Un saggio di Walter Russell Mead a proposito del “ritorno della geopolitica” sul nuovo numero di “Foreign Affairs”.
Gli USA trovano fastidioso che la Russia rivendichi in modo così determinato la Crimea, che la Cina voglia mantenere un controllo così ferreo sulle proprie acque territoriali, che l’Iran intenda assumere un ruolo di guida nel Vicino Oriente. Essi vorrebbero dettare l’agenda geopolitica con temi quali la liberalizzazione dei commerci, la non proliferazione nucleare, i diritti umani, il cambiamento climatico, lo stato di diritto e così via. La situazione odierna sembra precipitare verso il brutale realismo dei secoli scorsi, piuttosto che evolversi verso strategie partecipate e condivise. La verità è che, contrariamente alle illusioni prodottesi agli inizi degli anni ’90, la fine della Guerra Fredda non ha decretato la vittoria di un ordine perpetuo bensì l’apertura di nuove faglie scosse da attori (Russia, Cina e Iran) che cercano un proprio spazio combattendo l’Ordine Occidentale non in quanto tale ma se ed in quanto ostacolo all’affermazione della loro realtà. Esaminati da vicino questi paesi tutto rappresentano fuorché un unitario e compatto asse del Male: Russia e Iran fanno leva sulle esportazioni rispettive di gas e petrolio e condividono un’aspettativa di prezzi alti; la Cina è il più grande paese consumatore ed al contrario necessita di prezzi bassi : ciò che lega questi paesi sarebbe dunque la volontà di rovesciare l’ordine esistente per riaffermare lo spazio geopolitico sovietico (la Russia), per assumere una leadership nell’Asia (la Cina) e scalzare la potenza saudita nel Medio oriente (l’Iran) . Gli USA sono l’ostacolo a questi loro disegni. Oggi l’attività diplomatica di questi paesi sembra aver segnato punti a loro favore (es. la Russia nel Medio Oriente) ma il paradosso è rappresentato dal fatto che il raggiungimento dei loro obiettivi porterebbe inevitabilmente a far riemergere, al loro interno, tutti quei problemi di ordine economico sociale che l’attuale fase sembra aver aiutato loro accantonare. D’altro canto, l’Amministrazione USA, succube di quella mentalità da “fine della Storia”, per usare l’espressione di Fukuyama, non appare in grado di rilanciare alcun disegno strategico valido sul piano geopolitico: ciò si combina con una pubblica opinione più ripiegata sui problemi interni (occupazione ed assistenza sanitaria) che su questioni relative ad un ordine internazionale percepito come fonte di problemi piuttosto che di benefici. Eppure, conclude l’autore, la Storia non è giunta al suo capolinea semmai al crepuscolo. Essa non si ridurrà mai ad una gestione routinaria affidata ad un esercito di burocrati e lobbisti capaci di garantire alle masse di consumare pacificamente i propri beni essenziali e, soprattutto, voluttuari che siano: già Hegel, nel 1806 di fronte all’avanzata trionfante delle armate napoleoniche scriveva della fine di un mondo che, con le armate rivoluzionarie francesi, non sarebbe stato più quello di prima, e a poco valsero i tentativi di Restaurazione per illudersi che nulla fosse cambiato.
Per quanto possano apparire all’Occidente rozzi e retrogradi, esistono paesi che hanno visioni e priorità diverse per le quali combattere e la difesa di quelli che sono ritenuti i valori della civiltà occidentale passa dal guidare istituzioni che si conformino al capitalismo industriale e digitale: se non si è (più?) in grado di affrontare questa partita, anche con una prospettiva che coinvolga problemi di ordine militare che sembravano superati e propri di epoche date per finite, si è destinati a soccombere.

http://www.foreignaffairs.com/articles/141211/walter-russell-mead/the-return-of-geopolitics


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