Gratificato di una copertina del Time che lo presentava (febbraio 2017) con l’ambiguo attributo di The Great Manipulator, Stephen (Steve) Bannon riscuote molto interesse non solo nei mezzi di informazione ma anche in movimenti politici e intellettuali europei che lo considerano  come portatore  a più livelli di un progetto alternativo a una visione politica ingessata e politicamente corretta.

Si potrebbe in realtà dire che l’emergere in molti Paesi europei di una forte reazione popolare (il cosiddetto populismo) contro la fallimentare politica dell’Unione Europea  in tema di economia e di flussi immigratori ha determinato l’esigenza statunitense di controllare e possibilmente gestire il fenomeno. Così, da un punto di vista geopolitico, prevedere un possibile cambiamento europeo nella sua classe politica  impone agli Stati Uniti di prendere posizione riconducendo – o meglio confermando – il ruolo del Vecchio Continente all’interno dell’Occidente e della Globalizzazione a guida nordamericana.

The Movement e Bannon sono pienamente inseriti in questa cornice  e non si comprenderebbe davvero come Europei alla ricerca di sovranità possano affidarsi a un ideologo che riafferma la supremazia americana e detta le linee di politica internazionale ispirandosi al trito e ritrito conflitto di civiltà.

L’intervento di Bannon al convegno dell’Istituto Dignitatis humanae (legato al cardinale statunitense Raymond Burke) realizzato in Vaticano nell’estate 2014 (intervento riportato da Mario Mancini in La visione degli alt-right secondo Steve Bannon), è fin dall’inizio inequivocabile circa i riferimenti culturali e storici di Bannon: dopo l’omaggio all’”eroismo dei popoli liberi”, ai “giovani di Kansas City o del Midwest che presero d’assalto le spiagge della Normandia” e ai “commando che nella battaglia d’Inghilterra vestivano la divisa della Royal Air Force”, seguono infatti:

– l’elogio al “capitalismo illuminato che ci ha dato realmente i mezzi per combattere e vincere. E’ come se il capitalismo avesse organizzato e costruito i materiali necessari per sostenere l’Unione Sovietica, l’Inghilterra, gli Stati Uniti e alla fine per riprendersi l’Europa continentale dal nazismo e per respingere un impero barbarico (sic) in Estremo Oriente”;

– l’attestazione che “il capitalismo ha generato davvero un enorme benessere. E quel benessere è stato distribuito fra la classe media e quelle famiglie che provenivano da ambienti della classe operaia. Tutto questo ha creato quella che chiamiamo la pax americana”.

L’Occidente, secondo Bannon –  intendendosi con ciò precisamente l’alleanza Stati Uniti/Europa – deve rifondarsi su una rinnovata e consolidata struttura a tre pilastri: il capitalismo appunto, il nazionalismo e i valori giudaico-cristiani; il primo deve liberarsi dagli eccessi introdotti dal “partito di Davos” (l’èlite finanziaria), il secondo garantirà una pluralità di soggetti e identità, mentre i valori giudaico-cristiani devono costituire il fondamento dell’Occidente, le sue radici.

Luigi Copertino ha compiuto un’accurata disanima delle concezioni teologiche di Bannon (cfr. https://www.maurizioblondet.it/proposito-del-bannon-pensiero-luigi-copertino/) sottolineando come esse rappresentino una datata ripetizione di quella  “teologia del capitalismo” (una contro-teologia, in realtà) formulata da cattoconservatori quali Novak, Weigel e Neuhaus. Restiamo perciò in quell’ambito neocon e cristianosionista che non può essere  confuso con il cattolicesimo tradizionale, rappresentandone una degenerazione.

Come osserva Copertino, ad esempio, i valori “giudaico-cristiani” che Bannon associa al capitalismo illuminato dell’inizio Novecento devono essere ben diversi da quelli sostenuti con coraggio da Papa Leone XIII nella sua Rerum novarum cupiditas, che già nel 1891 sanciva: “doveri dei capitalisti e dei padroni sono non tenere gli operai schiavi, rispettare in essi la dignità della persona umana”; sono semmai quelli di certa etica protestante che nella nascita e affermazione del capitalismo industriale prima e finanziario poi hanno svolto un ruolo importante e forse decisivo(non a caso Bannon preferisce parlare genericamente di cristianesimo senza distinguere al suo interno fra cattolicesimo, ortodossia e correnti protestanti).

Ma è nella proposta geopolitica che gli scenari delineati da Bannon  confermano e anzi radicalizzano la politica statunitense, a difesa dell’Occidente e contro la sovranità e gli interessi reali dell’Europa: il nemico additato è infatti – nella reiterata e folle prospettiva dello “scontro di civiltà” – l’Islam (talvolta etichettato come fascismo islamico, contro cui “la guerra è cominciata”).

In alcuni interventi Bannon sembra propendere all’Islam nella sua generalità e interezza, in altri nella sua accezione “radicale”; cosa significhi radicale lo si capisce meglio dai  Paesi che Bannon mette  nel mirino: Turchia e Iran, considerati i peggiori “regimi” e i più pericolosi fra i Paesi islamici, cui si accompagna nella graduatoria dei nemici assoluti  la Cina.

Bannon si scaglia con veemenza contro questo asse della Via della Seta “che unisce queste tre nazioni, frutto di civiltà antiche e combattive, tutte estranee alle cultura giudeocristiana“: “I veri nemici sono a Pechino, Teheran ed Ankara e ci stanno aggredendo nel Mar della Cina, nel Golfo e nel Mediterraneo”.

Nei confronti della Russia, invece, deve sostanzialmente funzionare una strategia di neutralizzazione attraverso la sua integrazione nello schieramento occidentale; rispetto all’attuale politica aggressiva e minacciosa promossa dal governo statunitense (sanzioni, continui attacchi mediatici, potenziamento militare ai confini della Russia, sfida in Ucraina e in Siria) la strategia consigliata da Bannon è diversa, in vista però dello stesso risultato: l’eliminazione della Russia come soggetto autonomo e sovrano in grado di interferire con la supremazia statunitense.

Un obiettivo che fortunatamente non sarà facile da raggiungere, così come il rilancio di un disastroso scontro di civiltà che annienti le “civiltà antiche e combattive”.


Questo articolo è coperto da ©Copyright, per cui ne è vietata la riproduzione parziale o integrale. Per maggiori informazioni sull'informativa in relazione al diritto d'autore del sito visita Questa pagina.


 

Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.