Giuseppe Ciulla, Vittorio Romano
Lupi nella nebbia. Kosovo: l’ONU ostaggio di mafie e USA
Jaca Book, Milano, 2010
Accompagnato da recensioni mirabolanti, questo nuovo libro sulla questione kosovara, frutto del lavoro di due giornalisti RAI, si rivela alla luce dei fatti molto meno incisivo di quanto la presentazione lasci presagire.
Già il titolo appare abbastanza discutibile: perché si fa un libro in cui vengono accusate le cosche criminali albanesi di Pristina ma si sottolinea che “la mafia vuole la nebbia come i lupi, i mafiosi sono lupi nella nebbia”, quando tutti sanno benissimo che il lupo rappresenta l’animale totemico per i serbi?
Forse perché, come scrivono i due autori a pag. 10, quando la NATO, Italia compresa, iniziò a bombardare Belgrado “Slobodan Milosevic da mesi rastrellava civili kosovari di origine albanese, molti li uccideva, moltissimi li cacciava verso l’Albania. A terra un esercito di partigiani, l’UCK, aveva cominciato a contrastare le armate del leader serbo? … Chi aveva ragione in quei giorni? Non Milosevic e la sua feroce repressione verso i kosovari di origine albanese …”.
Già dall’introduzione i due autori partono male, ricalcando un po’ la tesi preconfezionata e già sperimentata da Riccardo Iacona con il suo documentario RAI del settembre 2008, per cui la pulizia etnica degli albanesi a danno dei serbi dopo il giugno 1999 sarebbe stata una risposta alla pulizia etnica precedente effettuata dall’esercito di Milosevic contro gli albanesi …
Un vero peccato che, stando alle ricerche e ai rilievi di FBI, medici spagnoli, generale Mini ecc. ecc. non si sia trovata una sola grande fossa comune di civili albanesi-kosovari al termine di una guerra che, in un primo momento, vide fronteggiarsi polizia speciale di Belgrado e UCK, poi esercito serbo (JNA) e Alleanza Atlantica.
Peccato poi che furono proprio i bombardamenti della NATO a provocare l’esodo dei civili (serbi ed albanesi) dal Kosovo e Metohija, proprio quando i profughi, frutto della precedente battaglia tra polizia e UCK, erano ormai rientrati alle loro case.
Se invece di intervistare i soliti “testimoni” da Tribunale dell’Aja (“del massacro di Meje e Korenica nessuno ha visto l’uccisione di altri; nessun testimone oculare dei crimini commessi”) (1), Ciulla e Romano avessero fatto una bella inchiesta sui bombardamenti all’uranio impoverito della NATO non solo sui serbi ma anche sugli albanesi di Djacovica (così da provocarne la sterilità), probabilmente i veri crimini della guerra del 1999 sarebbero emersi nella loro reale drammaticità.
Stucchevole anche la solita, mascherata posizione di subordinazione alla propaganda USA, resa esplicita dal classico “Né con la NATO né con Milosevic”, che costituisce un’ evidente giustificazione delle ragioni di quanti vollero bombardare la Serbia (2).
La sarabanda di luoghi comuni continua poi con domande – risposte quali: “Perché dopo dieci anni di amministrazione internazionale i servizi sono ancora così scarsi in Kosovo” – “Perché la classe dirigente che guida questo Paese non ha una vera formazione. A causa della segregazione di Milosevic, i politici di adesso studiavano nelle cantine, le scuole erano solo per i serbi” (3).
Evidentemente il sistema scolastico parallelo albanese, costruito da Rugova grazie alle rimesse degli emigranti e che consentì ai “dissidenti” di soffrire le conseguenze dell’embargo alla Jugoslavia molto meno di quanto toccò ai serbi, è pura invenzione della propaganda di Belgrado, così come gli articoli della Costituzione jugoslava (e serba) che assicuravano al Kosovo un grado di autonomia maggiore di quanto viene riservato dall’Italia alle minoranze dell’Alto Adige …
Ovviamente anche la “carenze” della magistratura vengono in parte attenuate da “perle” come queste: “I giudici kosovari, durante il regime di Milosevic, erano esiliati o emarginati, qualcuno era costretto a fare altri lavori …”, motivazioni che giustificherebbero in parte l’assoluzione di Haradinaj, Gashi e degli altri comandanti dell’UCK, processati come “criminali di guerra”.
Se almeno i nostri autori avessero dato un’occhiata al sito di “Eurasia”, forse, tra le righe del mio articolo: “Kosovo: una partita truccata” (4), avrebbero trovato tutti gli elementi per comprendere le reali implicazioni del “Fondo di difesa Haradinaj”, della vicenda riguardante Steven Shook e di quanto sta accadendo a nord di Kosovska Mitrovica, dove da tempo si susseguono “strani” attentati.
Banalità a parte (ad esempio le solite inesattezze circa il discorso di Slobodan Milosevic a Kosovo Polje il 28 giugno 1989), il libro potrebbe anche essere interessante per un pubblico non specialistico (qualche documento dell’Amministrazione internazionale viene infilato qua e là) se non avesse la pretesa di voler imporsi con rivelazioni shock, quando ormai la realtà del Kosovo e Metohija (“casa gialla” compresa) è stata da tempo smascherata rispetto alla narrazione che ne fecero in un primo momento le cronache occidentali e i gazzettieri balcanici (4).
A questo punto viene da porsi una domanda: a cosa serve questo “revisionismo interessato”?
Forse a guadagnare le simpatie dei serbi alla “guerra di civiltà – crociata atlantista contro l’Islam”? (preoccupante il titolo del prologo “Abbiamo bombardato quelli sbagliati”, come se anche gli albanesi non fossero vittime del risiko atlantista giocato sulla pelle dei popoli).
Ad insinuare il dubbio su un possibile contrasto UE-USA sul Kosovo?
Se questi sono gli intenti, dubitiamo che il libro otterrà i risultati sperati, mentre già da ora si candida come possibile guida per i tanti giornalisti “alternativi” di un Occidente che si crede “libero” ma è invece portatore di un pensiero quanto mai totalitario.
Note
1) “Si contesta sia la guerra americana che Milosevic, definendolo un “boia, un “dittatore”; si mettono sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito. Ora, accettando la demonizzazione, la criminalizzazione di Milosevic, si accettano le ragioni di una delle due parti in guerra, quella degli angloamericani. Ciò rappresenta una contraddizione che giustifica nei fatti l’intervento militare della NATO”, Dragos Kalajic, “Serbia trincea d’Europa”, Del Veltro, Parma, 1999, p. 93.
2) “Lupi nella nebbia”, pag. 36.
3) Ibidem, pag. 62.
4) www.eurasia-rivista.org del 14/06/08.
5) Si vedano i vari libri di Marilina Veca e il mio “La questione serba e la crisi del Kosovo”, Molfetta, Noctua, 2008, se non altro perché riepiloga gli argomenti contro la vulgata balcanica impostaci dall’Occidente.
Stefano Vernole è redattore della rivista “Eurasia”; è autore dei libri La lotta per il Kosovo e La questione serba e la crisi del Kosovo.
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