Questo libro, uscito al principio degli anni Novanta dello scorso secolo, nell’imminenza del dissolvimento dell’Unione Sovietica e di tutti i drastici cambiamenti che quell’evento provocò, offre numerosi spunti di riflessione, prima di approfondire i quali, tuttavia, è bene fare una doverosa premessa relativa all’autore e al periodo storico trattato.

Uno degli eventi geopolitici più rilevanti del recente passato è stato senz’altro la fine dell’esperienza storica dell’Unione Sovietica e della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Una ventata di ottimismo, che ai più avveduti era parso se non del tutto ingiustificato, per lo meno prematuro, cominciò a diffondersi di pari passo con analisi evidentemente troppo frettolose che vaticinavano, per dirla con Francis Fukuyama, la “fine della storia”. Di tutt’altro avviso, Samuel Huntington metteva in guardia sul fatto che i conflitti erano ben lungi dall’essersi risolti: cambiavano semplicemente gli attori, ossia lo scontro non era più tra i blocchi contrapposti ma tra differenti civiltà o culture.

Fino agli anni Novanta, il lembo occidentale del continente eurasiatico aveva goduto di un cinquantennio di relativa stabilità, che non si accompagnava a una sovranità sostanziale, in quanto figlia di due sanguinosi conflitti civili intraeuropei dai quali Francia, Germania e Italia uscirono sconfitte e dissanguate. Tali drammatici eventi gettarono le fondamenta di quella che sarebbe stata l’Europa fino ai giorni nostri. Il crollo dell’Unione Sovietica fece tuttavia mancare l’equilibrio che si era creato nella seconda metà dello scorso secolo. Allo scioglimento dell’URSS purtroppo non si accompagnò, come ingenuamente qualcuno aveva auspicato, il corrispondente ritiro delle truppe statunitensi dal suolo europeo, anzi. Nel corso degli anni abbiamo assistito a un progressivo allargamento dell’Alleanza Atlantica che oggi, com’è noto, è arrivata a lambire minacciosamente i confini della Russia.

Entriamo quindi nel vivo dello studio di Mearsheimer. Nella prima parte, la più interessante e ricca di spunti, egli individua le cause di questi cinque decenni di relativa stabilità in Europa, dalla fine del secondo conflitto mondiale all’inizio della sanguinosa guerra civile jugoslava. Il politologo statunitense premette che la natura del sistema è sostanzialmente anarchica, per cui, in assenza di potenze in grado di svolgere un ruolo equilibratore, prevarrebbe il caos. Basti pensare soltanto ai conflitti per l’egemonia continentale che hanno avuto luogo in Europa negli ultimi due secoli: le guerre napoleoniche, la guerra di Crimea, il conflitto franco-tedesco e le due guerre mondiali, solo per citarne alcuni. Ci sono poi tre tipi di suddivisione del potere nello spazio geopolitico: egemonico, bipolare, e multipolare. Quello che durante tutto il periodo della guerra fredda ha assicurato maggiore stabilità è stato quello bipolare: la presenza cioè di due potenze egemoni che tra di loro si controbilanciavano ed evitavano, grazie anche al possesso di armamenti nucleari, il deflagrare di un nuovo disastroso conflitto sul suolo europeo. Conflitto che, come abbiamo visto, è stato una costante della storia europea degli ultimi secoli. La prospettiva di un’Europa libera, sovrana, unita e indipendente, un polo geopolitico forte ed equilibratore, non è tuttavia nemmeno lontanamente preso in considerazione.

L’importanza che Mearsheimer attribuisce alla deterrenza nucleare nel mantenimento della pace e dell’equilibrio è basilare. Una pace armata, certo, ma proprio per questo l’unica pace possibile. Una potenza disarmata, infatti, in un sistema che tende all’anarchia e alla volontà di predominio di un contendente sull’altro, avrebbe vita breve. Per questo motivo entrambi i protagonisti sulla scena geopolitica devono essere dotati di armamenti nucleari. È questa, a nostro avviso, la parte più convincente del ragionamento dello studioso statunitense. Cosa ha impedito, infatti, alla Corea del Nord, ad esempio, di essere facile vittima degli appetiti imperialisti della superpotenza americana, se non il possesso di armi nucleari? Al contrario, cosa ha invece favorito la capitolazione della Jamahiria di Gheddafi e dell’Iraq di Saddam sotto i colpi dell’Alleanza Atlantica – o di qualche “coalizione di volenterosi” sempre beninteso a guida atlantica – se non la loro mancanza?

Vi è quindi un terzo motivo, correlato al precedente, che ha consentito il mantenimento di una stabilità in Europa nella seconda parte del secolo scorso, ed è l’uguaglianza militare. Se entrambe le potenze egemoni procedono di pari passo da un punto di vista militare e tecnologico, è altamente improbabile che l’una abbia la possibilità di soverchiare l’altra. In questa analisi si intravede in nuce il ragionamento che poi Mearsheimer svilupperà in maniera più articolata nel suo più celebre saggio[1] dedicato allo scontro per l’egemonia tra Cina e Stati Uniti.

Come considerazione conclusiva, si può affermare che l’analisi dello studioso americano, risalente, è bene ribadirlo, al 1990, si è rivelata convincente nelle sue premesse storiche, meno nelle sue conclusioni. Egli infatti “non riesce a spiegare per quale motivo, dopo il crollo del muro di Berlino, gli Stati Uniti e i primi membri dell’Alleanza abbiano esteso l’Alleanza anche a Stati dell’Europa Orientale, causando direttamente una reazione da parte della Russia che ha reso, a conti fatti, il confine orientale molto più pericoloso ed instabile di quanto lo sarebbe stato [in caso contrario]”[2].

Nonostante le rassicurazioni fatte all’indomani della caduta del muro da parte dei membri dell’Alleanza Atlantica, si è invece assistito ad un graduale ed inesorabile allargamento della NATO. Ciò in effetti non contraddice affatto quella che è una delle ragioni d’essere di tale organizzazione, così come esplicitate dal suo primo Segretario Generale, Hastings Lionel Ismay. Questi infatti affermò che “lo scopo della NATO è quello di tenere dentro [in Europa, NdA] gli Americani, fuori i Russi, e sotto i Tedeschi”.


NOTE

[1]John Mearsheimer, La tragedia delle grandi potenze, Luiss University Press, Roma 2019.

[2] Marco Ghisetti, L’alleanza euro-atlantica, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XIX, n. 1, gennaio-marzo 2022.


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