Mentre gli Stati Uniti cercano, dall’11 settembre 2001, di accelerare la trasformazione del mondo a immagine della società democratica e liberale sognata dai loro padri fondatori, le civiltà non occidentali si oppongono nel loro cammino e affermano la loro volontà di potenza. La Russia, in particolare, costituisce un grave ostacolo geopolitico per Washington. Essa dovrà difendere la sua area d’influenza e dimostrare al mondo che è essenziale sul piano energetico.

Uno degli autori classici della geopolitica, Halford J. Mackinder (1861-1947), un ammiraglio inglese, che ha insegnato geografia a Oxford, ha difeso come tesi centrale che le principali dinamiche geopolitiche della Terra ruotano intorno al cuore del mondo (Heartland), l’Eurasia. Perno della politica mondiale a cui la potenza navale non poteva arrivare, l’Eurasia è il cuore intimo della Russia, un impero che “occupava, per tutto il mondo, la posizione strategica centrale che occupa la Germania in Europa”. Attorno a questo epicentro delle crisi geopolitiche globali, protetto da una cintura fatta di barriere naturali (il vuoto Siberiano, l’Himalaya, il deserto del Gobi, Tibet), che Mackinder chiamava la mezzaluna interna, si trovano le coste del continente eurasiatico: l’Europa occidentale, Medio Oriente, Asia meridionale e orientale.

Al di là di queste periferie, oltre le barriere marine, due sistemi insulari completano l’inquadramento dell’Heartland: la Gran Bretagna e il Giappone, teste di ponte di una mezzaluna più lontana, quella a cui appartengono gli Stati Uniti. Secondo questa visione del mondo, le potenze marittime mondiali, la talassocrazie difese da Mackinder, devono impedire l’unità continentale eurasiatica. Esse devono quindi mantenere la divisione est-ovest tra le maggiori potenze continentali in grado di attuare delle alleanze (Francia/Germania, Germania/Russia, Russia/Cina), ma anche il controllo sulle rive del continente eurasiatico. Questa matrice anglo-sassone, che può essere applicata al caso dell’Impero Britannico nel XIX secolo, come in quello della talassocrazia statunitense del XX secolo, rimane un utile strumento per capire la geopolitica di oggi.

La teoria di Mackinder ci ricorda due cose che le talassocrazie anglo-sassoni non hanno mai dimenticato: non esiste un progetto europeo di potenza (potenza europea) senza una forte e indipendente Germania (ora la Germania rimane in gran parte sotto il controllo americano dal 1945), non ci sono equilibri globali opposto al mondo americano, senza una Russia forte. L’America vuole l’America-mondo: l’obiettivo della sua politica estera, al di là della semplice ottimizzazione dei suoi interessi strategici ed economici del paese, è la trasformazione del mondo a immagine della società americana. L’America è messianica, e lì sta il motore della sua intima proiezione di potenza.

Nel 1941, con la firma della Carta Atlantica, Roosevelt e Churchill diedero una tabella di marcia al sogno di un governo mondiale che organizzasse la globalizzazione liberale e democratica. Fino al 1947, l’America aspirava alla convergenza con l’Unione Sovietica, nell’idea di formare con essa un governo mondiale, nonostante l’evidente irriducibilità dei globalismi sovietico e americano. Due anni dopo il crollo dell’Europa nel 1945, gli americani si resero conto che non sarebbero riusciti a trascinare i sovietici nel loro globalismo liberale e si rassegnarono a ridurre geograficamente il loro progetto: l’Atlantismo sostituì temporaneamente il globalismo. Poi, nel 1989, quando l’Unione Sovietica vacillò, il sogno globalista alzò la testa e l’America spinse l’acceleratore la sua diffusione in tutto il mondo. Un nuovo nemico globale, sul cadavere del comunismo, ha fornito un pretesto per le nuove proiezioni globali: il terrorismo islamista. Durante la guerra fredda, gli americani avevano fatto crescere questo nemico, perché bloccava la strada alla rivoluzione socialista, che si sarebbero volte verso la Russia sovietica. L’islamismo sunnita è stato l’alleato degli americani contro la Russia sovietica in Afghanistan. Questo fu il primo crogiolo della formazione dei combattenti islamici sunniti, la matrice di Al Qaeda come degli islamisti algerini… Poi ci furono la rivoluzione fondamentalista sciita e l’abbandono da parte degli americani dello Scià dell’Iran, nel 1979. Il calcolo di Washington era che l’Iran fondamentalista sciita non si sarebbe alleato con l’Unione Sovietica, al contrario di una rivoluzione marxista, e avrebbe costituito un contrappeso ai fondamentalisti sunniti.

Nel mondo arabo, è stata la Fratellanza Musulmana, dall’Egitto alla Siria, ad essere incoraggiata. Washington spinse l’Iraq contro l’Iran, e viceversa, secondo il principio del “let them kill themselves” (lasciare che si uccidano a vicenda), già applicata ai popoli russo e tedesco, per distruggere il nazionalismo arabo contrario agli interessi d’Israele. L’Alleanza continuò dopo la caduta dell’URSS. Fu al lavoro nella demolizione dell’edificio della Jugoslavia e nella creazione di due stati musulmani in Europa, Bosnia-Erzegovina e in Kosovo. L’islamismo è sempre stato utile per gli americani, sia nella sua posizione di alleato contro il comunismo durante la guerra fredda, sia nel suo nuovo ruolo di nemico ufficiale dopo la fine del bipolarismo. Certo, gli islamisti esistono realmente non sono una creazione immaginaria dell’America e hanno una capacità di danneggiamento e di destabilizzazione innegabile. Ma se possono prendere delle vite, non cambieranno il quadro della potenza nel mondo.

La guerra contro l’Islam è lo schermo ufficiale di una guerra ben più grave: la guerra americana contro le potenze eurasiatiche.

Dopo il crollo dell’URSS, divenne chiaro agli americani che una potenza continentale, attraverso la combinazione di massa demografica e di potenzialità industriale, potrebbe rompere il progetto dell’America-mondo: la Cina. La formidabile ascesa industriale e commerciale della Cina rispetto all’America ricorda la situazione della Germania che, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, raggiunse e superò le talassocrazie anglo-sassoni. Questa fu la causa primaria della prima guerra mondiale. Se la Cina diventa una potenza di primo piano, pensano gli strateghi degli Stati Uniti, per la combinazione della crescita economica e dell’indipendenza geopolitica, e mantiene il suo modello confuciano immune dalla democrazia occidentale, allora è finita per l’American World… Gli americani possono rinunciare al loro principio del Manifest Destiny (Principio del Destino Manifesto) del 1845 e al messianismo dei loro padri fondatori, i fondamentalisti biblici o massoni.

Mentre l’Unione Sovietica era appena crollata, gli strateghi statunitensi orientarono le loro riflessioni su come contenere l’ascesa della Cina. Senza dubbio compresero la piena attualità del ragionamento di Mackinder. Gli anglo-sassoni avevano distrutto prima i progetti eurasiatici dei tedeschi e poi quelli dei russi; bisognava abbattere quello dei cinesi. Ancora una volta il mare ha voluto contrastare la Terra. La guerra umanitaria e la guerra contro il terrorismo potrebbero essere utilizzate come nuovi pretesti per nascondere i veri scopi della nuova Grande Guerra Eurasiatica: la Cina come obiettivo, la Russia come condizione per vincere la battaglia. La Cina come obiettivo perché la Cina è l’unica forza in grado di superare l’America nella classifica della potenza materiale, nell’orizzonte di venti anni. La Russia come condizione perché dal suo orientamento strategico deriverà, in gran parte, l’organizzazione del mondo di domani: unipolare o multipolare.

Di fronte alla Cina, gli americani hanno cominciato a dispiegare una nuova strategia globale, che è articolata in diverse componenti:

Estensione del blocco transatlantico allargato fino ai confini della Russia e della Cina occidentale.

Il controllo della dipendenza energetica della Cina.

L’accerchiamento della Cina attraverso la ricerca e il rafforzamento delle alleanze con gli avversari secolari del Regno di Mezzo (indiani, vietnamiti, coreani, giapponesi, taiwanesi …).

L’indebolimento dell’equilibrio tra le maggiori potenze nucleari attraverso lo sviluppo dello scudo anti-missile.

La strumentalizzazione dei separatismi (in Serbia, Russia, Cina, e fino agli estremi confini dell’Indonesia) e il ridisegno della mappa delle frontiera (Medio Oriente arabo). Washington ha creduto, negli anni ‘90, di essere in grado di portare al suo fianco la Russia, per formare un vasto blocco transatlantista, da Washington a Mosca, con al centro la periferia europea atlantizzata dal crollo del 1945. Questo disse George Bush padre, nel 1989, quando rivolse un appello per la formazione di un’alleanza “da Vancouver a Vladivostok”; insomma il mondo dei bianchi organizzati sotto l’egida dell’America, una nazione destinata paradossalmente, per il contenuto stesso della sua ideologia, a non essere prevalentemente bianca entro il 2050.

L’estensione del blocco transatlantico è la primo dimensione del grande gioco euroasiatico. Gli americani non solo hanno mantenuto la NATO dopo il crollo del Patto di Varsavia, ma vi hanno ridato forza: in primo luogo la NATO è passata dal diritto internazionale classico (intervento solo in casi di aggressione a uno Stato membro dell’alleanza), al diritto di interferire. La guerra contro la Serbia nel 1999, ha segnato il passaggio e questo distacco tra la NATO e il diritto internazionale. In secondo luogo, la NATO ha inglobato i paesi dell’Europa centrale e orientale. Gli spazi del Baltico e della Jugoslavia (Croazia, Bosnia, Kosovo) sono stati integrati nella sfera d’influenza della NATO. Per ampliare ulteriormente la NATO e stringere il cappio attorno alla Russia, gli americani erano dietro le rivoluzioni colorate (Georgia nel 2003, Ucraina nel 2004, Kirghizistan nel 2005), questi capovolgimenti politici non-violenti, finanziati e sostenuti da fondazioni e ONG Americane, mirano ad installare governi anti-russi. Una volta al potere, il presidente ucraino pro-occidentale, ha chiesto la partenza della flotta russa dai porti della Crimea e l’entrata del suo paese nella NATO. Quanto al presidente georgiano ha dovuto, nel 2003, militare per una campagna per l’adesione del suo paese alla NATO e per la rimozione dei peacekeeper russi, dal 1992 dislocati per tutelare i popoli dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale.

Alla vigilia dell’11 Settembre 2001, attraverso la NATO, l’America aveva già esteso la sua forte presa sull’Europa. Aveva rafforzato i musulmani bosniaci e albanesi e respinto la Russia dallo spazio jugoslavo. Durante il primo decennio del post-Guerra Fredda, la Russia non aveva quindi cessato di subire le avanzate americane. Gli oligarchi, spesso estranei agli interessi nazionali russi, s’erano spartite le ricchezze petrolifere russe e i consiglieri liberali filo-americani attorniavano il presidente Eltsin. La Russia era impantanata nel conflitto ceceno, sobillato in gran parte dagli americani, come in effetti ogni ascesso islamista. Il mondo sembrò sprofondare lentamente ma sicuramente nell’ordine mondiale americano, nell’unipolarismo.

Nel 2000 un evento importante, forse il più grande dopo la fine della guerra fredda (ancora più importante dell’11 settembre 2001) è successo: l’ascesa al potere di Vladimir Putin… Uno di quei capovolgimenti della storia le cui conseguenze colpiscono le sue fondamenta, le sue costanti. Putin ha avuto un programma molto chiaro: recuperare la leva energetiche della Russia. Bisognava riprendere il controllo della ricchezza del sottosuolo dalle mani degli oligarchi, che non si preoccupavano degli interessi dell’Impero. Bisognava ricostruire dei potenti operatori del settore petrolifero (Rosneft) e del gas (Gazprom) lagati allo stato russo e alla sua visione strategica. Ma Putin non aveva ancora rivelato le sue intenzioni in merito alla situazione dello stallo USA-Cina. Lasciava planare il dubbio. Alcuni, tra cui io, poiché avevo analizzato all’epoca la convergenza russo-americana come transitoria e tempestiva (i discorsi degli USA sulla guerra contro il terrorismo, vietavano temporaneamente qualsiasi critica americana circa l’azione russa in Cecenia), avevano capito ben presto che Putin avrebbe ricostruito politica indipendente della Russia; mentre altri pensavano, al contrario, che sarebbe stato dalla parte degli occidentali. Egli doveva finirla con la Cecenia e riprendere il petrolio. Il lavoro era pesante. Un sintomo evidente, che ancora dimostrava che Putin avrebbe ripreso i fondamenti della grande politica russa: il cambio favorevole all’Iran e la ripresa delle vendite di armi a quel paese, così che il rilancio della cooperazione nel settore del nucleare civile.

Perché, allora l’ascesa di Putin è stato un evento così importante?

Senza apparire al momento eclatante, il suo arrivo ha significato che l’unipolarismo americano, senza il proseguimento dell’integrazione della Russia nella zona transatlantica, era ormai destinato al fallimento, e con esso, la grande strategia che mirava a spezzare la Cina e a prevenire l’emergere di un mondo multipolare.

Inoltre, molti europei non si accorsero subito che Putin recava la speranza di una risposta alle sfide della competizione economica globale basata su l’identità e la civiltà. Non c’è dubbio, che gli americani stessi hanno capito ciò meglio degli europei occidentali. George Bush non confessò, un giorno, di non fidarsi di lui, quando vide in Putin un uomo dedito profondamente all’interesse del suo paese?

L’11 settembre 2001, tuttavia, ha offerto l’opportunità per gli americani ad accelerare il loro programma dell’unipolarismo. In nome della lotta contro un male che loro stessi avevano fabbricato, avrebbero potuto ottenere la solidarietà costante degli europei (e quindi più atlantismo e meno “potenza europea”), un ciclico riavvicinamento con Mosca (per schiacciare i separatisti ceceni-islamici), un arretramento della Cina nell’Asia centrale, con l’accordo USA-Russia nelle repubbliche islamiche dell’ex Unione Sovietica, con un piede in Afghanistan, a ovest della Cina e, pertanto, a sud del Russia e un netto ritorno nell’Asia del sud-est. Ma l’euforia americana in Asia centrale è durata solo quattro anni.

La paura di una rivoluzione colorata in Uzbekistan spinse il potere uzbeko, una volta tentato di divenire la grande potenza dell’Asia centrale, come contrappeso al grande fratello russo, a cacciare gli americani e ad avvicinarsi a Mosca. Washington ha perso poi, a partire dal 2005, molte posizioni in Asia centrale, mentre in Afghanistan, nonostante le quote di contingenti ausiliari spillati agli Stati europei, incapaci di prendere il destino della loro civiltà in mano, continua a perdere terreno di fronte all’alleanza tra taliban e pakistani, sostenuti in silenzio, dietro le quinte, dai cinesi che vogliono vedere l’America cacciata dall’Asia Centrale.

I cinesi, ancora una volta, possono sperare di prendere parte del petrolio kazako e del gas turkmeno e di costruire, così, le strade che conducono verso il loro Turkistan (Xinjiang). Pechino volge le sue speranze energetiche verso la Russia, che in futuro pareggerà gli approvvigionamenti energetici per l’Europa verso l’Asia (non solo la Cina ma anche il Giappone, la Corea del Sud, India …).

Il gioco di Putin è ora scoperto. Poteva accordarsi con Washington nella lotta al terrorismo, che ha colpito duramente la Russia. Egli non aveva intenzione di abdicare alle legittime rivendicazioni della Russia, ha rifiutato l’assorbimento dell’Ucraina (perché l’Ucraina è una nazione sorella della Russia, l’apertura sull’Europa, l’accesso al Mediterraneo attraverso il Mar Nero grazie al porto di Sebastopoli, in Crimea) e della Georgia nella NATO. E se l’indipendenza del Kosovo è stata sostenuta dagli americani e dai paesi dell’Unione europea, in nome di cosa i russi non hanno il diritto di sostenere i popoli dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, tanto più che i popoli interessati volevano la secessione dalla Georgia?

Mackinder aveva dunque ragione. Nel grande gioco eurasiatico, la Russia rimane il pezzo chiave. E’ la politica di Putin, molto più che la Cina (anche se resta il primo obiettivo di Washington, perché è una possibile potenza mondiale), che ha sbarrato la strada a Washington. È questa la politica che sostiene l’asse energetico Mosca(e Asia centrale)-Teheran-Caracas che pesa, da solo, la metà delle riserve accertate di petrolio e quasi la metà di quelle di gas (fonte di energia sempre più usata). Questo asse è il contrappeso al petrolio e al gas arabi conquistati dall’America. Washington voleva strangolare la Cina attraverso il controllo dell’energia. Ma se l’America è in Arabia Saudita e in Iraq (1° e 3° per riserve di petrolio accertate), non controlla né la Russia, né l’Iran, né il Venezuela o il Kazakistan, e questi paesi, piuttosto al contrario, si avvicinano. Insieme, essi sono decisi a spezzare la supremazia dei petrodollari, base della centralità del dollaro nel sistema economico mondiale (che permette all’America di fare sostenere agli europei un enorme deficit di bilancio e di alimentare le sue banche in rovina).

Non c’è dubbio che Washington cercherà di spezzare questa politica della Russia, continuando a fare pressione sulla sua periferia. Gli americani stanno cercando di sviluppare delle rotte terrestri per l’energia (oleodotti e gasdotti) alternative alla rete russa che si sta diffondendo in tutto il continente eurasiatico, alimentando l’Europa occidentale come l’Asia. Ma cosa può fare Washington contro il cuore strategico e energetico dell’Eurasia? La Russia è una potenza nucleare.

Gli Europei ragionevoli e non troppo accecati dai mezzi di disinformazione degli Stati Uniti, hanno bisogno di sapere che la Russia non ha bisogno di loro. Tutta l’Asia in crescita chiede petrolio e gas della Russia e dell’Iran. In queste condizioni e mentre il multipolarismo è in atto, gli europei farebbero bene a svegliarsi. La profonda crisi economica in cui sembrano dover sprofondare per molto, li condurrà a tale risveglio? È la conseguenza positiva in cui bisognerebbe sperare, delle sfide difficili che i popoli d’Europa subiranno nei decenni a venire.

Fonte: Theatrum Belli: blog multidisciplinare di Polemologia

http://www.theatrum-belli.com/ 11 Settembre 2009

Traduzione di Alessandro Lattanzio.

Alessandro Lattanzio, redattore di Eurasia, ha scritto Terrorismo sintetico, Potere Globale e L’atomo rossso
(vedi la sezione Biblioteca); anima, inoltre, i seguenti siti di informazione ed analisi:

http://www.aurora03.da.ru
http://www.bollettinoaurora.da.ru
http://sitoaurora.narod.ru
http://sitoaurora.altervista.org
http://eurasia.splinder.com


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