Breve analisi del verdetto elettorale

Ecco quelli che sembrano essere i punti principali della realta’ emersa dalle urne ucraine.

1) Se quella arancione sia stata o meno una vera rivoluzione è un tema che qui non affronteremo. In ogni caso, qualunque cosa sia stata una cosa sembra essere certa: e’ finita e, ancor piu’ importante, ha fallito. Prendiamo due dei principali cavalli di battaglia di quelle giornate colorate di arancione in cui le promesse di un radioso futuro si sprecavano: democrazia e lotta alla corruzione. Inutile dire che il fallimento in entrami i campi e’ stato clamoroso: secondo gi ultimi rapporti presentati da Transparency international e Open democracy il rating del paese e’ vistosamente calato sia nell’una che nell’altra sfera. Se a cio’ aggiungiamo sia i litigi e l’odio palese tra Juščenko e Timošenko sia la pesante crisi economica che ha messo migliaia di persone sul lastrico la frittata è fatta. La disaffezione delle persone comuni verso cio’ che accadde e fu promesso nel dicembre del 2004 e’ fortissima ed era facilmente palpabile durante la campagna elettorale. Non e’ dunque privo di significato che a vincere sia stato Viktor Janukovič, lo sconfitto dalla rivoluzione arancione, e ad uscire di scena sia stato con un misero 5% al primo turno, Viktor Juščenko, “l’eroe” delle proteste anti-brogli del 2004 divenuto poi presidente.

2) Il risultato del voto ha messo in luce in Ucraina e all’estero, un lato non molto piacevole e rassicurante dell’ex primo ministro Julia Timošenko, anch’essa “eroina” della Rivoluzione arancione. Nonostante gli osservatori internazionali abbiano giudicato le consultazioni elettorali molto soddisfacenti sotto il profilo del rispetto delle regole democratiche, Timošenko non ha accettato il risultato, dimostrando di essere dunque amante della democrazia solo quando il risultato le è favorevole. A rendere la situazione ancora piu’ imbarazzante c’e’ la registrazione di un’intervista, rilasciata lo scorso settembre, in cui Timošenko promise solennemente che mai e poi mai avrebbe contestato i risultati. Chiaramente quando disse cio’ era sicurissima di vincere. E’ chiaro che il comportamento delle diplomazie occidentali (su cui torneremo piu’ avanti) ha subito ridotto gli spazi di manovra della Timošenko, la quale aveva in programma di contestare il risultato del voto chiamando i suoi sostenitori ad una seconda rivoluzione arancione. Aveva pero’ fatto i conti senza l’oste, cioe’ l’occidente, che si e’ affrettato a riconoscere Janukovič come legittimo vincitore. Ciò ha portato Timošenko a più miti consigli spingendola ad optare per una battaglia nelle corti giudiziarie piuttosto che nelle piazze. Tutto questo ha portato ad un certo raffreddamento tra le cancellerie occidentali e la Timošenko.

3) Sotto il profilo numerico bisogna sottolineare due aspetti rilevanti: lo scarto minimo tra i due contendenti (48.75 % delle preferenze per Janukovič contro 45,47% per Timošenko). Questo ha costretto Janukovič a trovare appoggi da parte di altre forze politiche, per esempio Serhij Tihipko, terzo classificato al primo turno, che ha accettato di ricoprire la carica di vice-primo ministro con il mandato per l’economia nel nuovo governo presieduto da Mykola Azarov. Inoltre, Janukovič e’ il primo presidente ucraino a non superare la soglia del 50% + 1 al secondo turno elettorale. Questo e’ stato possibile perche’ il sistema elettorale ucraino permette all’elettore di votare contro tutti. Sono in molti a chiedersi a che serve un secondo turno se non garantisce matematicamente almeno la maggioranza assoluta al vincitore. Al momento non e’ chiaro se il fatto di non aver superato la soglia del 50% + 1 sara’ un problema per Janukovič.

4) Come mostra la mappa, il Paese e’ letteralmente spaccato in due: con Janukovič che fa il pieno di voti nelle regioni del sud e ad est (non si dimentichi che quest’ultima e’ la zona piu’ ricca del Paese) dove si concentra la numerosa minoraza russa e russofona e la Timošenko che vince nel resto del Paese.
A ben vedere però questa non rappresenta una novità, anzi è in realtà una delle piu’ importanti costanti della politica ucraina. Molti hanno intravisto in questa frattura la possibilita’ concreta di una secessione delle regioni orientali e meridionali, pericolo che viene spesso ribadito da autorevoli esperti. Sebbene qui non si voglia negare le differenze tra est ed ovest, ci limiteremo a dire che la questione e’ molto piu’ complessa e di quanto possa apparire e che le spinte, politiche, economiche e sociali, centripete sono oggi piu’ forti di quelle centrifughe.

La credibilità internazionale dell’Ucraina a rischio

La situazione che il nuovo presidente si trova a gestire fa letteralmente tremare i polsi: l’economia, basata principalmente sull’esportazione di grano, acciaio ed armi, ha subito una contrazione del 15% rispetto all’anno scorso. Il Paese è altamente indebitato e molti dubitano della sua capacità di tener fede agli impegni assunti con i creditori. Lo Stato è afflitto dal cancro della corruzione, presente e radicata ad ogni livello. L’ Ucraina inoltre si trova a dover gestire un vistoso calo demografico risultato del mix micidiale rappresentato dalla diminuzione della natalità, aumento della mortalità e dell’emigrazione. Agli occhi dei cittadini ucraini, la credibilità della classe politica ha toccato i minimi storici e questo è più che comprensibile visto e considerato che i mercanteggiamenti tra politici avvengono alla luce del sole e la loro incapacità di dare risposte ai bisogni delle persone è ormai palese.

Inoltre Janukovič dovra’ affrontare un problema molto serio per le sorti del suo Paese: la perdita di credibilità del paese agli occhi della comunita’ internazionale e dell’Unione Europea in particolare, persino agli occhi di chi, fino a poco tempo fa, la sosteneva a spada tratta, Polonia in primis. La rapidità con cui le Cancellerie occidentali hanno preso atto della vittoria da parte di Viktor Janukovič, raggiunta, a detta degli osservatori internazionali, in modo democratico, assomiglia molto ad un tentativo di voler evitare qualunque tipo di problema interno che possa richiedere un coinvolgimento anche solo minimamente paragonabile a quanto accaduto nel dicembre 2004, quando l’Occidente puntò molto (e ciò fu determinate) sulla rivoluzione arancione. Due sono gli eventi che sembrano aver raffreddato i rapporti, tutti accomunati da un unico problema, la corruzione. Vediamoli brevemente:

    1) Innanzitutto la crisi del gas del gennaio 2009, una crisi che lasciò alcuni Paesi europei al freddo (nei Balcani ci fu una vera e propria crisi umanitaria) ha mostrato da un lato la vulnerabilità europea in un settore di importanza vitale e dall’altro ha portato molte capitali europee a dubitare della capacità ucraina di dare concretezza alla sua volonta’ di essere considerata un partner affidabile e credibile. Diciamo che quella crisi ha assestato un duro colpo all’idea, molto diffusa in Occidente, della democratica Ucraina vittima della autocratica ed aggressiva Russia. I motivi per cui l’Ucraina non riesce, fin dalla sua indipendenza e non solo dall’avvento di Putin come molti credono, a pagare agevolmente la bolletta del gas non deve essere cercata nel cinismo russo bensì nell’elevato livello di corruzione del sistema politico ed economico ucraino, un vero buco nero in cui si perdono sia i soldi per pagare il gas che per effettuare gli investimenti necessari di cui la rete ucraina e l’economia nazionale ha disperatamente bisogno.

    2) Il mercato nero delle armi. Tema veramente scottante in Ucraina. L’Ucraina è uno dei più importanti produttori ed esportatori d’armi al mondo. In dicembre per esempio ha sottoscritto con l’Iraq un accordo da 2,4 miliardi di dollari per la fornitura di armi. Chiaramente un contratto ‘benedetto’ dagli Stati Uniti d’America che ha permesso di sottrarre alla Russia uno dei suoi acquirenti storici più importanti. Fin qui tutto bene e soprattutto tutto alla luce del sole. Il problema è che oltre alla dimensione legale ce n’è anche una illegale, molto meno tranquillizante e soprattutto molto remunerativa. Le istituzioni ucraine sono deboli e preda di gruppi di interessi senza molti scrupoli. Spesso, troppo spesso, si verificano casi di evidente sovrapposizione tra politica, economia e criminalità. Qualche esempio può aiutarci a comprendere meglio questa realtà: le autorita’ thailandesi hanno sequestrato, qualche mese fa, in virtù della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU 1874, un aereo cargo georgiano affittato da ucraini che trasportava quasi 4 tonnellate di armi prodotte in Corea del Nord. Quelle armi erano dirette, molto probabilmente, all’Iran. Le autorita’ ucraine hanno cercato di escludere ogni responsabilità. A ben vedere, le esportazioni verso Paesi ‘problematici’ (perché invisi al Patto Atlantico o ritenuti a rischio guerra) non sono mai cessate: si pensi ad esempio alla nave cargo Faina, battente bandiera ucraina e sequestrata dai famigerati pirati somali. La nave trasportava 36 vecchi carri armati sovietici diretti, molto probabilmente, al Sudan, Paese su cui l’Onu aveva posto l’embargo di armi. Oppure il caso della vendita, sottobanco e non confermata da nessuna autorità ucraina, di armi a prezzo irrisorio alla Georgia al fine di armare Tbilisi prima del conflitto con la Russia nell’agosto del 2008.

Riflessione finale

Capire che cosa ci riserva il futuro non è così agevole come può sembrare. Ci sono troppe incognite nella politica ucraina a cominciare dal fatto che molti dei soggetti che giocano un ruolo politico preponderante preferiscono rimanere nell’ombra. Sembra chiaro tuttavia che il cammino immaginato da molti, sia a Bruxelles che a Kiev, di un rapido avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea, ai suoi valori e ai suoi standard politici ed economici, non si verificherà tanto agevolmente e celermente. E intanto a Kiev sembra che il clima politico sia già mutato al punto che il vice primo ministro Volodymyr Semynoženkosi, durante un talk show, ha discusso apertamente l’idea di una possibile unione tra Ucraina, Russia e Bielorussia. Si tratterà di capire se questo mutamento è dettato da una scelta strategica razionale e di lungo periodo o se è solo uno dei tanti cambiamenti repentini a cui la politica ucraina ci ha abituati.

* Alessio Bini, dottore in Relazioni internazionali, collabora con “Eurasia”


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