La strage provocata domenica scorsa dall’attentato di Istanbul nella centralissima İstıklal Caddesı è riconducibile – secondo quanto ha ricostruito il ministro degli Interni Soylu – al terrorismo del PKK. Più precisamente all’appendice siriana dell’YPG, branca del separatismo curdo più volte sostenuta o quanto meno tollerata dai Paesi occidentali. Affermiamo ciò non per una polemica pregiudiziale, ma semplicemente perché si tratta di un fatto: basti pensare che nel settembre dell’anno scorso venne approvato dalla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti un disegno di legge che stanziava all’YPG 117 milioni di dollari – ed è questo solo un episodio dei finanziamenti che, in nome della lotta al terrorismo (dell’ISIS), sono stati riservati a gruppi terroristi; d’altra parte Stati Uniti e Unione Europea, pur riconoscendo come organizzazione terroristica il PKK, non riconoscono tale, paradossalmente, l’YPG, che ne costituisce di fatto una componente.

È emblematica la fotografia dell’esecutrice dell’attentato – Alham Albashir – dopo l’arresto: in manette fra due bandiere turche, indossa una maglietta con una grande scritta, “New York”. È una foto che i media occidentali non prendono in considerazione, ma che meriterebbe un riconoscimento premiale, storico e documentaristico.

In Turchia sembrano avere le idee chiare: il direttore della comunicazione del presidente Erdoğan, Fahrettin Altun, ha denunciato che “questi attacchi terroristici sono conseguenza diretta o indiretta del sostegno di alcuni Paesi a organizzazioni terroristiche”; ma ancora più esplicita è la dichiarazione del ministro degli Interni Soylu resa dopo la prima serie di arresti di individui fortemente sospettati di avere appoggiato il criminale attentato. Dopo avere riferito della confessione della Albashir – giunta da Afrin nel proposito di una fuga in Grecia dopo l’attentato – il ministro ha affermato (come riporta l’agenzia di stampa turca Anadolu) che “le condoglianze dell’America sono come quelle dell’assassino che giunge per primo sul luogo del delitto”. Pertanto “rifiutiamo il messaggio di condoglianze espresso dall’ambasciata statunitense. La nostra alleanza con uno Stato che invia denaro a Kobane a un’organizzazione terrorista e che sconvolge la pace della Turchia dovrebbe essere posta in discussione”. Ricordiamo come Soylu all’indomani del tentato colpo di Stato del luglio 2016 in Turchia avesse esplicitamente accusato di complicità gli Stati Uniti.

Ora dunque la recrudescenza dell’azione del terrorismo curdo pone Ankara di fronte a un’esigenza – continua e mai venuta meno – di sicurezza, ma anche a una scelta fra due diverse strategie da adottare nei confronti dell’inquieto confine turco-siriano: o rafforzare le proprie posizioni nell’area di Afrin/Kobane in un’ottica esclusivamente nazionalista, allo scopo di fronteggiare militarmente la minaccia terrorista, oppure intervenire militarmente in chiave antiterrorista, ma previa benestare e collaborazione con le legittime autorità siriane, riconoscendo pienamente e una volta per tutte la sovranità di Damasco sul proprio territorio. Ciò anche come logico e imprescindibile sviluppo degli accordi di Astana assunti con la Federazione Russa e con la Repubblica Islamica iraniana.

Questa seconda ipotesi sarebbe la sola a dare pace e stabilità alla Turchia, alla Siria e ai loro vicini, una prospettiva che potrebbe tradursi in piena realtà in tempi auspicabilmente brevi.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.