La sovranità è nulla senza la potenza. Se Parigi saprà portare il suo potenziale militare e industriale a sostegno di progetti concreti di difesa europea capaci di coinvolgere tutta l’Europa e guardare al Mediterraneo come ad uno spazio strategico europeo, e non atlantico, l’autonomia potrà farsi sovranità. Altrimenti, parleremo di “dottrina Macron”, ma lo faremo in un quadro “occidentale”, funzionale ai desiderata di Oltreatlantico.

Com’è noto, il senso francese dello Stato e la consistente ricerca francese di una proiezione economica, diplomatica, militare e geopolitica negli scenari di riferimento della République hanno portato la Francia, durante i decenni della Quinta Repubblica, a costruire la più autonoma delle strategie politiche nel contesto europeo. Strategia molto spesso spregiudicata (come testimoniato soprattutto dagli interventi in terra africana[1]), garantita dall’assicurazione sulla vita della force de frappe, l’arsenale nucleare nazionale, e che ha avuto nel “padre” della Quinta Repubblica, il generale Charles de Gaulle, il suo principale ispiratore[2].

Dopo anni di appannamento durante i governi di Nicolas Sarkozy e François Hollande, il presidente francese Emmanuel Macron ha pensato di ricollegarsi alla tradizione del “monarca repubblicano”, con cui il capo dello Stato si è identificato da De Gaulle in avanti, e di avviare un graduale aggiornamento della tradizionale dottrina geopolitica e geoeconomica del Paese negletta dai suoi predecessori. Da Sarkozy in primis, perché ne ha fatto venire meno un presupposto, l’autonomia dei comandi militari francesi dalle strutture Nato, in cui Parigi è ritornata nel 2009[3] mettendo troppo plasticamente in mostra la spregiudicatezza della proiezione nazionale transalpina con la problematica avventura bellica in Libia. Da Hollande, in seguito, per la plateale desacralizzazione del ruolo presidenziale, per la torsione economicista del Presidente che non ha saputo costruire un disegno politico complementare a quello tedesco di Angela Merkel in Europa, per la crisi sistemica degli apparati che nella sua era ha iniziato a palesarsi.

È per questo che si può parlare di una “dottrina Macron”, ovvero di un contributo dato da Macron alla riscoperta in chiave moderna delle linee guida della politica di potenza della Francia repubblicana; di un approccio sistemico da parte della Francia alla competizione internazionale; dell’individuazione da parte del decisore politico di precise macroaree definite cruciali per l’elaborazione della strategia nazionale francese.

C’è una profonda contraddizione nell’uomo e nel presidente Macron. Lontano anni luce dalla crassa ignoranza politica di un Sarkozy o dall’apatica assenza di visione di un Hollande, il più giovane presidente della Quinta Repubblica è stato tuttavia a lungo un personaggio ibrido. Avendo alternato, in patria, riforme “liberiste[4]” sul tema di lavoro[5] e pensioni, ingenue politiche verdi che hanno incendiato la rabbia della popolazione che temeva di vedere scaricato su di sé il peso della transizione ecologica[6] e, da ultimo, goffe politiche di contrasto all’islamismo politico dal vago sentore occidentalista e neoconservatore[7], Macron sul fronte interno ha provato a essere trasversale, a sfuggire a categorizzazioni di sorta, con il risultato di inimicarsi una grossa fetta dell’opinione pubblica. Questo trasformismo si scontra con una visione delle relazioni internazionali che è sempre stata, al confronto, più coerente e strategica.

Vero e proprio “manifesto” di questa visione è stata la recente intervista del presidente alla rivista di geopolitica francese Le Grand Continent, che proprio alla cosiddetta “dottrina Macron” è stata dedicata[8]. Macron ha toccato un’ampia gamma di questioni, dal futuro dell’Unione Europea alla Nato, dal rapporto tra Francia ed Africa ai cambiamenti climatici, sicché dalle parole dell’ampia intervista si può cogliere nella sua complessità il contributo politico dato dall’attuale presidente alla strategia dell’Esagono.

Macron ha ben chiara l’idea che nei decenni a venire l’Europa dovrà costruire spazi di autonomia strategica nel contesto della “Nuova guerra fredda” tra Cina e Stati Uniti e che per il controllo francese di questi processi passa l’interesse nazionale di Parigi. “Se cerco di guardare oltre il breve termine, – ha dichiarato – direi che dobbiamo avere due assi forti: ritrovare le modalità per una cooperazione internazionale utile che eviti la guerra, ma che consenta di rispondere alle sfide contemporanee; costruire un’Europa molto più forte, che possa far valere la sua voce, la sua forza, mantenendo i suoi principi, in uno scenario così rifondato”[9].

Relativamente a questa stella polare si declinano tutte le strategie approfondite elaborate da Parigi. Se estremamente complessa sembra essere la partita della difesa comune europea, contrastata sia dall’ascesa dei Paesi filoatlantici dell’Est sia dalla rendita di posizione di Washington nel Vecchio Continente, e lontana la definitiva “morte cerebrale” della Nato di cui Macron ha parlato nel 2019, a Le Grand Continent Macron ha citato esplicitamente la sovranità europea nel contesto delle nuove tecnologie: “Avanziamo nel campo dell’autonomia tecnologica e strategica, mentre tutti erano rimasti sorpresi quando ho iniziato a parlare di sovranità sul 5G. Quindi, prima di tutto, c’è un lavoro ideologico da fare, ed è urgente. Si tratta di pensare in termini di sovranità europea e di autonomia strategica, in modo da poter contare da soli e non diventare il vassallo di questa o quella potenza senza avere più voce in capitolo”[10].

Parliamo di un discorso cruciale. La pandemia ha accelerato il percorso comune di Emmanuel Macron e Angela Merkel verso la definizione di strategie di lungo periodo per la costruzione degli assi portanti di un primo progetto di sovranità tecnologica e digitale europea, pensata sia come alternativa alla penetrazione cinese sia come contraltare al dominante potere d’influenza dei giganti del digitale. Francia e Germania hanno promosso nell’ultimo anno l’ascesa e l’avvio di Gaia-X, il progetto di una piattaforma europea di cloud computing, che nell’immediato non sarà completamente indipendente da Google, Amazon, Microsoft[11] e gli altri oligopolisti statunitensi del mercato dei dati, forti di una rendita costruita nel corso di decenni, ma ha lanciato la volontà europea di partecipare alla definizione della corsa verso le nuove frontiere tecnologiche globali.

Gaia-X, descritto dai governi francese e tedesco come un “abilitatore di piattaforme” completamente armato di tecnologie europee, punta a garantire la costituzione di una crescente potenza di calcolo e lo sviluppo da parte di operatori del Vecchio Continente delle infrastrutture digitali e fisiche volti a garantire gestione, protezione, stoccaggio e sfruttamento economico dei dati.

Notiamo che, come è accaduto in passato con il tema della difesa e dell’aerospazio, la Francia punta a sfruttare la partita tecnologica europea come moltiplicatore di potenza politica e come volano per lo sviluppo della sua industria e del suo potenziale produttivo.

Una tale logica è applicata anche ai piani per la transizione ecologica, contenuti nel piano da 100 miliardi di euro “France Relance”, con cui il governo di Parigi intende dare profondità alle sue strategie di lungo periodo per la ripresa dopo la pandemia. Il presidente ha fatto il mea culpa per aver seguito a lungo l’ambientalismo “salottiero” delle imposte sul diesel e delle misure destinate a colpire, in primo luogo, la classe media, misure che hanno alienato le simpatie di parte della popolazione per il tema della transizione. “Dobbiamo dimostrare che tutti sono attori, e dobbiamo farlo dando a tutti un ruolo, cioè sviluppando massicciamente nuovi settori di attività economica, che permettono di creare nuovi posti di lavoro più velocemente di quanto quelli vecchi non vengano distrutti”, ha sottolineato il Presidente.

Si tratta di un approccio che in “France Relance”, come ricorda Rivista Energia, è studiato sistematicamente. Su 100 miliardi il piano “ne dedica 34 a misure relative alla competitività dell’economia – oltre ai 30 miliardi di misure specificamente orientate alla transizione energetica, e che includono forti dimensioni innovative, come la decarbonizzazione dell’industria o lo sviluppo di tecnologie verdi”[12], mettendo le tecnologie più sostenibili al servizio di industrie strategiche: energia (con l’idrogeno come nuova frontiera), aeronautica, trasporto ferroviario, nucleare. Quattro settori in cui Parigi mira a giocare da grande protagonista europeo e a creare gli standard a livello comunitario.

Al tema dell’autonomia strategica si associa un sostanziale rifiuto dell’adesione alla narrazione dominante imposta dagli Stati Uniti alle relazioni internazionali e ai rapporti transatlantici. In questo, nella citata intervista Macron cerca di avvicinarsi il più possibile al suo augusto predecessore, l’antistatunitense Charles de Gaulle: “La nostra politica di vicinato con l’Africa, con il Vicino e Medio Oriente, con la Russia, non è una politica di vicinato per gli Stati Uniti d’America. È quindi insostenibile che la nostra politica internazionale dipenda da loro o che segua le loro orme”.

A ciò si associa un richiamo al tema dell’esorbitante privilegio economico del dollaro e ai connessi vantaggi strategici che ne conseguono per Washington. La penalizzazione delle industrie francesi ed europee dovuta alle sanzioni statunitensi verso Russia e Iran è chiamata in causa da Macron, che sembra saldare al tema dell’indagine “europeista” degli equilibri globali l’annuncio di un futuro cambio di paradigma.

Starà ai prossimi anni decretare se quelli di Emmanuel Macron e dell’alleata Angela Merkel sono semplici esternazioni retoriche o i primi semi di un progetto politico di autonomia europea. Dalle nuove tecnologie all’energia, dalla sostenibilità alla finanza i piani europei per muovere verso maggiori gradienti di autonomia esistono, e nella dottrina nazionale francese trovano esplicazione concreta. Ma come ricordava Pierluigi Fagan[13] analizzando la “geopolitica di Macron”, nel mondo odierno “la sovranità è nulla senza la potenza”. Se Parigi saprà portare il suo potenziale militare e industriale a sostegno di progetti concreti di difesa europea capaci di coinvolgere su basi più paritetiche anche attori come l’Italia e di guardare al Mediterraneo come a uno spazio strategico europeo, e non atlantico, l’autonomia potrà farsi sovranità. Altrimenti, parleremo di dottrina Macron, ma lo faremo nel quadro comunque più funzionale ai desiderata di Oltreatlantico.


NOTE

[1] Le guerre segrete di Parigi in Africa e le conseguenze problematiche per il continente sono citate in Emanuel Pietrobon, L’arte della guerra segreta, Pubblicazione indipendente, Torino 2020.

[2] Williams Charles, De Gaulle – L’ultimo grande di Francia, Il Giornale – Biblioteca storica, Milano 1995.

[3] Francia; Parigi rientra nella Nato, 43 anni dopo De Gaulle, L’Eco di Bergamo, 11 marzo 2009.

[4] La riforma del mercato del lavoro di Macron, Atlante Treccani, 18 settembre 2017.

[5] Nicholas Vinocur, Macron’s big labour reform, Politico Europe, 31 agosto 2017.

[6] La lezione dei gilet gialli: l’ambientalismo non è un pranzo di gala, Coniare Rivolta, 23 febbraio 2019.

[7] Andrea Muratore, Tutti i fronti aperti tra la Francia di Macron e la Turchia di Erdogan, Inside Over, 30 ottobre 2020.

[8] Giovanni Collot, Amélie Depriester, Alice Fill, La dottrina Macron, 16 novembre 2020.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] Andrea Muratore, Big tech e sovranità digitale europea, Inside Over, 20 settembre 2020.

[12] Clemence Pelegrin, Renato Rallo, France Relance e transizione ecologica, Rivista Energia, 16 novembre 2020.

[13] Pierluigi Fagan, Geopolitica di Macron, Osservatorio Globalizzazione, 29 agosto 2019.


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