Presentazione editoriale:

Il rapporto tra gli ebrei e gli altri popoli è sempre stato problematico. Un contrasto che spesso nella storia ha avuto esiti drammatici, dei quali quello in epoca nazista è stato solo l’ultimo.
L’opinione corrente vuole che tali attriti nascano dalla “banalità” del male, dall’opportunismo politico, dall’odio, dalla patologia psichica degli aggressori, dalla loro necessità di un collante sociale e di un nemico comune.
Questo è quello che siamo abituati ad ascoltare da decenni. Ma, chiediamoci, al di là degli esiti violenti in cui spesso è sfociata, la contrapposizione ha profonde motivazioni culturali? Esistono delle cause reali, che risalgono al comportamento degli ebrei (o meglio, di certi ebrei), alla visione del mondo ebraica, le quali danno origine ai cosiddetti “comportamenti antisemiti”?
Di un fatto bisogna dar conto: più che una religione, quella ebraica è una filosofia, tanto forte ed originale da essere protagonista (se nel bene o nel male dipende dal punto di osservazione), nella storia dell’umanità. E ciò è avvenuto nonostante l’esiguità degli ebrei stessi.
Oggi, nonostante passino i decenni, il concetto di antisemitismo è sempre più centrale sia come categoria ideologica che, purtroppo, come accusa anche giuridica. “Giornate del ricordo”, innumerevoli e costose iniziative di commemorazione e approfondimento, progetti scolastici, musei, mostre “per non dimenticare”, si uniscono a più deleterie leggi contro la libertà di pensiero ed opinione.
Ma cosa significa davvero “antisemitismo” e qual’è la sua origine? Oggi è possibile e doveroso, a sessant’anni dalla Shoah, riflettere in maniera serena e imparziale su questo tema.
Oggi è ritenuto antisemita colui che nutre dei pregiudizi verso gli ebrei, ma sono davvero pregiudizi?
Questo libro si propone di prendere in esame, uno per uno, analiticamente, i cosiddetti pregiudizi antisemiti, per saggiarne la consistenza, per porli al vaglio della riflessione storica e filosofica.
Gli ebrei sono attaccati al denaro? Fanno lobby? Governano l’economia globale? Dettano la politica estera degli Stati che li ospitano? Condizionano l’opinione pubblica? Sono gli artefici delle più sanguinarie rivoluzioni della storia? Si considerano superiori agli altri?
Più che riportando dati di attualità e liste di nomi e cariche, ai quali un navigatore attento della rete può accedere, questo testo fa luce su questi ed altri interrogativi prendendo in esame il pensiero filosofico, la radice dei fatti. I protagonisti di “Hannah l’antisemita” sono quindi esclusivamente i maggiori esponenti dell’intellettualità ebraica: Hannah Arendt, Sigmund Freud, Theodor Adorno, Gershom Scholem, Ernst Bloch, Gyorgi Lukacs…
Dalle loro parole emerge un quadro strabiliante che in qualche modo, in maniera politicamente scorretta, stravolge l’idea che oggi domina nelle nostre scuole, nei media, nella politica, nell’opinione comune del cittadino.
L’ “esclusivismo ebraico”, l’incrollabile fede nella propria superiorità, lungi da essere un elemento tipico del popolo eletto, è un atteggiamento comune a tutte le culture del passato. Se la storia è ciclica ed eterna contrapposizione tra forze ed istanze differenti, non è nella volontà di dominio ebraica che va posto l’accento, perché tale volontà è comune, ma sulla sua teorizzazione prima e sulla sua modalità di realizzazione poi. Tale modalità, come Fukujama suggerisce, sembra aver spezzato a proprio favore la suddetta ciclicità della lotta, giungendo alla “fine della storia”. E’ da questo topos, che “Hannah l’antisemita” approfondisce, che nascono i formidabili attriti tra l’ebraismo e altre culture.

Ordini:

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Informazioni:

http://hannahantisemita.blogspot.com/


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