “Russia Unita”, come riconosciuto esplicitamente da Zjuganov in una recente intervista concessa all’emittente russa “LifeNews”.(11) Marcatamente geopolitico, infatti, era l’orientamento perorato dal leader del PCFR nel suo saggio Deržava, in cui propugnava di elevare la Russia a principale soggetto storico in grado di esercitare un’«opposizione alla monopolizzazione della geopolitica» (12) perseguita dal blocco BAO. (13) L’originalità della proposta zjuganoviana è attestata dalla convergenza della lettura geopolitica delle relazioni internazionali del tardo stalinismo, con la linea di pensiero della scuola eurasiatista, che avrebbe visto il filosofo Aleksandr Dugin impegnato nella collaborazione diretta alla stesura del saggio qui presentato. (14)

L’interesse mostrato per la costruzione di solide relazioni interstatali come quelle della Federazione Russa con la Repubblica Popolare Cinese, progetto oggi decollato più che mai con la creazione del gasdotto “Power of Siberia” nel quadro degli storici accordi sino-russi di approvvigionamento energetico trentennale e di incremento delle relazioni commerciali in rubli-yuan, si colloca in una visione geopolitica complessiva nota ad alcuni analisti occidentali come «dottrina Primakov». (15) Il consolidamento di un tale blocco continentale all’interno delle relazioni internazionali del XXI secolo costituirebbe l’evoluzione di quell’«erede storico e geopolitico dell’Impero Russo» (16) smantellato da Eltsin, e rifondato su nuove basi con la politica “continentalista” già impostata dal presidente kazako Nursultan Nazarbayev negli anni 90’ e perorata dal presidente russo Vladimir Putin.

All’interno della presente raccolta di saggi degli anni 90’, il leader del PCFR individuava alcuni fattori disgreganti ed ostativi alla formazione di una coscienza patriottica in grado di consolidare l’unificazione dello spazio eurasiatico. Oggi la presenza di questi elementi di disunione strumentalizzati da forze apertamente ostili ad una simile integrazione economica, culturale e geopolitica sullo “scacchiere eurasiatico” attesta la preveggenza e la lucidità dell’analisi zjuganoviana. In primo luogo la disgregazione dello stato russo ha determinato la rottura della sua tradizionale continuità geopolitica, con i conseguenti appelli occidentalisti alla “derussificazione” e alla frammentazione nazionalistica della complessa entità plurinazionale della Russia federata. (17) In secondo luogo la propaganda piccolo-nazionalista ha ostacolato l’unificazione dei popoli fratelli (18) e creato quindi le condizioni per l’appello internazionale alla legittimazione formale di una congerie di rivendicazioni separatiste. In terzo luogo l’incitamento alla russofobia ha assunto direttrici ideologiche e mediatiche eterogenee (dal radical-liberalismo dei diritti civili al neo-banderismo ucraino) ma convergenti nella loro comune matrice occidentalista. Infine, all’«aggressione spirituale» (19) alle basi della cultura tradizionale e religiosa russa si è aggiunta una silenziosa aggressione psicologica allo stato russo concertata dai soci più aggressivi dell’alleanza atlantica, che minacciano la sua politica di sicurezza con una politica estensiva verso est.
Ben lungi dal costituire un mero revival neo-sovietico, i contributi di Zjuganov indicano, all’interno di una prospettiva complessiva di “cambio delle pietre miliari della storia” del Partito Comunista, soluzioni geopolitiche e valoriali da seguire mediante un appello alla «lezione della continuità storica»,(20) fondamentale per la palingenesi della stato e della società russa nell’attuale fase delle relazioni internazionali.

Davide Ragnolini

 

NOTE
1) D. LOSURDO, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008, p. 48.
2) A. PANACCIONE, Stalin e i suoi interpreti: un percorso di letture, postfazione a ROJ A. MEDVEDEV – ŽORES MEDVEDEV, Stalin sconosciuto. Alla luce degli archivi segreti sovietici, Feltrinelli, Milano 2006, p. 389.
3) Ivi, p. 294.
4) G.A. ZJUGANOV, Stato e potenza, a cura di M. Montanari, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1999, p. 104.
5) Ivi, p. 168.
6) A. FAIS, L’idea geopolitica dei comunisti russi, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 7 marzo 2013, http://www.eurasia-rivista.org/lidea-geopolitica-dei-comunisti-russi/18823/.
7) Ivi, p. 51.
8) H.J. MACKINDER, Democratic ideals and reality, National Defense University Press, Washington 1996, p. 144.
9) G.A. ZJUGANOV, Stato e potenza, op. cit., p. 118.
10) Ivi, p. 106.
11) Zjuganov commenta l’anno che è appena trascorso, “Associazione Marx XXI”, 9 gennaio 2015, http://www.marx21.it/comunisti-oggi/nel-mondo/24963-zyuganov-commenta-gli-avvenimenti-dellanno-che-e-trascorso.html#.
12) G.A. ZJUGANOV, Stato e potenza, op. cit., p. 62.
13) Sulla categoria geopolitica designata dall’acronico “BAO” si confronti la voce all’interno del glossario del sito di analisi strategica belga “Dedefensa”: http://www.dedefensa.org/article-glossairedde_bloc_bao_10_12_2012.html.
14) M. MONTANARI, Il rosso e il nero: Zjuganov tra i nazisti e Huntington, “Limes” n. 4/1998, p. 163.
15) Un breve panorama della strade percorribili dalla politica estera da un punto di vista euratlantista è offerto da C. JEAN, Prospettive geopolitiche della Russia, in ID., Geopolitica del caos. Attualità e prospettive, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 154-169.
16) G.A. ZJUGANOV, Stato e potenza, op. cit., p. 95.
17) Ivi, p. 65.
18) Ivi, p. 66.
19) Ivi, p. 68.
20) Ivi, p. 79.


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